Condannati per aver promesso posti di lavoro. La nota dell’avv. Nunzio Gagliotti, difensore di alcuni cittadini truffati.
Stampa questo articoloDa Il Mattino del 13 aprile 2011
Promettevano posti, in due condannati
Giovanni Calabrese 80 anni e Vincenzo Lume di 62 anni imputati di truffa e millantato credito sono stati condannati a due anni e mezzo di reclusione dal magistrato monocratico Clemente. I due, secondo l’accusa, promettevano l’assunzione diretta o a mezzo di corsi a numerose persone facendosi versare somme di denaro. In particolare le assunzioni a loro dire sarebbero avvenute presso l’Amministrazione provinciale, presso la Polizia provinciale, presso l’Iacp, presso l’ospedale Fatebenefratelli, all’Inps e perfino nella magistratura. Inoltre venivano fatti firmare anche falsi moduli per l’Iacp per l’acquisto di alloggi. Tra coloro che avevano versato del denaro a Giovanni Calabrese c’era stato anche Vincenzo Lume. Successivamente i carabinieri, che hanno svolto le indagini, hanno trovato elementi anche a carico di Lume che è stato rinviato a giudizio per concorso negli stessi reati di Calabrese. Per ottenere questi posti venivano versate somme che andavano dai quindicimila ai trentamila euro. Gli imputati sono stati difesi da Nazzareno Fiorenza, Claudio Fusco e Luigi Giuliano. Nel corso delle udienze si sono avute varie costituzioni di parti civili, i truffati sono oltre cinquanta persone (li hanno assistiti gli avvocati: Giorgione Vessichelli, Gagliotti, Casillo,Cilenti,Megna,D’Auria Schicchi,Santucci,De Toma,Leone, e Prisco quest’ultimo per il Fatebenefratelli). Il pubblico ministero Giulia Zerella aveva chiesto la condanna a due anni.
**************************************
PROCEDIMENTO Penale n. 261/09 R.G.T./BN 3016/08/21 r.g.n.r. P.M./BN
AUTORITA’ PROCEDENTE Tribunale Penale di Benevento – Rito Monocratico – d.ssa Silvana CLEMENTE
A carico di CALABRESE Giovanni e LUME Vincenzo
Parti Civili CIULLO Giustino + 6
Udienza Pubblica 12 Aprile 2011 – Sentenza artt. 533/535 C.p.p. 12.4.11
Spett.le Altrabenevento,
con riferimento al procedimento penale in epigrafe annotato nel cui ambito ho svolto funzioni di difesa di alcune delle numerose persone offese e conclusosi con recentissima sentenza di condanna, desidero segnalare, avendo specifico riguardo alla dolorosa vicenda umana che vi è sottesa, taluni profili fattuali non privi, a mio giudizio, d’una qualche rilevanza di interesse generale autorizzandovi, ove ne condivideste l’utilità, a farne espressa pubblicazione. Personali spunti critici emergono, inoltre, col richiamo ai tratti più amari della medesima vicenda.
Ricordo, dunque, che in esito all’udienza preliminare del 12.2.2009 veniva disposto il rinvio al giudizio del Tribunale penale di Benevento in composizione Monocratica dei signori CALABRESE Giovanni e LUME Vincenzo entrambi residenti in Benevento.
Tra l’altro, costoro rispondevano, in concorso fra loro, dei reati di millantato credito e di truffa aggravata dal rilevante danno patrimoniale da essi cagionato alle vittime e del reato di formazione di false lettere di assunzione e di false buste paga.
In massima sintesi, gli imputati, in un periodo generalmente compreso tra il 2005 ed il 2008, inducevano, con artifici e raggiri, le persone offese – oltre cinquanta cittadini generalmente residenti in Benevento e provincia – a versar loro ingenti somme di danaro contante – oscillanti, per singole dazioni unitarie, tra i settemila ed i diciottomila euro – in cambio della promessa di un sicuro posto di lavoro presso l’amministrazione provinciale, presso la polizia provinciale e presso altri enti o pubbliche istituzioni.
