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Tremonti, la P3, il Sannio e la mano dei clan sulle televisioni.

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Da “La Voce delle Voci” del 7 gennaio 2011

IL TESORO DI TELE-GOMORRA di Rita Pennarola

Il coinvolgimento del braccio destro di Tremonti, Marco Milanese, in una storia che riporta ai confratelli della Loggia P3: da qui si dipana la mappa inedita di interessi che conduce fino a un vertice della Guardia di Finanza e passa attraverso uomini come Nicola Cosentino. Su tutto aleggia l’ombra dei clan, pronti a spartirsi i milioni di euro sottratti all’asta delle frequenze televisive, che e’ alla base della Finanziaria 2011.

La partita vale 2 miliardi e mezzo, euro piu’ euro meno. Gia’, perche’ questa e’ la bella somma che permettera’ al Paese di andare avanti nel 2011 e deriva tutta dall’asta pubblica sulle frequenze televisive, ormai quasi ai nastri di partenza. Il dato si ricava dalla Finanziaria varata lo scorso 4 dicembre, quando il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha ottenuto disco verde anche dal Senato sulla Legge di Stabilita’ 2011, le cui «coperture principali – si legge nella nota ufficiale – derivano per 2,4 miliardi dall’asta pubblica delle frequenze; 500 milioni dalla stretta sui giochi; 500 milioni dalla lotta all’evasione e 1,7 miliardi dal cosiddetto Fondo Letta».

Un vero peccato. Un peccato che manchino all’appello ulteriori 500 milioni circa finiti nelle casse della camorra attraverso la compravendita illecita di frequenze in Campania, con la complicita’ della parte deviata degli organismi inquirenti. Sono loro: i protagonisti a volto coperto di Telegomorra, che vedono crescere le ricchezze della holding criminale con quegli stessi proventi altrimenti destinati a lenire almeno in parte le piaghe di un Paese devastato dalla crisi economica. Basti pensare alla destinazione delle risorse prevista dalla Legge di Stabilita’: ammortizzatori sociali, detassazione salari, ecobonus e ticket sanitari, per fare solo qualche esempio.

UN’INEDITA P3

La novita’ e’ che stavolta i mandanti dei camorristi, quelli in giacca, cravatta e Porsche che restano generalmente occulti, cominciano uno dopo l’altro ad emergere. E tutti insieme tracciano i contorni d’un quadro che aggancia paurosamente i vertici della cosiddetta P3. E’ una storia tutta campana che incrocia e affonda i destini del Paese. E qui la raccontiamo fin dall’inizio.

Il signore in questione si chiama Paolo Viscione ed era, fra anni ‘70 e ‘80, il factotum dell’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino nel “mitico” studio partenopeo in via Santa Brigida: la tolda dalla quale il politico irpino, all’epoca avvocato civilista, faceva partire centinaia di pignoramenti, esecuzioni forzate, espropri, in favore dei suoi clienti. E Viscione si dava molto da fare.

Sono passati oltre trent’anni. Il 15 dicembre 2010 Paolo Viscione viene arrestato dalla Procura di Napoli, sezione criminalita’ economica, nell’ambito dell’Operazione Malta: secondo il pm Vincenzo Piscitelli, il procuratore aggiunto Fausto Zuccarelli e il gip Amelia Primavera, Paolo Viscione e suo figlio Vincenzo sarebbero al centro di una cricca accusata a vario titolo di abusiva attivita’ finanziaria ed assicurativa. Un giro di polizze taroccate con base maltese da oltre 30 milioni di euro. Agli affaristi orbitanti intorno al gruppo Viscione sono stati sequestrati 76 immobili e 50 milioni di euro tra partecipazioni societarie e oggetti d’arte.

