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Arrestato Zagaria, capo latitante del clan dei casalesi, re del cemento.

Da La Stampa del 8 dicembre 2011

Arresto Zagaria: via la luce, parte la trivella e scatta il blitz nel bunker dell’ultimo del clan dei Casalesi

Fa per girarsi, Michele Zagaria, quando lascia Casapesenna. Ha un gesto di stizza per quegli applausi, che lo infastidiscono. Stretto tra due poliziotti, in un’Alfa Romeo, con un corteo d’auto che lo precede e lo segue, è come se solo in quel momento «Capastorta» avesse realizzato che la sua vita stava cambiando, e per sempre. Mai più Gomorra, da ieri notte, in cella, in un carcere di massima sicurezza.

Dieci ore prima – erano le tre di notte – era iniziato l’assalto delle forze di polizia, degli uomini dello Sco della Polizia, delle Squadre mobili di Napoli e Caserta, al bunker di Michele Zagaria.

Che bello poter vivere un’altra giornata storica dell’Antimafia. Come a Palermo con la cattura dei boss, anche a Caserta, in questura, dove è stato portato Zagaria prima di trasferirlo nel supercarcere di Secondigliano, scene di pianti e applausi, di poliziotti e ragazzi di Casal di Principe e di San Cipriano d’Aversa. C’è anche Renato Natale, il sindaco di Casal di Principe che i Casalesi volevano uccidere mettendolo sotto con la macchina mentre andava in bici. «È una grande vittoria dello Stato e della società civile. Oggi festeggiamo ma non dobbiamo illuderci che è finita, dobbiamo attrezzarci per capire cosa faranno gli orfani e gli eredi dei Casalesi».

«Giustizia, giustizia». Quello che è andato in scena non è stato uno spettacolo per telecamere e macchine fotografiche, ma un piccolo grande passo verso la liberazione di pezzi di territorio, verso la libertà delle coscienze e delle persone che vivono in quei territori.

Dieci ore prima. Anzi, quasi due anni prima. Che fatica, turni massacranti, perlustrazioni, confidenti, ambientali, telecamere piazzate ovunque. E poi, a un certo punto, i risultati cominciano ad arrivare. Un allarme, circa un anno fa, nel novembre scorso, quando in un negozio di Aversa, un confidente indica la presenza di un bunker che ospitava Michele Zagaria. Arrivano da Napoli con una pala meccanica, il negozio viene distrutto ma gli scavi non portano a nulla. Michele Zagaria se c’è stato, si è dileguato.

La pista però è quella giusta. Perché a casa del fratello del commerciante che aveva il negozio ad Aversa, ieri è stato arrestato l’ultimo dei Casalesi.

Via Mascagni è un budello di pochi metri ad angolo retto, che muore appunto davanti a un cancello di ferro. Nel cortile un’aiuola e un parcheggio di auto. A destra una casa sul prato. Un piano terrae uno rialzato. Costruzione recente, neppure una mano di vernice. Poi una tettoia di legno, sempre a destra, deposito di moto, biciclette, stenditoio, legname. L’ingresso della casa e un altro che dà nella cucina. Alle spalle della cucina due locali, una lavanderia e una stireria.

Nell’ufficio del questore Guido Longo, il direttore del Servizio centrale operativo, Gilberto Caldarozzi, parla con il prefetto Franco Gratteri, direttore dell’Fbi italiana, il Nac. Caldarozzi si fa cronista: «Quando siamo entrati nella villetta, a piano terra, ci siamo concentrati nei due locali della lavanderia e della stireria. Nel locale della lavanderia c’era un doppio muro con una intercapedine».

Insomma, per dirla tutta, persino Gratteri e Caldarozzi sono rimasti letteralmente ammutoliti dalla tecnologia del bunker. Una camera che si sposta verso il muro esterno, come se la stanza viaggiasse su binari. Qualcosa dovevano averlo intuito gli investigatori, perché nelle ambientali sentivano spesso parlare di «ping, pong». La stanza si muoveva naturalmente grazie a un motore.

«Il nostro sospetto – dice il prefetto Franco Gratteri – è che in realtà la casa sia stata costruita dopo il bunker».

