Dissequestrati i documenti di via Galanti, sequestrate le Polizze
Il 27 marzo, il Tribunale del Riesame ha ordinato il dissequestro dei documenti prelevati al Settore Urbanistica dalla Digos su ordine della Procura della Repubblica, relativi alla realizzazione degli alloggi di via Galanti.
Il 30 marzo è stato operato dalla stessa Digos il sequestro delle Polizze Fidejussorie a garanzia della corretta realizzazione degli alloggi e delle opere di urbanizzazione sempre di via Galanti.
Le Polizze sono state emesse da una società di Intermediazione Finanziaria il cui titolare è stato arrestato il 14 marzo dalla Guardia di Finanza perchè sospettato di “impiego di proventi illeciti, ricettazione, violazione dei doveri del custode giudiziale ed ostacolo agli organi di vigilanza”.
Di seguito pubblichiamo anche una interessante relazione sul Riciclaggio del denaro sporco di Antonio Squillacioti, sottotenente della Guardia di Finanza.
IL SANNIO QUOTIDIANO 29-03-2006
Via Galanti, nuovo dissequestro della documentazione
Accolti dal tribunale del Riesame i ricorsi presentati dagli avvocati Umberto Del Basso De Caro, Roberto Prozzo, Andrea De Longis junior, Alberto Simeone, Federico Paolucci e Mario Chiusolo contro il sequestro bis della documentazione relativa alla realizzazione degli alloggi di via Galanti, prevista nel Piano di recupero del rione Libertà. Il sequestro, come si ricorderà, era scattato il dieci marzo sulla scorta di un nuovo decreto firmato dal sostituto procuratore Francesco De Falco dopo la decisione con la quale ventiquattro ore prima lo stesso Riesame aveva annullato il precedente provvedimento, dissequestrando il materiale. Come è noto, sono sette le persone indagate per le ipotesi di reato di associazione per delinquere, falso in scrittura privata, truffa e tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche: Maurizio Triola, e la moglie, Maria Rosaria Di Biase, di Napoli, amministratori, rispettivamente, della ‘Conca scarl’ e della ‘Orec scarl’, le due imprese impegnate nella costruzione degli alloggi; Giovanna Iannelli, all’epoca dei fatti responsabile del procedimento per l’attuazione del Piano di recupero di via Galanti; Francesco Cassano, dirigente del Settore Urbanistica del Comune; Nicola Boccalone, direttore generale del Comune; Sergio Moleti, direttore dei lavori per la realizzazione degli appartamenti da parte della ‘Conca’, Filippo Serino, all’epoca funzionario del Settore Urbanistica, nonché coordinatore Uoc del Comune.
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IL MATTINO 1 aprile 2006
Urbanistica. Alloggi di via Galanti sequestrate polizze assicurative
“Gli agenti della Digos su disposizione della Procura della Repubblica hanno sequestrato per procedere ad una verifica, delle polizze assicurative che erano state esibite dalla ditta CON.CA. che sta realizzando gli alloggi in via Galanti al rione libertà. Come è noto questi alloggi sono al centro di indagini che vengono condotte dalla Procura e dalla Digos.”
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IL MATTINO 15/03/2006
Indagini della Procura di Roma sul responsabile di una società di garanzie fideiussorie
Commercialista in manette
Accusato di ricettazione e di aver impiegato proventi illeciti. Sequestrata anche una Ferrari
Un COMMERCIALISTA Umberto Fiore, già in passato alle prese con problemi con la giustizia è stato arrestato. Da tempo era controllato dai finanzieri del Nucleo speciale polizia valutaria e del Nucleo di polizia tributaria di Benevento. Umberto Fiore,42 anni,responsabile di una società emittente garanzie fideiussorie con sede in Roma, ma molto nota nel beneventano, è finito nel carcere di Regina Coeli, in esecuzione di un ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Roma per impiego di proventi illeciti, ricettazione, violazione dei doveri del custode giudiziale ed ostacolo agli organi di vigilanza. Umberto Fiore al momento dell’arresto è stato colpito da un lieve malore. Inoltre i finanzieri gli hanno sequestrato anche alcuni beni tra cui un auto Ferrari.
Le disavventure di Umberto Fiore hanno avuto inizio la scorsa estate con una ispezione di natura valutaria delle fiamme gialle. In quell’occasione, le i finanzieri avevano deciso di cautelare la documentazione attraverso l’apposizione di sigilli. Del resto Fiore era già noto ai militari della Guardia di Finanza di Benevento perchè arrestato per truffa e danno all’Erario, in relazione a indebiti rimborsi Iva per alcuni miliardi di lire. Umberto Fiore, recentemente era stato nuovamente sottoposto a indagini da parte del Nucleo provinciale di polizia tributaria di Benevento per l’ipotesi di riciclaggio, e il procedimento penale originariamente portato avanti in città era stato trasmesso per competenza dalla locale Procura alla magistratura di Roma.
