Costa Concordia, l’indagine affidata ad un magistrato di origini beneventane, sfiorato dalla P3.
Stampa questo articoloda La Voce delle Voci- 3 aprile 2012
COSTA CONCORDIA – IL FANTASMA DELLA P3
di Rita Pennarola
A quasi tre mesi dal naufragio vengono a galla nomi, fatti e particolari impressionanti sulla tragica vicenda del Costa Concordia. Si comincia proprio dalle indagini. La Voce rivela in esclusiva come il nome di uno fra i principali investigatori di Grosseto fosse comparso nelle carte dell’inchiesta sulla P3, senza conseguenze giudiziarie per lui, ma con tutta una serie di possibili imbarazzi. E poi la testimonianza choc di un turista spagnolo sui traffici durante gli accostamenti all’isola. Infine, la storia dei fratelli Onorato da Torre del Greco. Last but not least, la strana partnership siglata (e poi ritirata) fra Msc e un’impresa di Giggino Cesaro.
Ma voi ve lo ricordate quel famoso , in Sardegna, sull’attuazione del federalismo fiscale? Chi sicuramente non l’ha dimenticato sono stati quei governatori e sindaci, come Roberto Formigoni e Gianni Alemanno, i quali per aver preso parte all’iniziativa si ritrovarono dentro le carte dell’inchiesta sulla Cricca P3, visto che fra le guest star della due giorni c’era Giacomo Caliendo, all’epoca potente sottosegretario di Stato alla Giustizia nel governo Berlusconi, insieme a numerosi altri vip che sarebbero poi stati indagati, come il primo presidente di Cassazione Vincenzo Carbone.
C’entra qualcosa, tutto questo, con la tragedia del Costa Concordia? Si’: per quanto in apparenza lontanissime, le due vicende risultano tra loro legate da un nome chiave. Perche’ ad organizzare la convention del “Forte” era stato il Centro Studi Giuridici per l’Integrazione Europea Diritti e Liberta’, che vede fra i suoi fondatori lo stesso Caliendo. E che nel 2009 era presieduto da un altro magistrato: il procuratore capo di Grosseto Francesco Verusio. Lo stesso pubblico ministero che oggi coordina le complesse e delicate attivita’ investigative sul naufragio dinanzi all’isola del Giglio.
Il mondo e’ davvero piccolo. Piccolissimo, anzi, se solo si consideri che tanto il procuratore Verusio quanto l’ex sottosegretario Caliendo sono entrambi campani: nato a Benevento, il primo, e a Saviano di Nola, il secondo. Cosi’ come beneventano doc e’ Pasqualino Lombardi, anche lui fra i promotori del convegno, passato alle cronache giudiziarie come indiscusso protagonista della P3, proprio in veste di segretario generale del Centro Studi presieduto all’epoca dal procuratore Verusio. Secondo le accuse, infatti, il Centro avrebbe svolto un ruolo strategico di collegamento fra il coordinatore nazionale Pdl Denis Verdini, il faccendiere Flavio Carboni e molti vertici della magistratura italiana, contatti finalizzati in quel caso alla realizzazione in Sardegna del Parco eolico finito al centro delle indagini.
A settembre 2011, quando i carabinieri si recano nella sede romana del Centro Studi per sequestrare lo statuto, viene alla luce che tra i fondatori del sodalizio, autentico trait d’union per centinaia di magistrati italiani, c’erano stati anche altri vip, a cominciare dal presidente Agcom Corrado Calabro’. Ma, soprattutto, i documenti confermano il ruolo centrale dello stesso Pasqualino Lombardi e dell’altro indagato numero uno della P3, Arcangelo Martino. Quest’ultimo, insieme a Flavio Carboni e a Lombardi, era stato tratto in arresto a luglio 2010 nell’ambito delle prime indagini sul “sodalizio segreto P3”.
Durante la convention 2009 a Verusio, che sedeva al tavolo della presidenza, tocco’ ovviamente il compito di indirizzare ai partecipanti il saluto dei padroni di casa, in quanto presidente del Centro Studi organizzatore dell’evento. Breve il suo incipit, con il ringraziamento preliminare ad ospiti e relatori come Vincenzo Carbone, Giacomo Caliendo ed Antonio Martone (padre dell’attuale viceministro del Lavoro, Michel). Prima di passare la parola a Carbone, che fara’ da moderatore per l’intera sessione, il procuratore Verusio non manca di ricordare il precedente appuntamento organizzato dal suo Centro Studi, che si era tenuto a Milano nel marzo 2009.