E già il bunker. Quattro metri sottoterra, il tetto. Una scala ripida. «Dunque – riprende il racconto Caldarozzi dopo aver svuotato le stanze, smontando tutto, liberando le pareti, abbiamo notato una fenditura, un solco intorno alla porta. Inusuale, quel solco accanto alla mostra della porta». Poi, evidentemente, il proprietario della casa, deve aver ceduto il telecomando. La camera che si muove.

Tutto questo avviene nel cuore della notte, al buio perché i poliziotti staccano la luce. E poi c’è il questore che coordina quella trivella per carotaggi. Il prato rischia di trasformarsi in una groviera. Tra gli uomini dello Sco c’è anche Vittorio Pisani, l’ex capo della Mobile di Napoli finito sotto inchiesta per i suoi rapporti da chiarire con una fonte del clan Russo e un imprenditore sospettato di riciclare soldi dei clan.

È Pisani che coltiva quel confidente che li ha portati sulle tracce di Zagaria. Ormai il boss è consapevole che ha i minuti contati. Lui è al buio, il motore fermo, non circola l’aria. Il procuratore aggiunto di Napoli, Federico Cafiero De Raho, teme che possa sentirsi male. Arriva pure l’ambulanza.

Il boss comincia ad avere qualche problema: «Sono io, sono Michele Zagaria. Voglio parlare con un vostro responsabile – grida – non sparate, voglio uscire, non sono armato…». «Sono Vittorio Pisani…». Si tratta, perchè in questi casi la consegna deve avvenire in condizioni ottimali. E il buio non lo è.

Viene perforato il muro e calato un filo elettrico per consentire a Zagaria di riattivare il motore. Con l’elettricità il telecomando entra in funzione. Poi Pisani si cala per la scaletta. Un piccolo vano, una grande stanza di una ventina di metri quadri. Il procuratore Cafiero De Raho sbotta: «Zagaria, lo Stato ha vinto». E già, il boss pensava che fino a ieri fosse solo lui il rappresentante di quello Stato chiamato Gomorra. Ieri, ha dovuto riconoscere che lo Stato aveva sconfitto Gomorra.

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La Scheda:

Zagaria, primula rossa della camorra. Affari, appalti e un impero mondiale

Il “re del cemento” era latitante dal ’95. Condannato all’ergastolo viveva nascosto a Capasenna”.

Michele Zagaria, “Capastorta”, testa storta, è considerato dagli inquirenti uno dei più autorevoli boss della camorra casertana dei Casalesi. Leader nel settore dell’edilizia, a livello nazionale e internazionale, insieme a Francesco Schiavone, “Sandokan”, e Francesco Bidognetti, “Cicciott’ e mezzanotte”, fa parte della nuova camorra dei grandi affari, raccontata da Saviano in Gomorra. Era latitante dal 1995, ricercato per associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione, rapina e altri reati. Dall’agosto del 2000 erano state diramate le ricerche in campo internazionale per l’eventuale arresto ai fini estradizionali.

Secondo le ultime intercettazioni aveva il comando degli affari illeciti in Emilia Romagna, con ramificazioni in Lazio, Toscana, Umbria e Abruzzo. Nel 2008 fa parte del lungo elenco di condannati per il processo Spartacus, insieme ad altri esponenti di spicco del clan, come gli stessi Schiavone e Bidognetti. Il 13 e il 15 ottobre del 2010 colleziona due condanne all’ergastolo dalla corte d’assise e la corte d’appello di Latina per omicidio, come mandante dell’esecuzione di Pasquale Piccolo, ucciso il 22 luglio 1988 a Gaeta. Dal 26 luglio, nella speranza che fosse identificato, la polizia scientifica ha diffuso un identikit, in base alle descrizioni di alcuni pentiti; senza risultati, fino ad oggi.

Di certo Zagaria non si è allontanato molto nella sua latitanza, è stato arrestato nel suo paese natale, Casapesenna, a sud dei più tristemente famosi Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa, sull’Asse di Supporto, quella che per gli inquirenti è “la strada della camorra”. Il potere del boss si fonda proprio sul controllo del territorio. «A partire dal 2001 e fino a poco prima del mio arresto – ha messo a verbale un pentito dei Casalesi, Emilio di Caterino – per le grosse estorsioni, qualunque fosse il territorio in cui esse avvenivano e qualunque fosse la fazione dei Casalesi che aveva il controllo di quel territorio, il denaro comunque arrivava a Michele Zagaria, il quale provvedeva a distribuirlo fra tutti».

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