Inoltre il COMMERCIALISTA era stato sorpreso lo scorso ottobre all’aeroporto di Fiumicino, con un timbro contraffatto del Nucleo speciale polizia valutaria. Segnalato a piede libero, le fiamme gialle della Polizia valutaria hanno avuto modo, poi, di accertare che i locali della società ove era stata bloccata la documentazione erano stati forzati, i sigilli di Stato sostituiti con altri e le firme dei militari anch’esse contraffatte.
Notiziata la Procura di Roma, le investigazioni supportate anche dagli accertamenti bancari, hanno consentito ai finanzieri di sottoporre ora a sequestro uno yacht, una Bmw serie 7, una Ferrari oltre 700.000,00 euro e le quote societarie della finanziaria che ha operato, in danno dei soggetti beneficiari delle polizze emesse ( enti pubblici, società commerciali, soggetti privati, etc. ) i quali, nel caso avessero tentato di riscattarle non avrebbero trovato alcunché su cui rifarsi. Umberto Fiore scortato prima all’ospedale «Sandro Pertini», per opportuni accertamenti sullo stato di salute, è stato successivamente condotto presso il carcere di Regina Coeli, a disposizione dell’Autorità giudiziaria di Roma. Il processo che lo vede imputato in città per la truffa dei falsi rimborsi Iva vede coinvolti con lui un’altra ventina di persone. Il processo si sta svolgendo da alcuni mesi e attualmente è al vaglio del collegio giudicante con una udienza in programma per la metà di aprile.
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Dalla RIVISTA DELLA GUARDIA DI FINANZA- anno 1999 n. 4
La normativa valutaria e il riciclaggio
di Antonio Squillacioti
1. Premessa – 2. Nuove norme sulla circolazione transfrontaliera di capitali – 3. Nuovo regime di segnalazione delle operazioni sospette
1. Premessa
Lo scopo del presente lavoro è quello di affrontare, alla luce delle recenti innovazioni legislative, il delicato argomento della movimentazione transfrontaliera di capitali da e per l’estero a cui si riconnette – in chiave quasi assiomatica – l’altrettanto delicato tema del riciclaggio.
Si sa benissimo che in questi ultimi decenni, in seguito al processo di liberalizzazione dell’economia europea, uno degli strumenti adoperati dalla criminalità organizzata per “ripulire” il denaro proveniente da attività criminose è stato proprio quello di farlo transitare per le vie legali degli intermediari finanziari (banche, compagnie di assicurazione, Sim, società finanziarie), che hanno finito per svolgere la base logistica e operativa da cui si sono dipartiti e continuano a dipartirsi traffici di dimensioni non sempre quantificabili.
Negli ultimi anni, infatti, anche in Europa le organizzazioni criminali – operanti soprattutto nel traffico degli stupefacenti, delle armi, nel contrabbando, nel gioco d’azzardo, nella prostituzione, nella cosiddetta industria dei sequestri e nel terrorismo – hanno avuto uno sviluppo tale, da trasformarsi, in alcuni casi, in grosse organizzazioni imprenditoriali che investono gran parte dei proventi delle loro attività in attività lecite economiche e/o finanziarie.
L’esigenza del nostro Paese di perseguire ed eliminare alla radice possibili effetti distorsivi per la stabilità economica interna, unita alla necessità di uniformarsi alle direttive comunitarie in materia di libera circolazione di capitali, non poteva dilazionare ulteriormente la rivisitazione delle norme in materia. Da qui l’introduzione di controlli più penetranti sui flussi di capitali e l’instaurazione, parallelamente, di rapporti di collaborazione internazionale fra le autorità di polizia dei vari Stati, per lo scambio di dati e notizie utili allo sviluppo delle investigazioni. Si è giunti così all’emanazione di due decreti legislativi, il 125 e il 153 del 1997, che riformando parzialmente la normativa previgente (legge 4 agosto 1990, n. 227 e legge 5 luglio 1991, n.197), dettano rispettivamente, in attuazione della direttiva 91/308/Cee (1), norme in materia di circolazione transfrontaliera di capitali e norme per combattere il riciclaggio di denaro di provenienza illecita.
Mentre il decreto 125/1997 esordisce con finalità prettamente fiscali, prevedendo una serie di adempimenti tali da garantire al fisco la conoscenza delle movimentazioni di denaro e titoli al portatore di valore superiore a lire 20 milioni (è stato istituito l’obbligo di dichiarare questi trasferimenti all’Uic, che a sua volta li trasmette all’Amministrazione finanziaria), il decreto 153/1997 opera invece su di un piano di prevenzione, sancendo nuove e più incisive regole in materia di segnalazione di operazioni sospette e di riservatezza delle stesse segnalazioni (2).
Benché con le due norme si siano colmate alcune delle lacune già da tempo rimarcate in ambito comunitario (quali la necessità di garantire l’incolumità dei soggetti che effettuano la segnalazione, la possibilità di sospendere per un certo periodo quelle operazioni ritenute anomale), restano tuttavia scoperti alcuni segmenti la cui regolamentazione non appare oltremodo dilazionabile. Non è certo questa la sede per esprimere pareri che altri potrebbero elargire con maggior vaglio di competenza. Si suole comunque fare riferimento in primo luogo alla mancata esistenza di un apparato strutturale capace di combattere alla radice quello che in un futuro – a noi ormai vicino – potrebbe divenire lo strumento principe nella “ripulitura” dei capitali di provenienza illecita: la circolazione per via telematica.
