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Benevento, P3, P4 e Malta: introduzione n. 2

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Marcello Dell'Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino

Da Reppubblica del 30 agosto 2011

di ELENA LAUDANTE, FABIO TONACCI E MARIA ELENA VINCENZI

Così la P3 teneva in mano i magistrati. La rete di Cesare in 66mila pagine

Le carte dell’inchiesta sull’associazione segreta svelano un’enorme rete di complicità che coinvolge politici e magistrati. Il fascicolo in mano al procuratore Capaldo e al sostituto Sabelli. Per gli indagati Berlusconi era “Cesare”. E alla fine del 2010 entra in scena anche la P4 con l’inchiesta dei pm Woodcock e Curcio. Tra i protagonisti il deputato del Pdl Alfonso Papa, che poi finirà in carcere. “Metteva le mani dappertutto”

ROMA – Dalle pressioni sui giudici, agli affari per l’eolico in Sardegna. Dai condizionamenti sulla politica, ai legami con la malavita e con il mondo dello spettacolo e le sue eminenze grigie, una su tutte Lele Mora, l’agente dei vip. La P3 non conosceva confini. Come testimoniano le sessantaseimila pagine, massacrate dagli omissis, depositate dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli per la chiusura delle indagini sulla P3.

Un metodo già descritto ma che trova ulteriori e schiaccianti conferme nelle nuove informative dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Roma e del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza.

L’ONNIPRESENTE “CESARE”

Che dietro alle attività della loggia ci fosse Berlusconi è sempre stato più che un sospetto. Che fosse lui il “Cesare” di cui parlano gli indagati, quello a cui riferire tutto, è un’ipotesi che ha trovato conferma, l’estate scorsa, in una nota a piede di pagina di una richiesta di proroga di intercettazioni che per un errore non fu cancellata. Cesare, quello che veniva nominato decine e decine di volte.

Una su tutte quella del 10 febbraio 2010. Carboni chiama Martino: “Ecco, informeremo Cesare solo domani perché non c’è”. Poi, ancora, un’altra telefonata del 22 settembre 2009. Martino e Carboni discutono su come guadagnare il favore dei giornali e pensano addirittura al Wall Street Journal, “giornale di diffusione mondiale”, oppure a Le Figaro. Martino dice: “Ottimo, io l’ho anticipato questo fatto qua. Gli ho anche detto, gli ho fatto capire che su questa cosa qua ti stai muovendo solo tu”. Carboni risponde: “Sì, ecco io”. Martino chiarisce: “Con Cesare… Con Cesare”.

Ma non mancano le citazioni dirette del suo nome. Come quando Pasquale Lombardi, giudice tributarista, parla con Gaetano Santamaria, all’epoca sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Milano, uno dei tantissimi alti magistrati intercettati nell’inchiesta. E’ il 19 dicembre 2009 quando Santamaria chiama Lombardi, e lo saluta in tono confidenziale: “Pasqualino, sono Gaetano, come stai?”. Dopo convenevoli sulle rispettive consorti, Santamaria chiede all’interlocutore se ha sentito le “dichiarazioni di Fini”. E Lombardi risponde: “Sì, per quello stronzo di Fini. E’ un uomo di merda, non ci sta niente da fare”. Santamaria concorda: “Eh sì, si sta montando la capa”. E l’altro gli risponde: “Siiiii… mi ha detto Berlusconi o dentro o fuori, non posso più perdere tempo appresso a te”.

Poi rivela dei suoi incontri con “Giacomo”, presumibilmente Giacomo Caliendo, il sottosegretario alla Giustizia finito nell’inchiesta per violazione della legge Anselmi, la cui posizione è al vaglio dei pm. Santamaria chiede: “Questo te l’ha detto Giacomo che ci sta la crisi di governo?”. “Sì sì, Giacomo ha fatto le varie combinazioni. Mò oggi è andato subito al Senato, ha mangiato qualcosa con me e poi è andato subito al Senato perché ci stava la discussione sulla cosa breve”. E l’alto magistrato risponde: “Ah sul processo breve, ho capito. E quindi è critica la situazione?”. L’altro ammette di sì.