Gia’ perche’ l’anziano faccendiere ha sempre nutrito un’irrefrenabile passione per i maestri del colore e della scultura. Non a caso – come scriveva la Voce in un’inchiesta del 2007 (vedi box) – aveva aperto a Roma una galleria con tanto di vendite telematiche di quadri ed un’assicurazione sull’opera acquistata. Polizza naturalmente gestita in casa, dal momento che l’astuto imprenditore manciniano nel campo dei broker ci vive (avventurosamente) da una vita.

Piu’ di recente, proprio a dicembre 2010, la Voce si era occupata di lui e dei suoi rapporti con la parlamentare sannita del Pdl Nunzia De Girolamo. Raccontando che il genero di Viscione, Sergio Clemente, e’ consulente legale dell’Istituto Vendite Giudiziarie, dedito alla vendita di beni pignorati. All’IVG lavorano – forse non a caso – la sorella dell’accalorata supporter berlusconiana, Francesca De Girolamo, e Gianfranco Lombardi, figlio dell’uomo chiave della P3 Pasqualino Lombardi.

E che cosa c’entri questa sorprendente “coincidenza” con i signori di Telegomorra, lo vedremo di qui a poco.

L’UOMO  CHE  SUSSURRA  A TREMONTI

Cervinara ombelico del mondo, si potrebbe dire. Si’ perche’ il paese irpino della valle caudina da 10 mila anime o poco piu’ comincia a balzare alle cronache un giorno si’ e l’altro pure come epicentro di affari che coinvolgono (e danneggiano) l’intero Paese.

Tanto per cominciare, sono originari della zona di Cervinara non solo Pasquale Lombardi e Paolo Viscione, ma anche quel tale Marco Milanese su cui la Voce aveva accveso i riflettori per prima con un’inchiesta di dicembre 2008. Milanese, tanto per intenderci, e’ l’uomo che il 5 dicembre scorso annunciava in aula al Senato, di fianco a Tremonti, i punti chiave della Finanziaria che lui stesso aveva contribuito ad elaborare nelle strategiche stanze di Via XX Settembre. Ma Milanese e’ anche lo stesso uomo che, nella “retata” del 15 dicembre destinata a portare in carcere Viscione Sr. e Jr., emerge come un’ombra imponente dietro le trame della band. «Io voglio uscire da questa storia perche’ quando vengo ricattato dalla politica, da questo Milanese per questa storia qua, che si fotte i soldi, io non voglio averci piu’ a che fare», urla Viscione padre nel corso di una telefonata intercettata dalla Procura di Napoli.

E «il Milanese» non e’ un un termine tanto per dire: secondo gli investigatori, che lo hanno iscritto nel registro degli indagati, si tratta proprio di lui, l’ex finanziere reclutato da Tremonti ed oggi ai vertici del MEF, tanto amato dal ministro da ritrovarsi candidato – e poi eletto – su input di Cosentino e Tremonti in un collegio campano blindato.

Del resto, il legame fra Nick ‘O mericano e Marco Milanese e’ tutt’altro che nuovo. E non soltanto perche’ entrambi – uno da sottosegretario all’Economia, l’altro in qualita’ di consigliere politico – hanno lavorato insieme per anni al fianco del “Divo Giulio”. Bastera’ ricordare che nel 2008, quando si tratto’ di inaugurare in pompa magna la sua nuova segreteria politica di Avellino, Milanese chiamo’ accanto a se’ proprio Nicola Cosentino, e da allora parti’ quella linea politica che, a livello locale, li ha visti sempre gemellati.

Senza contare – poi – quel formidabile trait d’union fra i due che si chiama ancora una volta P3 e che passa per l’immarcescibile Pasqualino Lombardi. Il quale e’ strettamente collegato da un lato a Viscione-Milanese (lo dimostra l’Operazione Malta), e dall’altro a Cosentino, come emerge dalla mole di carte processuali sulla Loggia capitanata da Lombardi, Arcangelo Martino e Flavio Carboni.