Per la cronaca, a gennaio 2012 la Procura di Roma (pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli) ha chiesto il rinvio a giudizio di 20 persone fra cui gli stessi Martino, Lombardi, Carboni e Verdini. Secondo l’accusa Carboni e Verdini, con il senatore Marcello Dell’Utri, avevano «costituito l’organizzazione segreta e, allo scopo di gestirne l’attivita’ e realizzarne gli scopi, sviluppavano una fitta rete di conoscenza nei settori della magistratura, della politica e dell’imprenditoria da sfruttare per i fini segreti del sodalizio e per il finanziamento di esso e dei suoi membri, e cio’ anche grazie all’attivita’ di promozione di convegni e incontri di studio realizzata per il tramite dell’associazione culturale denominata Centro studi giuridici per l’integrazione europea diritti e liberta’».
Nell’udienza del 15 marzo scorso il gip Giovanni De Donato ha ordinato ai pm nuove indagini su un ex componente del Csm. Il giudice si e’ espresso inoltre sulla posizione dell’ex sottosegretario Caliendo, artefice del Centro Studi presieduto da Francesco Verusio. Le condotte di Caliendo sono state definite «al limite fra il penalmente rilevante e il deontologicamente censurabile», dentro un «quadro probatorio che non appare sufficientemente idoneo a esercitare efficacemente l’azione penale nei suoi confronti».
Caliendo, eletto al senato nel 2008 col Pdl, riveste tuttora un ruolo apicale al ministero della Giustizia.
NEL NOME DI DYANA
E ora possiamo tornare a Grosseto, dove il procuratore capo Verusio, che non e’ mai stato indagato per i fatti della P3, sta cercando faticosamente di mettere insieme le tessere di un puzzle infernale per arrivare ad una verita’ che, almeno sul piano giudiziario, possa dare pace alle 32 vittime del disastro, alcune delle quali forse resteranno a giacere per sempre su quei fondali marini. Erano le 21 e 42 esatte del 13 gennaio 2012 quando un gigante assoluto del mare, il Costa Concordia, vanto della marina italiana con le sue 114 mila tonnellate e passa di stazza, andava a schiantarsi contro gli scogli intorno all’isola del Giglio, tanto conosciuti da essere vistosamente segnalati nelle cartine turistiche degli alberghi isolani.
Il 13 marzo, a due mesi esatti di distanza dal piu’ tremendo incidente che abbia mai coinvolto una nave italiana, sono stati identificati i corpi di otto fra le vittime ripescate dai sub, compreso quello della piccola Dyana Arlotti di Rimini, cinque anni. L’atroce, drammatico quesito che e’ alla base di tutto – e sul quale sicuramente stanno cercando ancora di fare luce il procuratore Verusio, con i sostituti Alessandro Leopizzi, Maria Navarro e Stefano Pizza – riguarda i motivi per cui un comandante di lungo corso con trent’anni di esperienza a bordo, come Francesco Schettino, decide di salire in plancia e sostituirsi al pilota automatico, la cui rotta sarebbe stata di tutta tranquillita’ per la nave e per i passeggeri. Poi si mette ai comandi, accelera il bisonte del mare fino a 16 nodi proprio mentre devia la rotta e, nel tentativo di passare radente alla costa, si schianta sugli arcinoti scogli delle Scole. Come la Voce aveva gia’ ricostruito nel numero di marzo, l’ipotesi che si sia trattato del famoso “inchino” fa letteralmente acqua da tutte le parti, essendo stata clamorosamente smentita dalle diverse fonti indicate dal comandante, senza contare il fatto che appare di per se’ illogica ed assurda, in una notte fredda e buia di gennaio, con l’isola deserta.
SILENZIO. PARLA JESUS
Alle circostanze indicate dalla Voce nell’inchiesta “La pista russa” sono arrivate alcune sbalorditive conferme. Che convergono intorno ad una sola ipotesi, dai contorni sempre piu’ definiti: poteri malavitosi utilizzano da tempo navi da crociera per i loro traffici. E lo sbarco “al volo” di materiali o persone lungo certe determinate coste risulta tutt’altro che casuale.