Cosa dire poi dell’allargamento del mercato europeo al blocco dei paesi ex sovietici? Esso comporterà, assieme all’inserimento nella realtà comunitaria di soggetti economici nuovi, l’inevitabile comparsa di nuove forme di criminalità.
L’idea di una lotta al riciclaggio limitata ai nostri confini nazionali – in una epoca in cui il denaro si muove sulle reti informatiche con una rapidità impressionante e con una ampiezza geografica intercontinentale -, è da considerarsi superata: fondamentale è invece agire in una ottica che scavalchi i confini fisici ed economici delle singole realtà europee.
Nel nuovo scenario europeo, contrassegnato ormai dall’adozione di una moneta unica, è necessario, infatti, che tutti i soggetti deputati a prevenire gli effetti destabilizzanti causati dalle economie occulte della criminalità organizzata si adoperino per mutare le loro strategie d’attacco.
La lotta al riciclaggio di denaro, perpetrato sia attraverso i canali tradizionali sia attraverso siti elettronici, dovrà coinvolgere specularmente e, in un atteggiamento di sfida, soggetti finanziari e organi di polizia.
La stessa Guardia di Finanza, proiettata sempre più nel ruolo di polizia economica finanziaria, dovrà ulteriormente potenziare le sue già consolidate performance, puntando su una maggiore professionalità nel campo dell’elettronica e dell’informatica. “I tempi di chi oltrepassava il confine con valigie zeppe di banconote” (3), se non sono del tutto tramontati, lo saranno ben presto. “Approfittando del denaro elettronico e dell’homebanking è possibile avere mille conti in mille banche differenti, compiere centinaia di operazioni senza correre il rischio che l’operatore dello sportello della propria agenzia si insospettisca” (4).
Quanto scritto fin adesso, se non è di certo sufficiente a fornire una visione completa sulla vastissima normativa riguardante il settore valutario e quello del riciclaggio, lascia comunque aperta una considerazione: parlare univocamente o separatamente di legislazione valutaria (facendo con questa locuzione riferimento a quel complesso di norme che garantiscono e tutelano la libera movimentazione di denaro, valori, ecc.), senza cogliere le relazioni intercorrenti tra questa e l’impianto normativo antiriciclaggio, è ormai del tutto anacronistico.
Il problema risiede altrove: bisognerebbe probabilmente evitare di “giocare” – come spesso accade nella legislazione italiana – al differimento dei ruoli e delle competenze, dilazionando nel tempo l’emanazione di provvedimenti e, quindi, l’attuazione di strumenti, in grado di colpire seriamente chi opera nelle districate e inestricabili reti del riciclaggio. La tanto anelata banca dati dei conti e dei depositi – che di fatto altro non è che lo sdoppiamento dell’anagrafe bancaria prevista dalla L. 197/1991 – dopo ben 8 anni di attesa, resta ancora un miraggio nel deserto. Chi opera nel settore valutario – e la Guardia di Finanza, quale organo investigativo è in prima linea – conosce bene quali effetti positivi deriverebbero dalla sua attivazione, sia sotto il profilo dei tempi di richiesta delle informazioni che dei costi di ricerca connessi (5).
Dopo questa breve digressione, è comunque giunto il momento di passare all’esame dei decreti 125/1997 e 153/1997. Noteremo che le due norme, pur agendo su livelli operativi diversi (fiscale e penale), offrono allo stato italiano uno strumento, almeno in teoria abbastanza efficace, se si considera che i risultati di effettivo contrasto nazionale ed internazionale del riciclaggio, sono al momento lontani dall’essere soddisfacenti.
2. Nuove norme sulla circolazione transfrontaliera di capitali
La normativa valutaria dal 1957 ad oggi, in concomitanza con l’evolversi del quadro economico europeo e nel rispetto delle indicazioni del Trattato di Roma, ha conosciuto modifiche di notevole portata, passando da un regime restrittivo ad uno di libera movimentazione. Dando per scontate le tappe intermedie che hanno condotto alla completa liberalizzazione del settore valutario, in Italia, il recepimento del principio comunitario di libera circolazione di capitali da e per l’estero è avvenuto il 14 maggio 1990 con il D.M. 27 aprile, recante disposizioni in materia valutaria.
Da questa data possono essere eseguiti, senza alcuna restrizione, tutti i trasferimenti di valori mobiliari da e verso l’estero, compresi i Paesi extracomunitari per i quali, tali facoltà, sono state estese in anticipo rispetto al 1° gennaio 1994 fissato dal Trattato di Maastricht. In particolare ai sensi dell’art. 1, secondo comma, del D.M. 27 aprile 1990, possono essere esportati, tra l’altro, mezzi di pagamento, titoli di credito, valori mobiliari, altre disponibilità in valute estere e in lire nonché possono essere costituiti all’estero conti e depositi in valute estere e in lire.