Con un altro protagonista irpino a far da sfondo: Angelo Gargani, fratello del demitiano doc ed ex europarlamentare del Pdl Giuseppe Gargani. In un interrogatorio di inizio settembre l’ex assessore comunale partenopeo Martino si sofferma su un pranzo cui aveva preso parte insieme a «Lombardi, Caliendo, Martone, Carboni, mi sembra anche Miller, Lusetti, Angelo Gargani, Nunzia De Girolamo» per trovare vie d’uscita favorevoli a Cesare-Silvio Berlusconi nelle vicende Lodo Alfano e Mondadori.

Pacifico, poi, il rapporto fra Giuseppe Gargani e Milanese, esponenti di punta nello stato maggiore del Pdl ad Avellino, con un ruolo oggi rafforzato dalla probabile uscita di scena del proconsole delle zone interne Pasquale Viespoli, travolto dalla recente debacle dei finiani.

IL GENERALE INFERNO

E poi c’e', sempre per restare a Cervinara caput mundi, un altro altissimo esponente delle istituzioni: il generale delle Fiamme Gialle Giovanni Mainolfi, anche lui originario di quelle terre. Il suo nome e’ fra quelli che spuntano nel monumentale fascicolo dell’inchiesta sulla Loggia massonica di Lombardi e C. condotta dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo. «Mainolfi – racconta Arcangelo Martino nel corso di un lungo interrogatorio – si era rivolto a Lombardi per ottenere un trasferimento da Napoli». Ed era stato partecipe, secondo quanto emerge dai verbali, delle manovre della cricca tese a scongiurare quella richiesta di arresto per concorso esterno in associazione mafiosa che avrebbe invece poi sbarrato la strada a Cosentino nella corsa a governatore della Campania.

Mainolfi non e’ indagato, ma quello legato al suo nome e’ fra i casi piu’ scottanti dell’intera vicenda, perche’ coinvolge un esponente apicale delle forze dell’ordine. Ad offrire dettagli e’ il fresco di stampa “P3 – tutta la verita’”, scritto da Giusy Arena e Filippo Barone, giornalisti di Annozero: «Il generale dispone di informazioni di prima mano riguardanti Cosentino, sembra conoscere i desiderata di Cesare e del Vice Cesare ossia, secondo Martino, Berlusconi e Dell’Utri». Da Mainolfi «giungono notizie preoccupanti: lo spazio destinato a Cosentino e’ stato occupato da qualcun altro, forse Gianni Lettieri, il presidente dell’Unione Industriali della provincia di Napoli». Piu’ volte, nel corso delle telefonate intercettate, Lombardi e Martino parlano di ‘o Generale, anche detto, in codice, ‘o Maresciallo: sempre lui, Mainolfi.

Il generale di brigata Mainolfi si era insediato al vertice del comando partenopeo giovanissimo, soli 48 anni, nel settembre 2008. «Ha frequentato l’accademia della Corpo dal 1978 al 1982 ed e’ stato docente al Corso Superiore di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza». Cosi’ la nota ufficiale, che ci ricorda un primo trascorso in comune con Marco Milanese, la docenza alla Scuola superiore delle Fiamme Gialle (vedi box).

Ma l’amicizia vera, fra i due irpini trapiantati al nord, si suggella proprio al Ministero, quando entrambi entrano alla corte di Tremonti e ci restano, lavorando fianco a fianco, per lunghi anni. Poi l’arrivo a Napoli, da cui il generale se ne vuole andare. Quindi il coinvolgimento nell’inchiesta P3 e la prudenziale uscita di scena dal capoluogo partenopeo, a settembre 2010. «Il generale – raccontano in ambienti delle fiamme gialle – si trova ora a Roma, alla Scuola comando interforze. Ufficialmente e’ li’ per aggiornarsi sulle nuove strategie d’indagine. La sensazione vera e’ che sia stato in qualche modo “parcheggiato”…».