Partiamo da un avvocato spagnolo, originario delle isole Canarie, viaggiatore abituale in navi da crociera di diverse compagnie. Si chiama Jesus Bethencourt. Sentite cosa dichiara sulla sciagura del 13 gennaio. «Quello che e’ successo di fronte all’isola del Giglio potrebbe avere avuto me come protagonista involontario, nell’agosto del 2010, quando ho navigato con mia moglie e mia figlia lungo lo stesso itinerario nel Mediterraneo». Proprio a bordo del Costa Concordia. Capitanato anche in quell’occasione dal comandante Schettino.
Pare che il Giglio, per chi conosce certe rotte, non sia un posto qualsiasi. «La testimonianza di Bethencourt e di sua moglie – spiega Bernardo Sagastume, corrispondente alle Canarie del periodico ABC – riguarda non solo l’accostamento al Giglio da parte di Schettino, che lui stesso visse in prima persona durante quel viaggio del 2010, ma anche il fatto che, in tale occasione, il personale di bordo fece in modo da liberare tutte le cabine passeggeri che affacciavano sulla costa isolana».
Abbiamo capito bene? Anche due anni fa qualcuno, al comando del gigante marino, avrebbe prescelto l’orario di cene e ricevimenti, quando tutti gli ospiti si ritrovano nei saloni centrali, per effettuare l’accostamento forzato al Giglio, evitando cosi’ che durante le manovre vi fossero occhi indiscreti sul lato della nave rivolto verso l’isola. L’avvocato e sua moglie avevano il numero di cabina 8300, una suite con balcone affacciato sul Giglio. Ma quella sera Nayra, la moglie dell’avvocato, rimane piu’ a lungo sotto la doccia. E cosi’, mentre tutti gli altri passeggeri sono gia’ nei saloni delle feste, i coniugi restano ancora in cabina. Jesus, in particolare, decide di uscire sulla balconata e riprendere con la telecamera le immagini della costa isolana. Giusto una decina di minuti, mentre aspetta che la moglie completi i suoi preparativi per il ricevimento a bordo. «Insomma alle 21 e 30 (orario “topico”, a quanto pare, ndr), mentre tutti i passeggeri erano nei saloni centrali per la festa, io mi trovavo sul balconcino della cabina a filmare il Giglio. Una cabina che probabilmente il personale di bordo riteneva vuota, visto che avevamo acquistato il biglietto all’ultimo momento».
Cosa vede e cosa filma Jesus Bethencourt in quei minuti? Lo racconta lui stesso: «Mi rendo conto subito che la nave Concordia viaggiava in strettissima prossimita’ della costa, particolare che non poteva sfuggire a me, abituato come sono a vedere tutti i giorni navi da crociera intorno alle Canarie, ma sempre a distanze di sicurezza. Poi a un certo punto dal buio di una grotta, in un tratto della costa gigliese che pareva disabitato, spuntano le luci di una torcia elettrica». Era come se qualcuno stesse facendo segnali convenzionali. «Io filmo tutto e dico scherzando a mia moglie: “guarda, Cosa Nostra, la Mafia, stanno facendo il contrabbando”».
E certamente avrebbero continuato, se quella notte del 2 agosto 2010 non si fosse trovata in zona una pattuglia della Guardia costiera. «Con un segnale da tre squilli fermano l’accostamento del Concordia all’isola. La polizia – continua Bethencourt – costringe la nave a ruotare di 180 gradi e tornare a Palermo». «Dopo poco – aggiunge Nayra – dagli altoparlanti arriva un annuncio: si va a Palermo perche’ e’ la citta’ di Schettino, dove hanno preparato una festa per lui. Mi domandai perche’ dovessimo tornare in quella citta’…». Quando la famiglia arriva nei saloni, ecco un’altra sorpresa: membri del personale sequestrano la fotocamera di Jesus. Il giorno dopo l’apparecchio viene restituito: video e foto di quella sera erano stati cancellati. Ma l’avvocato aveva fatto in tempo a sfilare, prima del sequestro, la scheda removibile. Tanto che oggi pezzi di quelle immagini sono visibili sul sito del settimanale spagnolo ABC.
Scarsi poi, a detta dei Bethencourt, anche i dispositivi di sicurezza generale, «solo istruzioni e salvagente in camera ma, soprattutto, passeggeri delle cabine “per ricchi”, come noi, esentati dall’esercitazione obbligatoria per ordine di Schettino». «Non abbiamo alcuna intenzione di essere protagonisti in questa vicenda – dicono Nayra e Jesus – ma abbiamo negli occhi la tragedia, le immagini della bambina che non si e’ riusciti a salvare. E vorremmo contribuire a far in modo che tutto questo non accada mai piu’».
