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“Chi specula sull’acqua del Sannio”. Sul settimanale L’Espresso, lo scandalo dell’Alto Calore.

Da L’Espresso del 27 maggio 2013

 Scandali. Chi specula sull’acqua del Sannio

di Martino Villosio

Tra Avellino e Benevento, in una zona ricchissima di risorse idriche, in circa 130 comuni i rubinetti funzionano a singhiozzo. Colpa del consorzio Alto Calore: che ha 87 milioni di debiti ed è accusato da più parti di essere una roccaforte di assunzioni ‘politiche’

Monia Bontiempo vive a San Giorgio del Sannio, undicimila anime nella provincia di Benevento. Per lei l’estate del 2012 è difficile da dimenticare: “Ero agli ultimi mesi di gravidanza, con il caldo terribile di quelle settimane mi è capitato di rimanere con i rubinetti a secco anche per due giorni di seguito”. Da maggio fino a fine settembre ha vissuto senza poter usare l’acqua corrente dopo le otto e mezza di sera. “E nei week-end la staccavano in pieno giorno, senza preavviso”.

Quest’anno però si è attrezzata: “Ho fatto installare un’autoclave con la scorta di un quintale di acqua. Dalle nostri parti tutti ne hanno una in casa. Anche perché da circa 15 giorni è ricominciata la solita solfa”.

Protestare inutilmente o rassegnarsi a convivere con disservizi quotidiani e anacronistici. Il destino di Monia è quello di centinaia di persone che abitano tra il beneventano e una grossa fetta della provincia di Avellino. Tutti alle prese con un fenomeno, quello dei cronici intoppi nella fornitura dell’acqua pubblica, che tra Sannio e Irpinia fa fiorire il mercato dei serbatoi domestici. E stride in modo surreale con la realtà proposta da qualunque carta idrografica.

“La provincia di Avellino, grazie soprattutto al massiccio del Terminio, dispone di un bacino idrico talmente ampio da alimentare gli acquedotti di ben tre regioni italiane, compresa la Puglia”, spiega Gabriele Corona, presidente dell’associazione Altrabenevento, una vita passata a scandagliare i retroscena delle scelte ambientali e di sviluppo nel suo territorio. “Nella provincia di Benevento c’è un altro massiccio, quello del Taburno, più una serie di sorgenti minori. Insomma i problemi degli utenti non dipendono certo dalla scarsità di materia prima”.

E’ un paradosso, quello che condiziona la vita di tantissimi abitanti dell’Appennino Campano, che si perpetua da anni tra montagne ricche di acqua e case dove i rubinetti funzionano a singhiozzo. Un disagio mai degenerato in rivolta né esploso sulle pagine delle cronache nazionali. Almeno fino ad oggi.

Per tutti l’emergenza ha un volto e un nome preciso: Alto Calore Servizi spa. Si tratta del consorzio che gestisce il servizio idrico, e riscuote le bollette, per conto di circa cento comuni avellinesi e di una trentina di centri del Beneventano.

Proprio venerdì scorso il direttore generale della società, Eduardo Di Gennaro, si è presentano in prefettura ad Avellino e al cospetto dei rappresentanti sindacali ha snocciolato cifre da brivido: la Alto Calore spa ha 87 milioni di euro di debiti, distribuiti tra erario, fornitori, ditte impegnate nella manutenzione delle reti e soprattutto gli stessi comuni, che attendono di riscuotere una cifra oscillante tra i 15 e i 20 milioni di euro. Un quadro economico destinato, è il timore di molti, a incidere ancor di più sulla qualità del servizio erogato ai cittadini. Al punto che, un mese fa, l’azienda ha chiesto alle prefetture di Benevento e Avellino di poter sospendere l’acqua tra le 22 e le sei del mattino in tutti i centri.