Tuttavia, al fine di contrastare il reato di riciclaggio dei proventi illeciti sono stati contrapposti a questa liberalizzazione precisi oneri dichiarativi e operativi, tra cui ad esempio, per i trasferimenti di denaro e di titoli al portatore, l’obbligo della canalizzazione cioè dell’utilizzo di intermediari abilitati.
Tali disposizioni furono immediatamente ritenute, dalla Commissione europea, in contrasto con le Direttive comunitarie in tema di libera circolazione dei capitali in quanto la canalizzazione obbligatoria poteva costituirne un ostacolo di fatto. La repressione del riciclaggio, infatti, si sarebbe potuta ottenere con un sistema di dichiarazione delle operazioni, anziché con la canalizzazione.
Per lenire questi contrasti l’art. 15, primo comma, lett. d), della L. 52/1996, in attuazione della Direttiva 91/308/Cee del 10 giugno 1991, ha conferito al governo la delega a riesaminare il regime relativo all’importazione ed esportazione al seguito di denaro, titoli e valori mobiliari al fine di accrescere l’efficacia a fini antiriciclaggio, ma assicurando, in ogni caso, la compatibilità di tale regime con la libera circolazione delle persone e dei capitali sancita dal diritto comunitario.
Tale delega, scaduta il 25 febbraio 1997, è stata comunque attuata col D.L.vo 30 aprile 1997, n.125, entrato in vigore il 14 giugno 1997.
Onde evitare interposizioni interpretative, è bene precisare che le modifiche recate dalla nuova disposizione non riguardano la disciplina del monitoraggio fiscale contenuta nella L. 227/1990, che resta, dunque, invariata. Per ogni trasferimento da e per l’estero che incide su investimenti e attività finanziarie, costituite nel nostro Paese, continua infatti a sussistere l’obbligo di indicazione nella dichiarazione dei redditi, procedendo alla compilazione del modello “Quadro W”, e ciò anche se al termine del periodo di imposta i soggetti risultano non detenere più investimenti e attività finanziarie all’estero. Tale obbligo sussiste solo se i soggetti interessati ai predetti trasferimenti siano persone fisiche, enti non commerciali, società di persone e associazioni professionali, così come stabilito dall’art. 4, primo comma, della L. 227/1990.
A tali soggetti, infatti, l’Amministrazione finanziaria, sulla base dei dati comunicati dall’Uic, potrà direttamente applicare, limitatamente ai trasferimenti operati verso l’estero, il regime della tassazione presuntiva contemplato dall’art. 6 della stessa legge (6).
Con il D.L.vo 125/1997, è stata invece completata la disciplina relativa alla liberalizzazione valutaria dei movimenti transfrontalieri di capitali.
In particolare, la nuova disposizione, recando modifiche ed integrazioni alla disciplina originaria, contenuta nel D.L. 28 giugno 1990, n.167, convertito, con modificazioni dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, introduce la possibilità, in precedenza non consentita, di effettuare da e verso l’estero trasferimenti al seguito di denaro valuta e titoli al portatore, per un importo superiore a venti milioni di lire (7).
A fronte di tale possibilità, viene, tuttavia, previsto l’obbligo, per chi effettua il trasferimento, di produrre una specifica comunicazione.
La novità più importante, introdotta dall’art. 1, consiste nella integrale sostituzione dell’art. 3, del citato D.L. 167/1990.
In primo luogo, infatti, la disciplina del nuovo art. 3 estende ai residenti la possibilità di effettuare da e verso l’estero trasferimenti al seguito di denaro, valuta e titoli al portatore di importo superiore ai venti milioni di lire, mentre in passato per i soli residenti erano consentiti trasferimenti al seguito superiori al predetto valore, unicamente di titoli e valori mobiliari diversi da quello al portatore.
Si è dunque fatto un passo in avanti per rendere omogenea la disciplina dei trasferimenti al seguito di valori superiori ai venti milioni di lire, effettuati dai residenti, mediante la previsione dell’obbligo di dichiarazione all’Ufficio Italiano Cambi (Uic). L’obbligo di effettuare detta dichiarazione risponde all’esigenza di monitorare i movimenti transfrontalieri per finalità principalmente di prevenzione e contrasto al fenomeno del riciclaggio. Con riguardo alle modalità di presentazione della dichiarazione, questa deve essere redatta in due esemplari di cui uno, munito dell’attestazione di presentazione a cura dell’Ufficio ricevente, deve essere restituito al dichiarante e deve scortare il relativo trasferimento di capitali per i passaggi extracomunitari in entrata e in uscita e per i passaggi intracomunitari in uscita.
Quanto al contenuto della dichiarazione, essa deve recare, oltre alle generalità complete del dichiarante, compresi gli estremi del documento di identificazione, il codice fiscale, se si tratta di soggetto residente, le generalità del soggetto per conto del quale il trasferimento viene eventualmente effettuato (nel caso che si tratti di soggetto residente anche il suo codice fiscale) (8).
