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Il Procuratore Nazionale Antimafia a Liberazione insiste nel porre l'attenzione sul riciclaggio di denaro sporco.

pietro-grasso2(Da Liberazione – 27 marzo 2009)
«La mafia fenomeno dilagante.Un errore circoscriverla al Sud»

Il procuratore Pietro Grasso

Gemma Contin
Pietro Grasso, in magistratura dal 1969, è stato titolare di importanti indagini come quella sull’omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Nel 1984, giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra, con 475 imputati, sarà l’estensore della sentenza di ottomila pagine che irrogò 19 ergastoli e 2.500 anni di reclusione. Consulente della Commissione Antimafia presieduta dal senatore Gerardo Chiaromonte e poi da Luciano Violante, viene chiamato da Claudio Martelli come consigliere al Ministero di Grazia e Giustizia quando Giovanni Falcone si insedia a capo della Direzione Affari penali. Procuratore a Palermo dall’agosto del 1999, nei quattro anni della sua direzione sono state arrestate per reati di mafia 1.779 persone e 13 dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia. L’11 ottobre 2005 è diventato il procuratore capo della Direzione nazionale antimafia.

Dottor Grasso, alla relazione secretata della Dna è seguita la sua audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia a tarda sera, praticamente a porte chiuse. Era avvenuto in casi molto rari.
L’avevamo secretata per gli uffici, anche se poi è apparsa sul sito dell’ Unità , perché si tratta di un documento per gli addetti ai lavori, per la Commissione Antimafia. La prima copia l’ho mandata al Procuratore generale della Cassazione per l’apertura dell’Anno giudiziario, per dare conto di quello che si è fatto durante il 2008.

E’ anche l’insieme delle relazioni delle Procure distrettuali antimafia. Un quadro sullo stato del Paese?
Qualcuno pensa che in questo ufficio non si faccia granché, ma questo è un ufficio che ha un ruolo importante per riuscire a coordinare, razionalizzare e valorizzare tutte le indagini che si compiono sul territorio, creando i collegamenti tra le varie Procure d’Italia, perché i criminali si muovono, non stanno fermi nei siti di origine, e soprattutto non stanno fermi i patrimoni. Promuovere le competenze e metterle in connessione per capire come si muove la criminalità organizzata è un lavoro fondamentale, che non potrebbe essere fatto dalle singole Procure e che non va fatto guardando solo a quello che succede in Calabria o in Sicilia o a Napoli.

Quello che emerge, ed è il dato più preoccupante, come scrive il procuratore Macrì a proposito della ‘ndrangheta, è che il radicamento degli affari mafiosi riguarda il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Lazio, l’Umbria. Come si controlla un fenomeno così tentacolare, e di che entità sono gli affari che muove, partendo dai dati di Sos Impresa che parla di 130-150 miliardi, mentre altri ipotizzano un giro di 400 miliardi?
Sono dati non attendibili, frutto di mere intuizioni, spesso valutati per eccesso, desunti dalla misurazione di un singolo accertamento e poi moltiplicati per gli ipotetici interessi su un territorio. Non può mai esserci un calcolo preciso su dati certi. Sono però cifre indicative e certamente si tratta di grandi quantità di denaro, tenendo conto che la criminalità svolge un’attività predatoria sul suo territorio ma poi investe altrove, spostandosi dalle aree di origine a tutto il circuito nazionale e internazionale. Questo la mia relazione lo dice in modo chiaro. Non c’è regione dove la criminalità non abbia una base operativa da cui muove i suoi interessi. Si può dire, in sintesi, che la mafia è un fenomeno nazionale, intendendo per mafia tutte le organizzazioni criminali, non solo Cosa Nostra ma anche la camorra, la ‘ndrangheta, la criminalità pugliese e tutto il resto, con dimensioni che sono diventate globali per i collegamenti con le altre criminalità internazionali.