Permesso negato, ma in molti comuni clienti di Alto Calore tira aria di rivolta. Basta ascoltare le parole esasperate di Carlo Pizzullo, il sindaco di Montecalvo Irpino eletto nel 2009 con una lista civica: “Quest’anno ho intenzione di invitare i cittadini a non pagare più la bolletta dell’acqua se si ripeteranno disservizi all’utenza che vanno avanti da troppo tempo”.

Paesi interi, nella torrida estate del 2012, da quelle parti sono rimasti a secco per giorni e anche quest’anno da Solopaca a Buonalbergo, da Taurasi alla zona del Tricolle ci si attrezza per il peggio mentre fioccano i contenziosi per migliaia di euro tra le amministrazioni e Alto Calore.

Il sindaco di Amorosi Giuseppe Di Cerbo, nel maggio dell’anno scorso, ha persino depositato un esposto in Procura a Benevento. “Nel 2006 Alto Calore firmò una convenzione con la precedente amministrazione”, racconta, “con cui assunse la gestione del servizio idrico, la manutenzione ordinaria della rete e il diritto di riscossione delle bollette”. Tre anni dopo il comune si è ritrovato sommerso da richieste di risarcimento di cittadini inferociti e con l’ottantasei per cento delle cantine allagate, ma soprattutto con un debito di circa 500.000 euro (oggi salito a 800.000) nei confronti di Acqua Campania, la società regionale che si occupa di fornire materialmente l’acqua. “Alto Calore ha riscosso le bollette”, denuncia il sindaco, “ma ha omesso di versare al comune la quota necessaria a pagare Acqua Campania. Quando sono arrivato, nel 2009, ho trovato una situazione debitoria disastrosa”.

Non solo: a febbraio dello scorso anno, Alto Calore ha deciso unilateralmente di rescindere il contratto con il comune di Amorosi. “E nonostante ciò hanno continuato a riscuotere le bollette fino a giugno”, racconta Di Cerbo. “Ad oggi stiamo ancora aspettando che ci consegnino infrastruttura e banca dati degli utenti”.

Altrove non va meglio. Dal comune di Ariano Irpino a quello di Avellino, da Taurasi a Buonalbergo, passando per Montecalvo sono in molti a rivendicare crediti per migliaia di euro. Si tratta, in quasi tutti i casi, della quota di bolletta pagata dagli utenti per il servizio di depurazione e fognatura. “Quei soldi sono dei comuni, dunque dei cittadini”, dice uno dei sindaci interpellati. “Invece Alto Calore se li è tenuti e non si comprende a quale titolo”. Dalla parte opposta della barricata, è il direttore generale Di Gennaro a replicare. Sui disservizi: “Non è colpa nostra se la rete è fatiscente e ci causa perdite ingenti, spetterebbe alla Regione investire per ammodernarla e ai comuni provvedere agli interventi straordinari”. Sulla drammatica situazione finanziaria: “Il cda lo scorso anno ha varato una task force per il recupero di 92 milioni di euro di crediti che vantiamo nei confronti degli utenti morosi, pubblici e privati, compresi molti comuni. Nel solo 2012 abbiamo recuperato 7 milioni di euro”.

Ma perché si è arrivati a questa situazione? “Abbiamo costi altissimi di energia elettrica”, spiega ancora l’ingegner Di Gennaro, “visto che dobbiamo pompare l’acqua che distribuiamo, e poi le tariffe che applichiamo sono vincolate alla soglia fissata nel 2009 dal CIPE, troppo basse”.

Questo però, è soltanto un pezzo dell’affresco. Rimangono da citare i ben 357 dipendenti, in buona parte amministrativi, inglobati dall’azienda. Un debito già altissimo che con l’ultima gestione, dal 2010 ad oggi, è cresciuto di 17 milioni di euro. E alcune scelte discusse, come come i passaggi di livello e le numerose promozioni caratterizzate da colore politico denunciate dai sindacati. Un esempio su tutti, la Direzione dell’area idrica affidata al sindaco UDC di un comune dell’avellinese, diplomato geometra.