Ma perche’ – e’ la domanda che si fanno in tanti – proprio Mainolfi, che e’ di origini campane, voleva lasciare a tutti i costi il comando provinciale di Napoli? Chi o che cosa rendevano la sua vita difficile all’ombra del Vesuvio? «Forse anche il generale – azzarda qualcuno in ambiti investigativi – era sfinito dalle telefonate dei politici altolocati di riferimento della P3». Come succedeva a Paolo Viscione: «Dovete finirla di chiamarmi, io non sono l’azionista», sbottava esaurito l’avvocato nel corso di una conversazione. Poi aggiungeva, in perfetto Cambridge style: «io mi sono rotto i coglioni. E se stanno i telefoni sotto controllo e’ buono che il magistrato che ascolta mi chiama e io gli racconto per filo e per segno. Che pezzi di merda…».

LE FIAMME DI TELEGOMORRA

La “partita” da mezzo miliardo di euro delle frequenze televisive sottratte allo Stato ed il regime di controllo delle emittenti locali da parte di imprenditori contigui ai clan. Ecco due patate bollenti sul tavolo degli investigatori partenopei, in primis la Guardia di Finanza, che ha il suo nucleo centrale di controllo sull’emittenza televisiva proprio a Napoli, sede dell’Agcom, grattacielo Torre Francesco del Centro Direzionale. E sono loro, i finanzieri della Torre, che agli ordini del pubblico ministero Walter Brunetti hanno condotto indagini e interrogatori sugli artefici della Gomorra televisiva. Le indagini – scaturite dalle denunce di Julie, l’emittente che in perfetta solitudine ha documentato, milione dopo milione, la “sparizione” delle frequenze pubbliche campane a vantaggio dei clan – sono andate avanti fino a settembre dello scorso ano quando, quasi a sorpresa, il pm avanza richiesta di archiviazione, stralciando solo un filone relativo alla regolarita’ di alcune antenne. Roba, insomma, da piccoli truffatori. Che potrebbe consentire ai fiduciari dei clan di farla franca, ora che il Piano delle frequenze e la successiva asta – quella da cui Tremonti ricava il grosso delle risorse per la Finanziaria 2011 – arriveranno a cristallizzare lo status quo, mettendo la parola fine a tutti i tentativi di sottrarre alla camorra il predominio dell’etere televisivo partenopeo.

«Questo significherebbe – protesta Maria P., del comitato vittime elettrosmog nella zona collinare dei Camaldoli – che le fiamme gialle del centro direzionale non hanno trovato elementi sufficienti per ricondurre ad ambienti camorristici i tanti proprietari di emittenti campane sentiti in questi ultimi mesi. E allora di chi e’ la colpa dell’epidemia di cancro che colpisce le nostre zone, dove misurazioni anche recentissime mostrano selve di antenne con potenze fuori controllo, oltre ogni limite?».

UN DE GREGORIO PER AMICO

Intanto viene a galla che un finanziere in servizio al nucleo operativo dell’Agcom partenopea ha un fratello che e’ stato assunto presso le emittenti di Giuseppe Giordano, editore particolarmente caro a Nicola Cosentino, balzato nel giro di pochi anni dagli angusti studi di Tele Regione, nelle tre stanzette sui Camaldoli, al brand supersonico Italiamia-Casertamia, con tanto di quartier generale a Marcianise, nell’area di influenza politica dell’ex sottosegretario. Il quale non fece mancare la sua affettuosa presenza, fra l’altro, all’inaugurazione dei nuovi studi casertani.

Attualmente sotto processo dinanzi alla sesta sezione penale del Tribunale di Napoli nell’ambito dell’operazione Onde Rotte (e’ imputato per reati che vanno dalla truffa alle false fatturazioni, insieme a moglie, figlio e nipote), Giordano vedeva crescere le sue emittenti negli anni in cui, oltre alla benedizione di Cosentino, poteva contare sulla presenza in redazione di un uomo “di peso”, l’attuale senatore-giornalista Sergio De Gregorio. Emilia Velardi, consorte del suo alter ego Giovanni Lucianelli, e’ stata infatti a lungo direttore dei servizi giornalistici presso le tv di Giordano. Davvero un bell’ambiente: De Gregorio e’ tuttora indagato dalla Procura antimafia di Napoli per riciclaggio e favoreggiamento della camorra e da quella di Roma per corruzione. Entrambe le indagini nascono da una perquisizione a carico di Rocco Cafiero, detto ‘o Capriariello, ritenuto dagli inquirenti esponente del clan Nuvoletta. In casa di Caprariello i militi avevano rinvenuto una serie di assegni firmati da De Gregorio.