Si smonta del tutto l’idea delle mafie come fenomeno meridionale?
Bisogna evitare di ghettizzare il fenomeno continuando a dire che è un problema delle regioni del Sud. Questo è un errore drammatico che tende a circoscrivere il fenomeno, che invece è dilagante. Al Sud continua ad esserci il controllo del territorio e l’assoggettamento dei singoli con il pizzo, le intimidazioni, i privilegi mafiosi. Ad esempio, spesso chi deve lavorare ha bisogno del nullaosta del boss di quartiere; se si vuole vendere una casa o un esercizio commerciale sul libero mercato prima bisogna accertarsi che non ci siano interessi all’acquisto da parte dei mafiosi. Ma, detto questo, e accertato che il condizionamento mafioso continua ad esserci e ad essere praticato a man bassa, poi bisogna guardare agli affari, a quello che avviene sul territorio nazionale.

La relazione parla delle connessioni e della permeabilità delle attività legali. Si fanno anche dei riferimenti precisi, e il procuratore Macrì scrive del rischio connesso al grande affare dell’Expo 2015.
Sono allarmi che noi lanciamo, perché ci sono dei soggetti che, nel corso delle indagini, hanno mostrato questi interessi. Spesso la pubblica amministrazione non sa chi sta dietro coloro ai quali affida gli appalti. Bisogna però stare attenti a non criminalizzare pregiudizialmente tutto. Io sostengono che non ci possiamo fermare perché c’è questo pericolo, ma bisogna attivare tutti quei controlli e quelle antenne in grado di impedire che i soldi, gli affari, gli appalti, i finanziamenti pubblici vadano a vantaggio di queste forme di criminalità che sono celate dietro facciate assolutamente legali.

Ci sono però anche indicazioni precise, benché nell’ambito di un ragionamento generale. In questi casi cosa succede?
Noi le indagini le facciamo per cercare le responsabilità: responsabilità individuali sotto il profilo penale; anche se spesso queste responsabilità non si riescono a trovare secondo i canoni probatori. Anche senza arrivare a una condanna, i comportamenti accertati dovrebbero servire per valutare responsabilità professionali, disciplinari o politiche. O comunque dovrebbero essere utilizzati per un’azione preventiva, e per evitare che i fenomeni si allarghino e si riproducano.

Cosa intende per azione preventiva?
Si possono fare delle circolari, regolamenti, leggi, che cerchino di trarre esperienza dalle indagini per agire sotto il profilo preventivo. Facciamo l’esempio dei pubblici appalti. C’è una legislazione che spesso cambia, ma la mafia riesce sempre a trovare il modo di vanificarla. Non esiste legge perfetta se chi la deve applicare invece la aggira, se gli imprenditori si mettono d’accordo tra loro, se una volta vinto un appalto poi subentra, con l’intimidazione, un soggetto del tutto diverso. Allora bisogna porre delle condizioni di trasparenza insuperabili. Per esempio, l’obbligo di denunciare la richiesta di tangenti con sanzioni fino alla rescissione del contratto. O la clausola che tutta la contabilità di un’impresa, di un cantiere che faccia lavori pubblici, venga fatta transitare su un unico conto trasparente, da cui poter desumere la tracciabilità di tutti i movimenti di denaro. In modo da poter riscontrare il lavoro in nero, o il pagamento di una tangente, o l’ingresso di capitali sporchi, o se si intrattengono rapporti con persone che non sono abilitate a fare quel lavoro e così via.

E secondo lei funziona da deterrente?
Se non c’è la capacità di imporre un’etica dell’economia, un’etica dell’impresa, bisogna tentare altre strade per prevenire l’illegalità, come, ad esempio, l’utilità o, di contro, una sanzione. Io ricordo quando Vito Ciancimino diceva che noi magistrati eravamo dei pazzi perché volevamo entrare nei meccanismi degli appalti pubblici, e sosteneva che questo avrebbe fatto crollare il sistema, bloccando tutti i lavori e le attività. Insomma, secondo lui non bisognava toccare niente, perché si rischiava di far crollare tutta l’Italia, dato che il sistema dei finanziamenti pubblici era quello che faceva girare il Paese, la politica, la burocrazia, la pubblica amministrazione. E mettere un bastone fra le ruote di quel meccanismo comportava che si sarebbe inceppato. E lo diceva essendo lui il grande manovratore e il grande distributore di quel sistema. Questo per dire che si deve fare tesoro delle indagini compiute per arrivare a formulare proposte dotate di senso, che possano funzionare. Comunque bisogna cercare di prevenire, perché non si può perseguire tutto o reprimere tutto.