“Alto Calore non è un soggetto in mano a capitali privati”, spiega ancora il presidente di Altrabenevento Gabriele Corona. “I suoi soci, oltre alla provincia di Avellino, sono gli stessi comuni, che votano le scelte del cda e al contempo ricevono i servizi come clienti. Per anni, da entrambe le parti, non c’è stato interesse ad aprire contenziosi sui crediti e ad esigere pagamenti puntuali. Oggi, con i comuni che annaspano a causa dei tagli e i controlli stringenti sui bilanci della Corte dei Conti, la situazione è esplosa”.

A implodere, sotto il peso di scelte per troppo tempo condizionate dalla politica, potrebbe essere proprio l’Alto Calore. Roccaforte di un potere che in Irpinia ha resistito ben oltre il tramonto della Prima Repubblica. Nel 2003, tanto per fare un esempio, il contestato processo di sdoppiamento del consorzio, con la creazione di una società per i servizi e una per la gestione del patrimonio (e relativa moltiplicazione di costi e poltrone) ebbe come consulente lo studio del professor Roberto Fazioli e di Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, che pochi mesi fa ha lasciato la poltrona di vice-presidente della Regione Campania per occupare quella di deputato in Parlamento.

Mentre nel 2010 il centrodestra, dopo aver conquistato la Regione e la Provincia di Avellino, si prese anche l’Alto Calore: il bilancio di risanamento della società, proposto dall’allora presidente Franco Maselli (espressione Pd) fu bocciato per il clamoroso ammutinamento della maggioranza dei comuni. Da allora è presidente il pidiellino Franco D’Ercole.

Nel cda attuale, oltre al vice-coordinatore del Pdl beventano Fernando Errico (vicino alla Ministra dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo) siedono tre consiglieri UDC vicini ai De Mita. Nessuno di loro, venerdì scorso, era presente all’incontro in prefettura con i sindacati. Tra pochi giorni, ad Avellino e in diversi comuni dell’Irpinia, si vota per le amministrative. E il dissesto dell’Alto Calore non è una stelletta da appuntarsi orgogliosamente sul petto.

Circa un mese fa in compenso, sul sito internet della società, sono spuntati due avvisi di selezione pubblica per l’assunzione di nuovi operai. Qualcuno, vista la difficile situazione economica del consorzio, ha storto il naso. Solo i più maliziosi, però, hanno collegato la notizia al fatto che Giovanni D’Ercole, figlio di Franco, fosse in quel momento candidato al comune di Avellino con una lista civica. “Proprio perché erano iniziate le illazioni dei giornali, ho annullato il bando”, replica secco il presidente D’Ercole.

I sindacati, però, hanno criticato altre circostanze “bizzarre”: come la candidatura alle elezioni avellinesi di una pattuglia di dipendenti di Alto Calore nella lista centrista Libera Azione Democratica, ispirata dal vicepresidente Eugenio Abate. Oppure il convegno organizzato dai vertici della società lo scorso febbraio ad Avellino, per discutere di “servizio idrico integrato”. Di fronte ai dipendenti sollecitati a partecipare, invece di tecnici ed esperti del settore, avrebbero dovuto intervenire Cosimo Sibilia, candidato al Senato con il Pdl, e Giuseppe De Mita, allora in corsa per la Camera. Anche in questo caso, tutto annullato di fronte all’accusa di utilizzare la società per scopi elettorali.

Con l’attuale gestione in scadenza il trenta giugno, l’esito dell’imminente tornata elettorale sarà decisivo per scolpire gli equilibri del nuovo cda. “Questa volta però in palio c’è il timone di una società da risanare e da modernizzare”, dice Lello De Stefano, responsabile locale del Pd per gli enti di servizio. “Ormai è necessaria una gestione di salute pubblica, per compiere scelte anche dolorose, ma non più rinviabili”.

Tradotto: dopo essere stata per anni serbatoio di consenso e potere, oggi Alto Calore è una questione che scotta tremendamente nelle mani della classe dirigente campana. E rischia di diventare la metafora del tramonto rovinoso di un’era politica.

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