Trattativa stato-mafia, Del Basso De Caro è l’avvocato o il “testimone politico” di Mancino?
Stampa questo articoloDa Il Sannio Quotidiano del 22 agosto 2012
Nicola Mancino, rinviato a giudizio per falsa testimonianza sulla trattativa stato-mafia, sceglie come avvocato Umberto Del Basso De Caro.
di Teresa Ferragamo
E’ cominciata a Circello la rassegna di cineforum sul tema: “Senza memoria non c’è futuro” organizzata dalla associazione Cercellum. Ieri l’altro (20 agosto) la prima serata dedicata ad un approfondimento sul meta della trattativa stato-mafia con la proiezione del film “La Mattanza” di Carlo Lucarelli introdotto da un intervento di Gabriele Corona, presidente di Altrabenevento il quale ha avuto modo di soffermarsi anche sui recenti provvedimenti della Procura di Palermo che ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex colonnello dei carabineri, Mario Mori ed altri 11 tra capi di Cosa Nostra e politici per la trattativa stato-mafia. Corona si è anche soffermato sulla posizione processuale di Nicola Mancino, ex Ministro dell’Interno nominato subito dopo la uccisione di Falcone, accusato di falsa testimonianza per aver dichiarato di non essere a conoscenza della trattativa. Mancino è difeso dall’avvocato Umberto del Basso De Caro.
Ecco la sua dichiarazione:
“Francesco Messineo, il procuratore capo della Repubblica di Palermo di recente, smentendo le malelingue, ha confermato il pieno sostegno ai magistrati del suo ufficio che hanno chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio degli alti ufficiali dei carabinieri, Mario Mori, Giuseppe De Donni e Antonio Subranni, dei politici Marcello Dell’Utri, Calogero Mannino e Nicola Mancino, dei capi clan Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Nino Cinà, Giovanni Brusca, per la cosiddetta trattativa stato-mafia.
I fatti sono oramai noti da tempo e si intrecciano con la morte di Falcone e Borsellino, la revisione del carcere duro per 441 mafiosi, il sistema del “tavolino a tre gambe” per la spartizione degli appalti tra politici, capi clan e imprese di costruzioni.
L’ex vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino è però accusato solo di falsa testimonianza per aver dichiarato ai magistrati di non essere a conoscenza della trattativa. Addirittura Mancino ha sostenuto di non ricordare affatto di aver incontrato Paolo Borsellino, 15 giorni dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, e quindi di non aver presente che il magistrato gli avesse riferito di una inquietante “negoziato” in atto tra uomini dello stato e la mafia. L’affermazione meraviglia perchè in quei giorni, dopo la strage di Capaci, tutti sapevano chi erano e come erano fatti, i due magistrati uccisi dalla mafia e quindi è difficile immaginare che proprio il Ministro degli Interni, Nicola Mancino, non avesse riconosciuto Borsellino o non lo avesse affatto ascoltato quando gli parlava di questa “bazzecola”.
Sono ancora più sorprendenti le dichiarazioni del legale di Mancino, l’avvocato Umberto Del Basso De Caro, rilasciate agli inizi di questo mese alla emittente televisiva, canale 58 di Ariano Irpino.
Il consigliere regionale del PD, infatti, ha ricordato che Mancino era stato da poco nominato ministro degli Interni, in sostituzione di Vincenzo Scotti, e quindi di aver incontrato molte persone che passavano a salutarlo o fargli gli auguri e quindi è possibile che non ricordasse, tra i tanti, Paolo Borsellino. E’ vero che in quei giorni il governo aveva revocato l’incarico a Scotti e anche quello al ministro della Giustizia, Claudio Martelli (sostituito con Giovanni Conso) perché, a quanto sembra, ritenuti troppo determinati nella lotta alla mafia, ma rimane comunque il fatto che un uomo politico navigato, come era già all’epoca, Nicola Mancino non poteva confondere Borsellino con un qualunque personaggio passato a rendergli omaggio.
Del Basso poi, rispondendo ad una domanda del suo intervistatore Gianni Raviele, anche lui buon amico di Mancino, ha affermato che a suo avviso, la trattativa stato-mafia non c’è stata affatto e se l’ex colonnello Mori incontrò i capi clan, lo fece solo per sua autonoma iniziativa.
Ha quindi tuonato contro Antonio Ingroia, sostenendo che le conclusioni della sua indagine non si possono definire neppure come “teorema giudiziario” perché si tratterebbe solo una manifestazione onirica, cioè un sogno, o meglio di un incubo. Ha citato a tal proposito proprio le presunte divergenze del famoso magistrato con il capo della Procura, Messineo, poi smentite dai fatti.