Essi rappresentavano come imminenti le promesse assunzioni con l’artificio costituito dall’indurre le vittime a credere che a tal’uopo si prestassero, su loro indicazione, influenti personalità politiche delle quali millantavano conoscenza, prossimità e speciali aderenze nel contesto di operazioni di lottizzazione del pubblico impiego quale sottintesa espressione di imperanti logiche spartitorie.
Occorre svolgere una mirata riflessione.
Duole dirlo, i luoghi istituzionali, gli enti pubblici come gli organi che esercitano funzioni pubbliche, degradano, nell’immaginario popolare, ad approdo predatorio legato a logica clientelare, oggetto di cordate volte ad accaparrare nomine e conferimenti d’incarico a beneficio delle lobby, di volta in volta, prevalenti.
Visione degradante, risultante inevitabile di quella logica spartitoria e trasversale che infetta, senza soluzione di continuità e con rarissime eccezioni, il tessuto politico sociale della Repubblica, prima o seconda che sia.
La politica lungi dal rappresentarsi come assunzione di responsabilità nel senso più elevato che ne sottolinea il recente bel saggio di Carofiglio sulla manomissione delle parole è ridotta a territorio di conquista del sistema partitocratico.
Similmente potrebbe sostenersi con riferimento al sistema correntizio imperante in magistratura tanto da indurre Armando Spataro, storica colonna portante della procura di Milano, a dichiararsi “favorevole al definitivo abbandono della professione da parte del magistrato eletto ad una carica politica” (cfr. pag. 321 “Ne valeva la pena” editori Laterza, Bari 2010) laddove più tiepidamente l’A.N.M. rivolgeva alle Camere semplice invito perché sia vietato ai magistrati di presentarsi alle elezioni amministrative o di assumere incarichi di governo nella stessa regione dove hanno esercitato le loro funzioni (cfr. documento approvato il 6.3.10 da Comitato direttivo centrale A.N.M.).
Il comune cittadino, sopraffattone, non può che prenderne atto. In un sistema che sconta il mancato realizzarsi del pieno esercizio dei diritti civili nel rispetto e con la garanzia dell’attuazione del precetto costituzionale dell’art. 3 sul dovere di rimuovere gli ostacoli e garantire la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
E così lucidamente annotano Gian Carlo Caselli e Livio Pepino (“A un cittadino che non crede nella giustizia” Editori Laterza 2008) : “I processi di Tangentopoli e di mafia hanno finito per mettere in dubbio alcune fondamenta del sistema svelando realtà drammatiche circa l’estensione dei rapporti tra mafia e politica e ponendo il problema se la corruzione costituisca un dato marginale, seppur esteso, della nostra democrazia, ovvero se ne sia diventato un elemento strutturale (in altri termini se siamo difronte a una corruzione nel sistema ovvero a una corruzione del sistema).”.
È il meccanismo cancrenoso definito, sin dai tempi di “mani pulite”, anche come “dazione ambientale”, sorta di spirale che ineluttabilmente dirotta energie e risorse sui binari non legali facenti capo alle imperanti centrali della cattiva politica.
Rincuora potersi registrare come la vicenda processuale da cui si è preso spunto si è conclusa, in primo grado, lo scorso 12 aprile, con una sentenza di affermazione di piena responsabilità degli imputati per tutti i reati loro ascritti e con la condanna dei predetti al risarcimento dei danni prodotti alle parti civili da liquidarsi in separata sede ed al pagamento di provvisionale di euro tremila in favore di ciascuna delle parti civili. Di qui ad ottanta giorni sarà possibile, una volta depositate, prendere visione delle motivazioni.
Resta il dato inconfutabile per cui la magistratura – ad onta del permanente sabotaggio del meccanismo giudiziario da parte della politica con il fine di disinnescarlo e renderlo di fatto inoperante – continua a porsi, allo stato e con impagabile sacrificio, come unico baluardo al dilagare incontrollato del malcostume.
Cordiali saluti,
Nunzio Gagliotti.