Ma proprio sul giro di frequenze riconducibili a Italiamia era basata buona parte della documentazione prodotta da Julie a supporto dei numerosi esposti presentati in Procura contro il fernomeno Telegomorra. Compresa la sottrazione illegittima di frequenze televisive ammontanti, nel loro complesso, ad un valore valutato intorno ai 500 milioni di euro. Esposti, peraltro, avvalorati da un atto di sindacato ispettivo al calor bianco, primo firmatario Pancho Pardi dell’Idv, sulle connection tv campane-camorra.

GUARDIE E PADRI

Non meno duro il j’accuse di Pardi nei confronti di altri autentici “papa’” dei neomelodici, come Antonio Tagliamonte di Teleakery, o come i fratelli Alfredo e Luisa Abbaneo da Ottaviano, editori di quelle Tele A e TLA, che inondano quotidianamente l’etere di monnezza canora 24 ore su 24 in stile ‘Nu Latitante.

Analogo il “palinsensto” di Campania Tv, l’emittente del pluripregiudicato Nicola Turco (fresco di due condanne per estorsione e minacce ai danni della Julie, nonche’ imputato in altri processi per reati come appropriazione indebita di attrezzature ed estorsione, sempre ai danni della stessa emittente).

Eppure e’ proprio il quartetto Tagliamonte, fratelli Abbaneo e Turco a ribaltare, dinanzi ai finanzieri dell’Authority, le denunce presentate da Julie e il duro j’accuse di Pardi. Sentiti nel corso delle indagini, si proclamano improvvisamente vittime di tentata estorsione da parte dei responsabili della storica emittente, nata dall’esperienza della pioniera Telelibera. I cui responsabili hanno gia’ denunciato per calunnia gli autori di quello che definiscono un “telecomplotto” in piena regola. Ma soprattutto lamentano, nel corso del voluminoso esposto, un atteggiamento da «due pesi e due misure» che sarebbe stato tenuto dai finanzieri dell’Authority nel corso degli interrogatori: a cominciare dal fatto che non e’ stata richiesta la presenza del legale difensore per le verbalizzazioni di Tagliamonte, Abbaneo e Turco, «quasi che si intendesse in tal modo dare per scontata – spiega l’avvocato Lucio Varriale, consulente legale di Julie – la veridicita’ delle loro calunnie ai nostri danni».

«Il punto – rincarano la dose negli ampienti partenopei dell’anticamorra – e’ che il tentativo palese di delegittimare chi denuncia gli affari dei clan e’ una costante pacificamente accertata nelle migliaia di procedimenti giudiziari in cui sono coinvolti i boss o la loro manovalanza. Ma queste sono circostanze che gli inquirenti non scoprono certo oggi…». Per esempio, i circa 15 provvedimenti della magistratura (penale, civile e amministrativa) che confermano le legittime ragioni del circuito campano Julie, i cui rappresentanti rischiano invece di passare, inspiegabilmente, dalla veste di implacabili accusatori a quella di indagati, in seguito alle verbalizzazioni di personaggi come Turco, Tagliamonte e Abbaneo.