Inoltre la medesima dichiarazione deve contenere la specificazione dei valori oggetto del trasferimento, il relativo importo, se il trasferimento è da e verso l’estero, nonché per i soli residenti, gli estremi della comunicazione effettuata all’Uic per finalità conoscitive e statistiche ai sensi dell’art. 21 del D.P.R. 148/1988 (Testo Unico delle norme in materia valutaria).
Per quanto concerne, poi, la consegna della dichiarazione, la norma, di nuova introduzione, distingue a seconda che si tratti di trasferimenti extracomunitari o intracomunitari. Nel primo caso, la dichiarazione deve essere consegnata presso gli Uffici doganali al momento del passaggio; nel secondo caso, la stessa può essere consegnata presso una banca, qualora la dichiarazione venga resa in coincidenza di una operazione effettuata preso la medesima banca, ovvero indifferentemente, presso un ufficio doganale, un ufficio postale o un Comando della Guardia di Finanza, non oltre le 48 ore successive all’entrata (per i trasferimenti da altro Paese della Ue) o le 48 ore precedenti l’uscita dal territorio dello Stato (per i trasferimenti verso altro Paese della Ue).
Per i trasferimenti da e verso l’estero mediante plico postale, la dichiarazione dev’essere invece depositata presso l’ufficio postale all’atto della spedizione o nelle quarantotto ore successive al ricevimento.
Gli Uffici competenti a ricevere la suddetta dichiarazione di trasferimento di capitali superiori ai venti milioni di lire (banche, uffici doganali, uffici postali, Comandi della Guardia di Finanza), provvederanno poi all’inoltro delle stesse all’Uic.
In tema di esenzioni dal monitoraggio dei trasferimenti di capitali di valore superiore ai venti milioni di lire, l’art. 1, aggiungendo l’art. 3-bis al D.L. 167/1990, prevede che non devono soggiacere all’obbligo di dichiarazione i trasferimenti di vaglia postali o cambiari, ovvero di assegni postali, bancari o circolari, tratti o emessi da intermediari creditizi residenti o alle poste italiane. L’esenzione dall’obbligo di dichiarazione opera solo se i suddetti titoli rechino l’indicazione del nome del beneficiario e la clausola della non trasferibilità.
La nuova disciplina prevede anche la trasmissione dei dati relativi alle dichiarazioni ricevute dall’Uic all’Amministrazione finanziaria, la quale utilizzerà tali dati per i propri fini istituzionali. In particolare, tali dati possono essere incrociati con quelli relativi alle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti che hanno effettuato trasferimenti da e verso l’estero ed ivi costituito disponibilità valutarie per un valore superiore ai venti milioni di lire. In questi casi è previsto che siano indicati nella dichiarazione dei redditi non solo le attività finanziarie costituite all’estero, ma anche i trasferimenti da e verso l’estero che nel corso dell’anno hanno interessato gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria.
Sotto il profilo sanzionatorio, infatti, la violazione degli obblighi previsti dal nuovo art. 3 della L. 227/1990, è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200.000 lire a un massimo del 40% dell’importo, trasferito o che si tenta di trasferire, eccedente il controvalore di venti milioni di lire.
A garanzia del pagamento della sanzione amministrativa, sempre nei casi di violazione degli obblighi sanciti dalla nuova formulazione dell’art. 3 citato, è previsto che il denaro, i titoli o i valori mobiliari trasferiti o che si tenta di trasferire in eccedenza rispetto al controvalore di lire venti milioni, siano oggetto di sequestro amministrativo, fino alla concorrenza del limite massimo della sanzione irrogabile (40% dell’eccedenza di valore, rispetto al limite dei venti milioni, del denaro o degli altri titoli oggetto del trasferimento), tranne i casi in cui l’oggetto del sequestro sia indivisibile o l’autore dei fatti accertati non sia conosciuto (nel qual caso il sequestro sarà operato senza i predetti limiti).
Per ottenere dall’Uic la restituzione dei valori sequestrati, l’interessato deve depositare presso la Tesoreria dello Stato una cauzione o una fideiussione rilasciata da una banca operante nel territorio dello Stato pari al 40% dell’importo in eccedenza.
Inoltre, nelle specifiche ipotesi di omessa o falsa indicazione nella dichiarazione di cui all’art. 3 delle generalità del soggetto per conto del quale è effettuato il trasferimento, è stabilita la sanzione penale della reclusione da sei mesi a un anno e della multa da lire 1.000.000 a lire 10.000.000, a meno che il fatto non costituisca un reato più grave.
Infine, altra importantissima previsione è quella contenuta nel nuovo art. 3-ter del D.L.vo 125/1997.