COSÌ CONDIZIONAVANO I GIUDICI

La familiarità di Pasquale Lombardi con le toghe è ulteriormente confermata da altre intercettazioni con alti magistrati, che pur non coinvolti direttamente nell’inchiesta, dimostrano la capacità della presunta nuova loggia di arrivare al potere giudiziario. Lombardi ha la capacità di alzare la cornetta e dare del tu a giudici del calibro del procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore.

Come nella comunicazione del 4 febbraio 2010, di primo mattino, alle 7,40. “Uè procuratò come andiamo? Sono Pasqualino”. Identico il tono del magistrato: “Uè Pasqualì. Dove stai? Io sto in ufficio”, è il saluto di Lepore. “State solo? e mo’ vi vengo a fare un po’ di compagnia, allora dai”, propone Lombardi, che spiega: “Sono a Carinaro, dove sta il cardinale”.

E non può trattenersi dal raccontare l’aneddoto sull’alto prelato, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli ed ex presidente di Propaganda Fide, originario della provincia di Caserta: “Mi dette un bacio il cardinale Sepe, chi ce lo disse, ce lo disse. Bonaiuti? Guardate Eccellè… Eminè questo è un uomo che fa bene a tutta l’umanità. Acchiappò e mi baciò, lo sai”.

LA P3 E LA P4 SI INCONTRANO

Il 29 novembre 2010, i pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio, titolari del fascicolo napoletano sulla P4, sentono come testimone Umberto Marconi, allora presidente della Corte d’Appello di Salerno. Il magistrato si sfoga con i pm: “Per quanto riguarda la mia vicenda personale riferita alla P3, ritengo di essere stato vittima di quello che a mio parere non stento a definire come un complotto ordito dai carabinieri che hanno occultato il contenuto di ulteriori mie telefonate intercettate… Non sono a conoscenza di eventuali rapporti tra il generale Tomasone (Vittorio, allora comandante provinciale dei carabinieri di Roma delegati alle indagini sulla P3, ndr), ma sono personalmente convinto che sia Alfonso Papa (deputato del Pdl finito in carcere proprio per l’inchiesta P4) il “regista” della vicenda che mi ha riguardato”.

Insomma, secondo Marconi, Papa aveva le mani in pasta un po’ ovunque. “Ritengo che abbia partecipato e sia stato tra i protagonisti anche dell’attività di dossieraggio svolta a danno di taluni magistrati tra cui Paolo Mancuso e Gianni Melillo ad opera del Sismi nell’ambito della quale fu anche sequestrato uno scritto riguardante un’indagine su Pio Pompa e Niccolò Pollari”.

DALLA CRIMINALITÀ ALLO SPETTACOLO

L’indagine sulla P3 nasce da un’inchiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, guidata da Capaldo, sulla criminalità organizzata. E, tra le attività di indagine, sbuca il nome di Flavio Carboni. Tutto inizia così. Risale alle origini dell’inchiesta il contatto tra l’imprenditore Carlo Maietto, il pregiudicato Pasquale De Martino (ritenuto il referente del clan camorristico “Sarno” del quartiere napoletano di Ponticelli) e l’uomo d’affari sardo.

Scrivono i carabinieri di via In Selci in un’informativa del 30 luglio 2009: “Tramite Carlo Maietto, De Martino ha instaurato rapporti con i noti Lele Mora e Flavio Carboni e dal tenore di molte conversazioni intercettate tali contatti sembrano essere finalizzati a realizzare iniziative importanti verosimilmente nel settore dei casinò, i cui contorni devono essere ancora delineati”.

Le indagini, però, sono complicate. “I soggetti hanno l’abitudine di non parlare esplicitamente al telefono, rinviano tutte le discussioni sugli affari in incontri effettuati sistematicamente in luoghi pubblici al fine di eludere eventuali intercettazioni”. In una conversazione intercettata il 18 marzo del 2009, Maietto e De Martino parlano di un incontro con Lele Mora e altri personaggi tra cui Flavio Carboni. “La conversazione è molto interessante – scrivono i carabinieri – in quanto rivela come Maietto, Carboni e De Martino stiano avviando insieme dei non meglio definiti affari. Maietto è soddisfatto: “Stiamo facendo delle cose straordinarie”.

30 agosto 2011

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