Ma sarebbe mai possibile dar credito proprio ai titolari delle emittenti che, attraverso il denaro ruotante intorno ai neomelodici, mostrano a viso aperto le contiguita’ coi linguaggi, i simboli e i “miti” made in camorra? Ben oltre le rivelazioni di Gigi D’Alessio (che in una celebre intervista a Vanity Fair ammise di essere stato un cantore “forzato” da matrimoni su ordine di un boss), piu’ recentemente due casi dovrebbero avere aperto gli occhi anche ai piu’ distratti. Il primo. Quando si e’ trattato di scegliere la colonna sonora per il film Gomorra, il regista Matteo Garrone ha cercato di ricostruire attraverso musica e parole il clima agghiacciante di cui e’ pervasa la vita della gente comune in terra di clan. Cercava in particolare un paroliere assai caro ai neomelodici, tal Rosario Armani. Il quale, pero’, non esiste. Perche’ e’ lo pseudonimo di Rosario Buccino, latitante e condannato per reati contro il patrimonio. «Condizione non dissimile – chiosa sul Giornale Luca Telese – da quella di uno dei suoi piu’ fortunati interpreti, l’amatissimo Enzo Ilardi, ottimo cantante, che pero’ nella vita reale e’ alle prese con una accusa per spaccio di droga».

A maggio 2009 lo stesso interprete di Gomorra, Ciro Petrone, si e’ trovato al centro di un blitz nel corso di un ricevimento nuziale a Trecase, pendici del Vesuvio: era a tavola con i pregiudicati Salvatore e Luigi Prinno, affiliati all’omonimo gruppo camorristico fiancheggiatore dei Sarno, entrambi arrestati per detenzione e porto illegale di armi.

«Al ricevimento – viene spiegato nella nota – i carabinieri hanno identificato diverse persone ritenute vicine al clan Sarno, nonche’ alcuni personaggi minori del mondo dello spettacolo tra cui lo stesso Petrone». Tra gli invitati, cantanti neomelodici ed altri esponenti del mondo dello spettacolo tra i quali Luigi Attrice. Una passione irrefrenabile, quella dei famigerati Sarno, per la canzone neomelodica e il fatturato che vi ruota intorno. Basta ricordare tra le agenzie di promoting la Bella Napoli: titolare e’ Carmine Sarno, alias ‘O Topolino, fratello di Ciro Sarno ‘O Sindaco, capo del clan Sarno di Ponticelli, oggi all’ergastolo. Antesignani sul campo sono stati pero’ i Giuliano da Forcella e la Zeus Record di Tommy Riccio, autore di “Nu Latitante”, con Ciro Riggione che cantava “Chillo va pazzo pe’ te”, scritta da don Luigino Giuliano.

Un’analisi recentissima (ottobre 2010) della linea incandescente che unisce neomelodici e camorra e’ stata resa da Cosimo Marasciulo di Libera, l’associazione contro tutte le mafie, che segnala le hit pro-camorra piu’ cliccace su You Tube: «”Nu latitante” (171.046 visualizzazioni), “Onore e rispetto” di Fabrizio Ferri e Marianna (31.128 visualizzazioni), “Sta vita fa’ paura” di Leo Ferrucci (222.259 visualizzazioni), “Comme se fa” di Zuccherino (26.617 visualizzazioni) e soprattutto “O capoclan” di Nello Liberti (quasi 25.000 visualizzazioni prima di essere censurato)». «Non tutta la canzone neomelodica e’ collegata a organizzazioni criminali. Ma e’ anche vero – conclude Marasciulo – che rappresenta uno strumento per riciclare i soldi sporchi e diffondere a macchia una “cultura mafiosa” necessaria a motivare e mobilitare le nuove generazioni».

«Oggi piu’ che mai – aggiunge Carlo Crudele, mediattivista di “Inviato Speciale” – il produttivo filone neomelodico svolge un doppio servizio alla camorra: quello evidente di riciclo di soldi sporchi e quello, piu’ sottile ma non meno importante, di spargimento a macchia d’olio di una “controcultura” mafiosa. Necessaria per mobilitare nuove generazioni di piccoli, agguerriti malavitosi». Tutte considerazioni che cominciano ormai ad essere diffuse nella parte piu’ attenta dell’opinione pubblica e che certamente non sfuggono a quegli inquirenti – dal piu’ alto magistrato al semplice agente di polizia di pattuglia per le strade di Scampia – che la camorra la guardano in faccia ogni giorno, rischiando la pelle.