Infine il noto avvocato e politico beneventano, ha dichiarato che l’azione giudiziaria è stata fortemente condizionata dal fatto che sia Scotti che Martelli, erano notoriamente avversari politici di Mancino. Come a dire che le dichiarazioni dei due ex ministri sono state dettate da risentimento e quindi che il problema non è “processuale” bensì politico. E per questo Mancino si affidato a Del Basso De Caro, che oltre ad essere un conosciuto ed esperto avvocato, è anche uomo politico navigato che ha vissuto quegli anni in prima fila a fianco di Craxi?”
Pereira50
L’AVVOCATO Del Basso De Caro, che ha l’ingrato compito di difendere l’indifendibile, esamini con attenzione la lettera che segue: in essa il Suo assistito da una parte conferma di aver telefonato a Paolo Borsellino mentre questi interrogava Gaspare Mutoloha, provocando l’interruzione dell’interrogatorio, e, contemporaneamente, ha sostenuto per circa tre anni di non averLo incontranto, e, poi, interrogato da Di Matteo ha ammesso di non poter escludere di avergli stretto fugacemente la mano, su richiesta di Parisi.
Ma allora perchè gli ha telefonato ?
LA LETTERA AL CORRIERE 17.07.2009
Mancino: «Salvatore Borsellino fa sempre una citazione monca»
«Se ci fosse stato l’incontro, perché avrei dovuto nasconderlo?»
ROMA – Egregio Direttore, nell’imminenza dell’anniversario della strage mafiosa di via D’Amelio nella quale caddero il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta, mi trovo, mio malgrado, di nuovo messo sotto accusa da Salvatore Borsellino che, dopo un lungo silenzio di oltre dodici anni dall’accaduto, da qualche tempo crede di avere individuato una mia presunta responsabilità morale nell’attentato, che afferma ma non prova. Questa volta lo strumento usato per quella che non esito a denunciare come una aggressione personale, è una videointervista pubblicata oggi, senza che a me sia stata data l’opportunità di replicare, sul sito «Corriere.it».
Nella videointervista Salvatore Borsellino ripete senza modifiche le sue accuse. La ricostruzione dei fatti si ricava dall’interrogatorio che Gaspare Mutolo rese il 21 febbraio del 1996 nell’aula del processo celebrato a Caltanissetta per la strage di via D’Amelio. Senonchè Salvatore Borsellino cita sempre, e anche nel video riportato oggi dal Corriere.it, una sola parte di quella testimonianza, in cui il magistrato dice al pentito che deve allontanarsi per andare al Viminale. Sono in possesso delle pagine processuali. Sono un po’ lunghe. Cito, perciò, dal volume «L’agenda rossa di Paolo Borsellino», di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, ed. Chiarelettere, pag. 146. «Sai, Gaspare, debbo smettere perché mi ha telefonato il ministro, ma…manco una mezz’oretta e vengo». Salvatore Borsellino cita continuamente questa frase, ma mai ricorda quel che Paolo Borsellino disse allo stesso Mutolo al suo ritorno dal Viminale. Se proseguiamo nella lettura de «L’agenda rossa», nella stessa pagina 146, possiamo leggere il seguito del racconto di Mutolo: «Quindi (Paolo Borsellino) manca qualche ora, quaranta minuti, cioè all’incirca un’ora, e mi ricordo che quando è venuto, è venuto tutto arrabbiato, agitato, preoccupato, ma che addirittura fumava così distrattamente che aveva due sigarette in mano. Io, insomma, non sapendo che cosa (…) Dottore, ma che cosa ha? E lui, molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa del ministro, si è incontrato con il dott. Parisi e il dott. Contrada…»
Dunque, è lo stesso magistrato a non confermare l’incontro con il ministro, ed è la stessa fonte – Gaspare Mutolo – a testimoniarlo. Ma Salvatore Borsellino fa sempre una citazione monca, e dà a me del bugiardo. Se ci fosse stato l’incontro, perché avrei dovuto nasconderlo? Che cosa si sarebbero dovuti dire due persone che non avevano mai avuto rapporti tra di loro il primo giorno dell’insediamento di un ministro al Viminale? Che non si sarebbero dovute tenere trattative con la mafia? E chi le avrebbe tenute? Uno che proprio quel giorno era arrivato al Viminale per assumere la responsabilità di dirigere ordine e sicurezza pubblica? Via! Per ricondurre alla giusta dimensione l’atteggiamento di quel Ministro dell’Interno del governo Amato nei confronti della mafia, si ricostruiscano dalle cronache del tempo impegni, decisioni, azioni di contrasto contro la criminalità organizzata, applicazione dell’art. 41 bis, allestimento delle carceri di massima sicurezza dell’Asinara e di Pianosa, scioglimento di oltre 60 Consigli comunali inquinati dalla mafia e da altre organizzazioni malavitose: tutte iniziative portate avanti con fermezza ed intransigenza dal Ministro Mancino”.