Con un Piano Casa che darà la stura alla deregolamentazione edilizia, settore ad alta pervasività illegale; con il varo delle Grandi Opere attorno a cui si muovono tutti gli affari delle aree, del cemento, dei noleggi e dei subappalti, in nome della Legge Obiettivo con procedure fuori dalla potestà delle amministrazioni locali; secondo lei il legislatore va in questa direzione?
Noi non siamo legislatori. Siamo i magistrati che si muovono sulla base di risultanze che provengono dall’esperienza delle indagini condotte. Poi quello che ci compete è di proporre le nostre valutazioni tecnico-giuridiche al Governo, al Parlamento, quando siamo consultati o davanti alla Commissione Antimafia. E’ la Commissione parlamentare che ha istituzionalmente il compito di avanzare proposte, le quali, essendo l’Antimafia composta da tutte le componenti politiche rappresentate nei due rami del Parlamento, dovrebbero ottenere la piena adesione a livello legislativo. Noi non possiamo fare altro. Sul Piano Casa posso dire che essendo tuttora oggetto di confronto io non posso entrare nel merito di una proposta non ancora definita. E poi mi sembra che ci siano regioni virtuose che si sono già date delle regole, e regioni meno virtuose che dovranno darsele. Comunque una cosa è se un privato cittadino deve ampliare la sua abitazione anche del 30% senza danni ambientali, altra cosa se si amplia del 30% un grande albergo, con gravi ricadute ambientali e di cui magari non si sa neppure chi sono i veri proprietari.

E per quanto riguarda le Grandi Opere?
Anche lì, io penso che non si possa frenare lo sviluppo delle grandi infrastrutture per paura che se ne impadronisca la criminalità organizzata. Occorre fare le opere ma contemporaneamente attuare i controlli che abbiamo suggerito: tracciabilità dei conti, trasparenza contabile, rescissione dei contratti in caso in cui parte dei soldi pubblici vadano, attraverso le tangenti, alla criminalità o a pratiche corruttive; e poi le tutele previdenziali e antinfortunistiche, insomma tutta la casistica della legalità. Io farei una sorta di white list , il contrario delle famigerate black list , dove mettere tutte le imprese che si impegnano a rispettare questi principi. E la pubblica amministrazione dovrebbe attingere soltanto da questa white list i nominativi delle imprese per le opere pubbliche, mettendole fuori se violano quell’impegno. Non fuori dalla quella singola opera ma fuori per sempre dal sistema degli appalti pubblici. Tra l’altro, alcuni magistrati del mio ufficio partecipano al Comitato per le Grandi Opere istituito presso il Ministero dell’Interno, dove tutti questi concetti vengono elaborati e riscontrati.

