Confisca dei beni degli iprenditori collusi con i clan e nuovo impulso alla “informativa antimafia“ della Prefettura.
Stampa questo articoloaltrabenevento – Comunicato del 13 febbraio 2012
L’emergenza neve ha monopolizzato l’attenzione tanto da far passare quasi inosservata anche la recente sentenza del Tribunale di Benevento che ha disposto la confisca dei beni del valore di quasi 12 milioni di euro (terreni, edifici, capannoni industriali, cave, automezzi), intestati a diverse società tutte riconducibili a Giuseppe Ciotta, detto “Baff e fierr”, imprenditore ritenuto associato alla malavita organizzata.
Questa importante decisione della magistratura merita, invece, di essere richiamata e non solamente perché si tratta della prima confisca di beni frutto d’attività illecite, disposta dal Tribunale di Benevento.
Giuseppe Ciotta è noto da tempo alla cronaca giudiziaria. Ha precedenti per Resistenza a Pubblico Ufficiale (1974), Lesioni personali (1974), Rapina in concorso (1976), Ricettazione continuata in concorso (1976), Detenzione illegale di armi e munizioni (1976), Tentato furto (1977), Porto illegale di armi (1977), Violazione delle prescrizioni sulle costruzioni in zone sismiche (1997), Violazione delle disposizioni per la tutela di zone di interesse ambientale (1999), Falsità ideologica del privato in atto pubblico (2000). Ha scontato varie pene e più volte ha beneficiato di indulto e condono. Nel 1984 fu sottoposto a misura di prevenzione.
Nel 1997 la Procura della Repubblica aveva proposto la sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza ma la richiesta fu bocciata dal Tribunale di Benevento. Fu necessaria la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 1° ottobre 1998 per stabilire che Giuseppe Ciotta era “persona pericolosa che per condotta e tenore di vita risulta dedita alla commissione di reati dai quali trae anche in parte proventi”. Un anno dopo la Suprema Corte di Cassazione Penale confermò la sua pericolosità sociale e lo obbligò al soggiorno in Benevento a far data dal 24 marzo 2009.
Nonostante questi numerosi provvedimenti, però, le ditte a lui collegate, ed in modo particolare la Società Procaccini Anna, formalmente intestata alla moglie, hanno continuato ad aggiudicarsi gli appalti da parte di Enti pubblici perché la Interdittiva Antimafia da parte della Prefettura è stata emessa solo il 12 maggio 2009.
Il mese prima, esattamente il 17 aprile, il GUP del Tribunale di Napoli, Eduardo De Gregorio, assumeva una decisione di fondamentale importanza dalla quale sono poi scaturiti gli altri provvedimenti giudiziari. Infatti, Ciotta fu prosciolto dall’uccusa di concorso nell’omicidio di Francesco Esposito, camorrista del clan omonimo ucciso a Solopaca nel 2003, ma fu accertata la sua appartenenza al clan Pagnozzi di San Martino Valle Caudina.
Richiamando quella decisione il Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, Alessandro D’Alessio, il 15 giugno del 2010 chiedeva al Tribunale di Benevento- Sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione- il sequestro e la confisca dei beni direttamente o indirettamente riconducibili a Giuseppe Ciotta. Il magistrato della DDA citava anche le varie dichiarazioni dei pentiti, le intercettazioni telefoniche e le numerose informative dei Carabinieri dalle quali risultava che “Baff e fierr” già nel 1998 era stato arrestato perché considerato affiliato al clan Sparandeo di Benevento, nel 2004 indicato come fiduciario del clan Pagnozzi per la riscossione delle tangenti e poi ancora mediatore tra diversi imprenditori e clan locali.
La DDA segnalava innanzitutto che “i beni che la ditta Procaccini Anna nata dal 1984, accumula sono viziati dal fatto di derivare da un’attività illecitamente ottenuta in quanto posta in essere da un soggetto dedito ai delitti ed intestati alla moglie che non aveva alcuna esperienza se non quella di essere, sin dalla minore età, legata al CIOTTA. Tale ditta è poi confluita nella SWETT HOUSE anch’essa nella disponibilità del CIOTTA.”