LE VOCI DI DENTRO
Prima solo sussurri, mezze frasi isolate. Poi, man mano che girava l’inchiesta della Voce sulla “Pista russa” (compresa la nostra partecipazione a Uno Mattina, condotta da Franco Di Mare), sono cominciate ad arrivare sorprendenti segnalazioni alla nostra redazione e ai siti che avevano rilanciato l’articolo della Voce. Cominciamo da un blogger che scrive a Comedonchisciotte.net e si firma Matteo Gigli. Perche’ lui ricorda «un’altra, singolare coincidenza». Quella del 6 maggio del 2011, quando cade in mare per cause «da accertare» un turista trentatreenne di nazionalita’ russa, che viaggiava a bordo del Costa Concordia. L’uomo e’ precipitato in acque francesi poco dopo la mezzanotte, incidente confermato dalla stessa compagnia Costa. L’equipaggio e’ stato avvertito da un amico del turista (secondo altre fonti, la fidanzata), che viaggiava insieme a lui. Sono scattate tutte le procedure d’emergenza, ma il corpo dell’uomo non e’ stato ritrovato.
La nave Concordia stava effettuando il rituale tour del Mediterraneo, lo stesso di quella maledetta notte del 13 gennaio 2012. Partita da Savona, era diretta a Barcellona nel momento della caduta in mare. Alle 6 del mattino, dopo vane ricerche del disperso, la nave e’ ripartita alla volta della Spagna. Lanciata dall’Ansa, poi dal Secolo XIX e da numerose testate online, la notizia non e’ stata seguita da particolari successivi. Il ritrovamento non c’e’ mai stato. E il mare ha sepolto, con il giovane russo, le ragioni della sua caduta in mare.
«Una ventina d’anni fa – scrive intanto alla Voce un lettore – conobbi a Barcellona un marittimo della Costa che mi vendette dell’hashish. Ne aveva una quantita’ enorme e mi disse che per loro era facilissimo imbarcarla, pare lo prendessero durante gli sbarchi in Marocco. Evidentemente – conclude – in vent’anni non e’ cambiato niente».
E poi c’e’ Radio Ies, l’emittente romana numero uno che, nella “Ouverture” quotidiana condotta da Davide Gramiccioli ed Elena Parisi, propone spesso l’altra faccia della notizia. Sull’affondamento del Concordia, arriva in radio il racconto della blogger Sofia Riccaboni. «Da numerosi elementi raccolti – spiega – il 13 gennaio a bordo del Concordia poteva essere in atto una “riunione” segreta cui partecipavano esponenti della mafia russa e di cosche nostrane. Argomento: traffico di rifiuti tossici ad alto rischio». Qualcuno avrebbe fatto affondare la nave per sabotare il summit e le sue finalita’. Non meno sospetta la questione dei “clandestini” a bordo, ammessa come ipotesi fin dai primi giorni dallo stesso commissario per l’emergenza Franco Gabrielli.
La loro presenza, se mai vi fu, ben difficilmente ormai potra’ venire a galla.
L’AMICAe#8200;IRINA
Ancora, eccoci alla storia di Irina Nazarova, ufficialmente animatrice di bordo ma soprattutto amica della moldava Domnica Cemortan. Tanto somiglianti fra loro, le due ragazze, da essere frequentemente scambiate. Irina, che faceva parte dell’equipaggio durante la crociera maledetta, e’ nata in Russia, a Samara, il 31 agosto del 1986. E’ la stessa Domnica a fare il suo nome, nel lungo verbale della testimonianza resa alla Procura di Grosseto il 1 febbraio scorso. «Appena arrivata a bordo – dice – ho lasciato il bagaglio nella cabina della mia amica Irina Nazarova». Il verbale, in lingua moldava, e’ stato pubblicato integralmente dal sito locale www.protv.md. Dinanzi ai magistrati, inoltre, la moldava afferma che il suo compito sulle navi era quello di effettuare le traduzioni in russo.
Chi sono davvero Domnica e Irina? E che ruolo hanno avuto in quello che veramente e’ accaduto quella notte?