In deroga all’obbligo del segreto di ufficio, l’art. 3-ter prevede che i dati siano conservati per 10 anni, elaborati in forma nominativa e utilizzati dall’Uic per fini di contrasto al riciclaggio oltre che per i fini fiscali di cui si è fatto cenno in precedenza. La gestione nominativa dei dati consente infatti all’Uic di consultare queste informazioni anche in fase di analisi delle segnalazioni di operazioni sospette che provengono in forza della L. 197/1991, dagli intermediari finanziari. In questo contesto, le informazioni sulle operazioni di movimentazione transfrontaliera possono infatti risultare molto interessanti per la ricostruzione di pericolosi fenomeni legati alla criminalità organizzata. A tale proposito, è bene ribadire, che proprio alla segnalazione di quelle operazioni finanziarie che lasciano non sempre trasparire i germi moltiplicatori di una transazione finalizzata a ripulire proventi di natura illecita, l’ordinamento italiano ha attribuito un ruolo funzionalmente centrale nella lotta al riciclaggio.
3. Nuovo regime di segnalazione delle operazioni sospette
Nell’ultima parte di questa disamina abbiamo evidenziato come la normativa valutaria si leghi in modo imprescindibile alla normativa antiriciclaggio. Ne è prova il fatto che lo stesso decreto 125/1997 trova una sua completezza funzionale, solo se messo in relazione con la legge 197/1991. Questa, prescrivendo a tutti gli intermediari finanziari determinati obblighi di segnalazione delle operazioni ritenute anomale (9), rappresenta il fulcro del sistema preventivo in tema di riciclaggio.
Di recente, la L. 197/1991 è stata oggetto di una rivisitazione ad opera del D.L.vo 153/1997, che ha praticamente riscritto gli artt. 3 e 5 della legge medesima.
Prima di esaminare il contributo innovativo apportato dal decreto 153/1997, è bene comunque chiarire cosa si intenda per riciclaggio, e quali sono state le tappe intermedie che hanno portato all’attuale formulazione dell’art. 648-bis del codice penale.
In senso tecnico giuridico per riciclaggio si intende la sostituzione di denaro o di beni provenienti da determinati delitti, con denaro ovvero con altri beni.
Il riciclaggio o money laundering – volendo usare un’espressione anglofona -, si sostanzia in una serie di atti volti a reintrodurre sul mercato economico-finanziario denaro o altri valori di provenienza illecita, facendone apparire legittimi e regolari l’acquisizione ed il possesso. In linea di massima, il fenomeno del riciclaggio si articola nelle seguenti tre fasi: 1) processo di accumulazione di capitali illeciti, quale risultato delle attività tipiche della criminalità; 2) trasformazione dei capitali illeciti in leciti attraverso il loro mascheramento, ottenuto con l’interposizione di schermature idonee ad allontanare il provento dalle sue origini illecite, non solo sotto il profilo giuridico, ma anche dal punto di vista geografico; 3) investimenti dei capitali “lavati” in attività lecite: è questa la fase di collocamento, la più delicata perché comporta l’emersione di ricchezza in capo ad un determinato soggetto.
La criminalizzazione del riciclaggio – com’è noto prima del 1978 il controllo penale era limitato al reato di ricettazione (ex art. 648 c.p.) ed al reato di favoreggiamento reale (ex art. 379 c.p.) -, è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 3 del D.L. 21 marzo 1978, n. 59, convertito nella legge 18 maggio 1978, n.191, che ha aggiunto al codice penale l’art. 648-bis.
La norma era stata scritta essenzialmente per combattere forme di criminalità praticate su alcune parti del territorio nazionale ad opera di gruppi organizzati (mafia), mentre rimanevano non perseguibili altri arricchimenti riciclati provenienti da irregolarità amministrative (falso in bilancio, frode fiscale) o da condotte illecite proprie degli impiegati della Pubblica Amministrazione (corruzione, concussione, peculato). Successivamente il nostro ordinamento penale subì una progressiva dilatazione del campo di applicazione: e ciò non solo in forza delle esperienze maturate, ma soprattutto per le sollecitazioni provenienti da fonti europee, tra le quali, la Dichiarazione dei princìpi di Basilea e, in modo particolare, la Convezione di Strasburgo del 1990.
In particolare, l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo stabiliva che doveva essere previsto come reato, secondo la legge interna dei singoli Stati, nel rispetto dei relativi princìpi costituzionali e dei concetti fondamentali dei rispettivi ordinamenti giuridici, la conversione o il trasferimento di quei beni, dei quali conoscendo l’illecita provenienza, si fosse proceduto all’occultamento o alla simulazione ovvero alla agevolazione di persone coinvolte nella commissione del reato presupposto a sottrarsi alle conseguenze dei loro atti.
Nell’immediato fu emanata la L. 55/1990 (cosiddetta legge Gava-Vassali) che, modificando l’art. 648-bis c.p., introdusse ex novo l’art. 648-ter , relativo all’ipotesi delittuosa dell’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (10).