Una questione di cui si discute molto è quella sulle intercettazioni, con alcune limitazioni anche nelle indagini di mafia. Come stanno le cose?
C’è l’esigenza di trovare un punto di equilibrio. Sia chiaro, le intercettazioni devono essere assolutamente essenziali per poter accertare prima l’esistenza di reati e poi la responsabilità individuale. Il problema è che, seppure si dice che le limitazioni non toccano i reati di mafia e di terrorismo, ci sono però delle norme generali che hanno la loro influenza. Per esempio sull’equiparazione tra le riprese visive, i tabulati e le intercettazioni. Cose diverse che se vengono equiparate sono tutte sottoposte all’autorizzazione di un tribunale collegiale. Se ci sono i controlli visivi in un luogo pubblico, con telecamere poste per ragioni di sicurezza a tutti gli angoli delle banche e dei centri commerciali, poi come si fa a dire che le relative riprese non possono essere utilizzate senza l’autorizzazione preventiva del giudice. Come si fa? Si chiede l’autorizzazione prima che il reato venga commesso? In realtà quelle riprese fotografano una situazione pubblica visibile a tutti. Già sono state fatte, allora perché non utilizzarle? Diverso è se si devono fare in un luogo privato. Comunque c’è già una sentenza della Corte di Cassazione che delimita le due tipologie del pubblico e del privato. Poi ci sono le iniziative delle forze di polizia che attualmente non hanno bisogno di autorizzazione. Allora, come si conciliano le due cose? Bernardo Provenzano è stato catturato proprio grazie alle telecamere disseminate un po’ dappertutto. E’ impensabile dover chiedere l’autorizzazione per ognuna di queste, mano a mano che si andava avanti nelle indagini. Inoltre, nel momento in cui si posiziona una telecamera uno non può sapere cosa succederà. Si mette e poi si vedrà. Non si può motivare al magistrato la richiesta di autorizzazione preventiva sulla base di un’ipotesi di qualcosa che si è previsto che ragionevolmente possa accadere lì, ma che non è certo che accada. La stessa cosa vale per i tabulati, che servono per verificare i collegamenti tra persone. Inoltre, sulle intercettazioni a volte bisogna intervenire urgentemente, a qualsiasi ora di qualsiasi giorno, feriale o festivo che sia. Ma nel progetto di legge non è prevista una norma che dia la possibilità di intervenire per ragioni di urgenza, con una serie di reati come il sequestro di persona, o l’estorsione, che implicano un intervento immediato, e siccome il Pm non lo può fare, e la polizia non può rimanere bloccata, bisognerebbe pensare a un tribunale che 24 ore su 24 in seduta costante sia pronto a dare l’autorizzazione quando serve. Come vede, cose impensabili; cose pensate solo da chi non sa come funzionano gli uffici giudiziari. Poi ci sono gli indizi di colpevolezza che, quando ce li hai, hai già scoperto il reato, e dunque le intercettazioni non servono più. E ci sono norme, sempre per i reati di mafia, che prevedono che non si possa effettuare nessuno stralcio, nessuna separazione: se non si è chiuso con le indagini per tutti, si devono scoprire le carte anche non pronte per il giudizio. Un’altra norma prevede che, per ogni autorizzazione, devi ogni volta prendere tutte le carte delle indagini e mandarle al Tribunale. Chi ha pensato a tutto questo non ha idea di cosa voglia dire prendere trenta faldoni, trasportarli dalla Procura al Tribunale, farsi autorizzare, farli ritornare indietro, con problemi di circolazione, di riservatezza, di passaggio di carte, integrità dei documenti, fuga di notizie.

Lei qualche giorno fa ha partecipato alla manifestazione di Libera a Napoli contro la camorra, su cui si è levata anche la voce di Roberto Saviano. E grande attenzione viene posta sulla ‘ndrangheta, ripresa nella relazione del procuratore Macrì e specifico oggetto di inchiesta della precedente Commissione Antimafia. Attorno a Cosa Nostra sembra essere calato invece un silenzio inquietante. Cosa succede in Sicilia?
Contro Cosa Nostra ci sono stati tanti di quei risultati che quelli che sono rimasti non sono in grado di riorganizzare le fila, perché non sono all’altezza di quelli che sono stati arrestati. In effetti una destrutturazione c’è stata, un modo di mettere alle corde l’organizzazione, che evidentemente non può funzionare al meglio senza le vecchie strutture, come la Commissione, che non sono più operative, essendo fallito anche l’ultimo tentativo soffocato a Palermo con l’operazione Perseo. Sappiamo però che le famiglie mafiose rimangono tristemente ancora efficaci ed operative sul territorio, cosa da non sottovalutare mai. Tra l’altro una cosa è Palermo, dove l’attenzione è stata alta, un’altra cosa è tutto il resto: la provincia, i paesi, dove il controllo mafioso è sempre lo stesso. Un’altra cosa ancora è il resto della Sicilia, le altre province, dove si sono fatti dei passi avanti ma c’è ancora tanto da fare. Per questo bisogna tenere i riflettori sempre accesi. Abbiamo scoperto questo tentativo di ricostituire la Cupola, e sappiamo che ci riproveranno, ci riproveranno sempre, convinti che il tempo gioca a loro favore, perché l’esperienza ci insegna che Cosa Nostra piano piano riprende il controllo. Il tempo, che per noi è tanto importante, per Cosa Nostra è del tutto ininfluente. Il tempo è un fattore che dà una mano a loro, perché noi ci stanchiamo e loro no. Allora bisogna invertire questo concetto. Bisogna che Cosa Nostra si convinca che noi non ci stancheremo mai.
27/03/2009

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