LA LA LOGGIA TRAIANA E’ LA P3…

Marco Milanese, deputato del Pdl, stretto collaboratore del ministro dell’Economia Giulio Tremonti e attuale commissario provinciale di Forza Italia, e’ il piu’ ricco fra i parlamentari irpini. Ha dichiarato oltre 700mila euro di reddito ai quali vanno aggiunte le proprieta’: case vacanze in Francia e Val d’Aosta e partecipazione in societa’ all’estero».

Chissa’ cosa darebbe Milanese, ora che e’ indagato nell’ambito dell’Operazione Malta insieme a Paolo Viscione, per cancellare quel trionfale annuncio del periodico locale Irpinia Oggi che, a marzo 2009, sottolineava con soddisfazione il palmares di Paperone delle zone interne conquistato dall’ex finanziere originario di Cervinara.

Se tanto ben di dio sia riconducibile alle “relazioni” di Milanese con l’intraprendente Viscione sara’ la magistratura ad accertarlo. Di sicuro quell’irpino bruno che aveva stregato il divo Giulio Tremonti ha accumulato incarichi ben remunerativi anche a Roma, durante la permanenza al vertice dello staff di Via XX Settembre, non senza suscitare velenose polemiche. E’ il caso della Scuola superiore dell’economia e delle finanze, da sempre nel cuore di Tremonti, ma con spese per i docenti che gia’ nel 2005, quando comincia ad infuriare la bagarre, si aggirano sui 60 mila euro a testa.

Una interrogazione dell’allora deputato diessino Giorgio Benvenuto radiografava quella che veniva definita «la pacchia della scuola imperiale» dei Tremonti Boys: «132 mila euro vanno al rettore, Vincenzo Fortunato, contemporaneamente capo di gabinetto del ministro Tremonti e membro del Consiglio di giustizia amministrativa. Direttore amministrativo della Scuola, e da questa retribuito con 75.000 euro, e’ Marco Pinto, direttore degli uffici di gabinetto del ministero gestito da Tremonti».

Ancora: «La stessa cifra tocca a due docenti insigniti del titolo di capodipartimento e pure a loro la Scuola versa 75.000 euro a testa. Sono Giovanni Mainolfi, vice-capo di gabinetto al ministero dell’Economia, e Gaetano Caputi, capo dell’ufficio legislativo dell’Economia. Mentre il capo di gabinetto di Tremonti a Palazzo Chigi, Marco Milanese, anche lui docente alla Scuola, percepisce un compenso di 60 mila euro».

Milanese, Mainolfi. Nomi che tornano, insieme, nelle cronache di oggi. E se il generale Mainolfi e’ l’unico finora tirato in ballo dai protagonisti della loggia P3, non e’ detto che Milanese e Viscione siano del tutto estranei al sodalizio. Perche’ il cuore degli intrighi massonici su cui sta lavorando la Procura di Roma, pur con un partner sardo come Flavio Carboni, riporta proprio nelle zone interne della Campania, a Cervinara, dove aveva il suo quartier generale quel geometra diventato “giudice” tributario grazie alle intense frequentazioni con le piu’ alte cariche della magistratura italiana.

«E non dimentichiamo – dice un attento osservatore locale – che proprio a Benevento ha sede quella Loggia della Colonna Traiana cui era affliato fra gli altri Giuseppe Tanga, inquisito dal pm di Milano Armando Spataro (e prima ancora dal sostituto di Benevento Antonio Clemente) con l’accusa d’aver arruolato eserciti mercenari per organizzare un golpe in Angola».

Ma allora la famigerata P3 non sara’ per caso tutt’uno con la Loggia della Colonna Traiana di Benevento? E che ci faceva Gianfranco Lombardi, figlio di Pasqualino, al fianco di Viscione come esperto di opere d’arte?…

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