In questa fase di transizione, i reati previsti tassativamente all’art. 648-bis c.p., erano quelli di “rapina aggravata” e di “estorsione aggravata”, di “sequestro di persona a scopo di estorsione”, nonché i “delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti. Ne derivavano così un esigua applicazione della norma e risultati assai modesti. Solo in seguito alla completa ratifica della Convenzione di Strasburgo, e per effetto della L. 328/1993, si è giunti all’attuale formulazione dell’art. 648-bis, che allargando il suo raggio di operatività, così dispone: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni, o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare la loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da lire 2 milioni a lire 30 milioni.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di una attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni e le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a 5 anni”.
Con l’estensione del presupposto del reato di riciclaggio a tutti i delitti non colposi, l’azione di contrasto ha acquisito una maggiore pregnanza. Sono immediatamente emerse nuove problematiche giuridiche per gli operatori finanziari, chiamati ad applicare la sempre più complessa legislazione in materia di antiriciclaggio.
Gli artt. 1 e 2 della L. 197/1991 non hanno subito alcuna variazione. L’art. 2, in particolare, prevede, a cura del personale incaricato, l’obbligo di procedere alla identificazione di chiunque compie operazioni dirette alla trasmissione o alla movimentazione di mezzi di pagamento di qualsiasi tipo di importo superiore a lire 20 milioni. L’identificazione consiste nell’acquisizione delle generalità complete, desumibili da un documento di identificazione compreso il codice fiscale di chi compie l’operazione. Se durante lo svolgimento dell’operazione emerge uno degli indici di anomalia casisticamente predisposti dalla Banca d’Italia, a tutti gli intermediari è imposto l’obbligo di legge, attraverso un procedimento induttivo, di segnalare le operazioni sospette (11).
Il nuovo art. 3 della L. 197/1991, così come modificato dal D.L.vo 153/1997, rappresenta la nuova norma guida nella lotta al riciclaggio: occupandosi, infatti, delle segnalazioni di operazioni sospette, impone al sistema bancario e finanziario di segnalare al titolare delle attività, al legale rappresentante o a un suo delegato gli elementi che inducono a ritenere che una movimentazione finanziaria possa provenire dai delitti previsti dagli artt. 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale. Su questo punto la L. 197/1991, era stata abbastanza chiara ed esplicita.
La nuova norma ribadisce e richiede al personale bancario una forma di “collaborazione attiva”, che non deve tradursi in una indagine tendente ad accertare la sussistenza o meno del reato presupposto di riciclaggio, ma in un procedimento valutativo che deve tenere conto del profilo soggettivo di colui che compie o per conto del quale viene compiuta un’operazione (capacità economica ed attività svolta), nonché del profilo oggettivo dell’operazione (entità, natura e caratteristiche).
La novità principale è, del resto, costituita dal mutamento dei soggetti incaricati di ricevere le segnalazioni e dalla conseguente traslazione di alcuni adempimenti.
Dal 1° settembre 1997, infatti, tutte le segnalazioni di operazioni sospette sono direttamente indirizzate dagli intermediari finanziari all’Uic, che si sostituisce al questore territorialmente competente. L’Uic, dopo aver effettuato i necessari approfondimenti, correda le segnalazioni pervenute con una relazione tecnica e le trasmette a sua volta senza indugio alla Dia (Direzione Investigativa Antimafia) e al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza. Quest’ultima, sulla base dell’imput ricevuto, inizia l’attività investigativa o direttamente o tramite i Nuclei regionali di polizia tributaria e, se dalla sua attività scaturiscono collegamenti con la criminalità organizzata, avvisa il Procuratore nazionale antimafia.
Come si vede la nuova normativa assegna un ruolo centrale all’Uic e delinea una netta separazione dell’area finanziaria da quella investigativa.
Gli organi deputati a svolgere le indagini, infatti, pur essendo tenuti ad informare l’Uic di eventuali fatti e situazioni la cui conoscenza potrebbe risultare utile per prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, agiscono in completa autonomia. In altre parole, l’azione investigativa, realizzata con la consueta riservatezza e senza mai svelare l’identità dei segnalanti, si conclude o con l’invio della notitia criminis all’Autorità giudiziaria ex art. 347 del codice di procedura penale ovvero, in caso di esito negativo, con una informazione all’Uic, che ne dà comunicazione all’intermediario che aveva precedentemente attivato la procedura.
Con riguardo ai nuovi poteri attribuiti all’Uic, è importante evidenziare che quest’ultimo può innanzitutto avvalersi dei dati contenuti nell’anagrafe dei conti e dei depositi, di cui all’art. 20, quarto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413. Questa banca dati, che di fatto, potrebbe sfruttare la parte anagrafica dell’archivio unico informatico della L. 197/1991, e che dovrebbe contenere i dati identificativi, compreso il codice fiscale di ogni soggetto che intrattiene o, comunque, dispone rapporti di conto o di deposito con aziende ed istituti di credito, con l’Amministrazione postale, con fiduciarie e con ogni altro intermediario finanziario, non è ancora entrata in funzione.