Nel documento del PM D’Alessio, si cita, tra l’altro, anche l’indagine dei Carabinieri di Cerreto Sannita sull’acquisizione da parte della ditta Procaccini della cava di Colle Alto di Morcone scelta dalla Provincia di Benevento come sito di stoccaggio di ecoballe che non potevano essere bruciate. Il fatto fu così segnalato anche da Altrabenevento, con il comunicato del 9 dicembre 2009 “la cava dismessa di Colle Alto, è stata venduta all’Asta dal Tribunale di Benevento ….e aggiudicata alla Ditta Venditti, proprietaria di un’altra cava confinante, che offrì 2.300.000 euro circa, a fronte di una base d’asta di 160.000 euro. Venditti …. quando in seguito venne a sapere che il Piano cave regionale tardava ad essere approvato, rinunciò ad acquistarla. L’asta è stata ripetuta nel giugno scorso e si è conclusa il 29 ottobre con aggiudicazione alla Ditta Procaccini Anna per 510.000 euro. Pare che il Piano Cave sia ancora bloccato e questo potrebbe spiegare l’atteggiamento rinunciatario di Venditti, ma non spiega perché la ditta Procaccini abbia comunque insistito per acquisire, versando tre volte il valore stimato, una cava di fatto esaurita…”. Evidentemente Ciotta aspirava a farsi pagare il fitto per lo stoccaggio delle Ecoballe da parte del Commissariato Rifiuti ma l’affare saltò per la netta opposizione delle popolazioni della zona.
La lunga ed articolata richiesta di sequestro e confisca dei beni delle ditte intestate a parenti o prestanome di Giuseppe Ciotta, avanzata dalla DDA a giugno 2009, è stata rigettata dal Tribunale di Benevento dopo dieci mesi, il 5 aprile del 2011, per “incompetenza funzionale del PM proponente”. Dopo pochi giorni, il 23 giugno, la richiesta di sequestro è stata ripresentata dal Procuratore della Repubblica di Benevento, Giuseppe Maddalena, ed accolta dalla sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione del locale tribunale il 7 luglio scorso, per gli stessi motivi indicati dalla DDA.Altri beni riconducibili a Ciotta sono stati sequestrati il 30 settembre e il 16 novembre 2011.
Di conseguenza lo stesso Tribunale di Benevento il 9 febbraio scorso, ha accolto la richiesta di confisca di quei beni formulata dal Pm Giovanni Tartaglia Polcini a conclusione di un lungo iter giudiziario che per la prima volta sancisce anche a Benevento la possibilità di sequestrare beni a soggetti collusi con la camorra se il loro valore dovesse risultare non proporzionato ai redditi degli iprenditori ai quali sono formalmente intestati.
Un altro importante risultato, questa volta sul piano amministrativo, è connesso con le vicende giudiziarie di Giuseppe Ciotta e riguarda tutte le stazioni appaltanti.
E’ interessante, infatti, notare, che dopo la sentenza con la quale il GUP di Napoli, ad aprile 2009, aveva accertato l’appartenenza di “Baff e fierr” al clan Pagnozzi, la Prefettura di Benevento a maggio e luglio 2009, inviò al Comune di Apollosa la “interdittiva antimafia” a carico della ditta Procaccini Anna che si era aggiudicata una gara di appalto, e anche della subentrante ditta Swett House, sempre collegata a Ciotta.
Il Comune di Apollosa, a seguito del parere richiesto all’avv. Paola Porcelli, del Foro di Benevento, ad agosto 2009 annullò il contratto di appalto con la Swett House che ha presentato ricorso al TAR lamentando la non corretta applicazione della “interdittiva antimafia”. Dopo il rigetto del tribunale amministrativo regionale la questione è finita anche al Consiglio di Stato che il 13 maggio 2011, poco prima che la Procura di Benevento reiterasse la richiesta di sequestro dei beni riconducibili a Ciotta, ha rigettato il ricorso perché: “la misura interdittiva in questione, per la sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste; - l’interdittiva non obbedisce a finalità di accertamento di responsabilità, bensì di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là della individuazione delle responsabilità penali, cosicchè anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi per supportare la misura interdittiva”
Si tratta, quindi una sentenza importante che potrebbe dare nuovo vigore e importanza alle “informative antimafia” della Prefettura anche per controllare le imprese interessate a riciclare denaro sporco in edilizia.
Il presidente – Gabriele Corona