UN RAPPORTO ONORATO
Se sui suoi rapporti con Irina rilascia solo quelle scarne affermazioni, Domnica invece, durante la lunga testimonianza, si sofferma piu’ volte sul nome di Ciro Onorato, altro rilevante personaggio di tutta la vicenda. Ciro, intanto, e’ lo stesso uomo col quale Domnica dice di aver messo in salvo molte persone. Con lui a notte fonda lascia la nave, ormai prossima all’affondamento, a bordo di una delle ultime scialuppe partite per il Giglio. L’ordine, racconta la giovane ai pm, le viene dato dal comandante: «scendete, andate a mettervi in salvo».
Le cronache ci hanno raccontato che Ciro Onorato, manager della ristorazione a bordo del Concordia, quella fatale sera era a cena con il comandante Schettino e con il direttore Manrico Giampedroni. A loro si uni’, per un dessert, Domnica. Poi, ha spiegato la donna, il comandante invito’ tutti loro a salire in plancia. Siamo a pochi minuti prima del tragico accostamento al Giglio. Cosa si dissero a tavola, durante la lunga cena, Schettino e Onorato? Racconta Domnica al settimanale “Oggi”, nel numero di meta’ marzo: «Non so di cosa parlassero i miei superiori. Nominavano il Giglio, ma lo facevano alla svelta, con accento napoletano. Non ci capivo nulla».
Tanto Schettino quanto Onorato sono originari della costiera vesuviana: sorrentino il primo, nato nella vicina Torre del Greco, il secondo. Zone del napoletano in cui sono ancora in tanti a comunicare fra loro in stretto dialetto. Tanto stretto che ben difficilmente avrebbero potuto interpretarne il significato non solo la ragazza, ma nemmeno lo spezzino Giampedroni.
Imbarcato da numerosi anni sulle navi Costa, Ciro Onorato viene menzionato su molti blog dei crocieristi per la sua simpatia e cordialita’. Memorabili, a quanto pare, le sue performances gastronomiche sulla Costa Mediterranea. Ricorda un passeggero, Vincent Finelli, nel suo diario di bordo: «Le nostre serate sono state deliziose. Siamo stati inoltre molto felici di rivedere il nostro amico maitre Ciro Onorato, che e’ salito a Tenerife».
Ne ha fatta tanta, Ciro, di gavetta, dai vicoli del centro storico torrese ai fasti delle navi da crociera dove, si sa, un bravo maitre diventa sempre una star delle serate. Ma ancor piu’ strabiliante e’ stata la carriera di suo fratello, Gianni Onorato. Gia’, perche’ il manager dall’aplomb britannico di Costa Crociere spa, l’uomo di punta del board catapultato la mattina del 14 gennaio al Giglio, per rilasciare impossibili spiegazioni del disastro ai cronisti, non e’ solo omonimo dello chef che era a tavola con Schettino e Domnica. E’ suo fratello.
La rivelazione, che era stata fatta alla Voce da un anziano marittimo di Torre del Greco, trova peraltro conferma in alcuni blog, primo fra tutti proprio quello dei crocieristi Costa, amministrato da un’addetta alle pubbliche relazioni della Compagnia, Flora. La quale, in un post di maggio 2009, ricorda: «Ciro e Gianni Onorato sono fratelli. La loro e’ una famiglia che ha sempre lavorato a bordo. Quando l’ho conosciuto tanto tempo fa, a meta’ anni ’90, il dott. Onorato (Gianni, ndr) si occupava, a terra, del settore enogastronomico delle navi Costa. Sono passati gli anni e ora Gianni e’ direttore generale». Laureato in lingue all’Universita’ Orientale di Napoli, Gianni Onorato e’ direttore generale di Costa dal 2004. «Ha iniziato la sua attivita’ nel 1986 – si legge nel profilo del top manager sul sito della statunitense Carnival, cui fa capo il Gruppo Costa – nel settore alberghiero della societa’. Nel 1998 e’ stato nominato vicepresidente. Durante il suo mandato da direttore generale ha introdotto innovazioni nel prodotto Costa».
Di Torre del Greco, infine, e’ anche Ciro Ambrosio, secondo ufficiale e vice di Schettino sul Concordia.
Ambrosio, che come Ciro Onorato ed altri membri dell’equipaggio era in plancia al momento dell’impatto, e’ indagato dalla Procura di Grosseto. Per lui l’accusa e’ di cooperazione col comandante in omicidio plurimo colposo e naufragio.