Come tutti ben sanno, l’attivazione della suddetta banca dati risulterebbe invece di particolare interesse perché attraverso di essa gli organi investigativi potrebbero preventivamente conoscere a quale intermediario rivolgere le proprie richieste. Disponendo nell’immediato dei dati configuranti le posizioni creditizie di soggetti, per esempio sottoposti a misure restrittive della libertà personale o, sottoposti ad indagine, si eviterebbe l’inoltro di richieste nominative agli oltre 1.300 istituti di credito operanti nel territorio nazionale.
Ai sensi del nuovo dettato normativo altro compito importante affidato all’Uic è quello di sospendere, anche su richiesta degli organi investigativi, le operazioni ritenute sospette. Già il sesto comma della L. 197/1991, prevedeva la possibilità che le autorità destinatarie delle segnalazioni antiriciclaggio sospendessero le operazioni anomale, senza tuttavia alcuna precisazione in ordine alle modalità con cui tale sospensione avrebbe dovuto aver luogo.
Finalmente, il decreto 153/1997 ha posto le condizioni per rendere effettiva l’applicazione della sospensione, cui potrà procedere l’Uic, anche su richiesta degli organi investigativi, per un massimo di quarantotto ore, sempre che ciò non determini pregiudizio per il corso delle indagini e per l’operatività degli intermediari finanziari.
Il problema della riservatezza della segnalazione, invece, è stato affrontato inserendo nel testo originario della L. 197/1991, l’art. 3-bis con il quale sono state individuate misure dirette a proteggere i soggetti che effettuano le segnalazioni, garantendo la tutela della riservatezza in sede aziendale, investigativa e giudiziaria.
In caso di denuncia o di rapporto ai sensi degli artt. 331 e 347 del c.p.p., l’identità delle persone e degli intermediari che hanno effettuato la segnalazione, anche qualora sia conosciuta, non è menzionata. L’identità delle persone e degli intermediari può essere rivelata solo quando l’Autorità giudiziaria, con decreto motivato, lo ritenga indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati per i quali si procede.
Fuori delle ipotesi summenzionate, in caso di sequestro di atti o di documenti si adottano le necessarie cautele per assicurare la riservatezza dell’identità dei soggetti che hanno effettuato le segnalazioni.
Anche gli intermediari adottano adeguate misure per assicurare la massima riservatezza dell’identità delle persone che effettuano le segnalazioni. Gli atti e i documenti in cui sono indicate le generalità di tale persone, sono custoditi sotto la diretta responsabilità del titolare della attività o del legale rappresentante o del loro delegato.
Come si può facilmente intendere, l’obiettivo verso cui si è indirizzato il legislatore è quello di una probabile incentivazione alle segnalazioni, tenendo comunque presente che tutto ciò resta sempre confinato al fiuto, alla intraprendenza e all’onestà di chi opera dietro gli sportelli bancari.
L’esame delle segnalazioni pervenute al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria (12), ha fatto rilevare come esse provengano quasi tutte da banche, mentre taluni intermediari e alcune provincie non hanno inviato alcuna segnalazione. Quanto alla qualità delle segnalazioni, c’è da dire che molto spesso questa si attesta a livelli poco significativi, mancando quella relazione di elementi probanti che la Banca d’Italia ha predisposto analiticamente in un vero e proprio codice etico, in chiave antiriciclaggio. Il fatto poi che tra i “segnalanti” figurino in larga maggioranza banche e istituti di credito, mentre si registra una quasi totale assenza di taluni intermediari (fiduciarie, monte titoli, assicurazioni, ecc.), è un dato da prendere in seria considerazione: è proprio da questi soggetti finanziari che si diparte la stragrande maggioranza delle operazioni di riciclaggio. Poiché la criminalità organizzata sia ancorata e cristallizzata solo in alcune provincie o regioni storicamente bollate come mafiose o altro, è una realtà che appartiene ad altri tempi. I tentacoli della mafia, della ‘ndragheta, della camorra e di tutte le altre associazioni criminali, alimentati giornalmente da attività di ripulitura nei settori più disparati, non conoscono delimitazioni territoriali. Il problema si pone invece quando queste operazioni di ripulitura si intersecano ed intaccano territori di più Paesi attraverso il sistema delle compensazioni, da sempre sfruttato in via preferenziale dalla criminalità organizzata.
Una maggiore collaborazione sul piano internazionale potrebbe sicuramente dare ulteriore forza alle misure di contrasto. L’art. 11 della L. 197/1991 prevede per le autorità amministrative preposte alla vigilanza sugli enti creditizi e sugli altri enti (società, ditte, ecc.), la possibilità di scambiarsi informazioni e di procedere a forme di collaborazione improntate al principio di reciprocità.
Molto spesso però le stesse convenzioni internazionali si attestano nei vari Stati allo stadio di mere enunciazioni di principio, finendo con l’avere risultati pratici e riscontri operativi inversamente proporzionali alle dimensioni del riciclaggio. Una maggiore attenzione a questo fenomeno costituirebbe, senza alcuna ombra di dubbio, strumento vincente per il contenimento della criminalità organizzata perché verrebbe ad incidere sugli aspetti patrimoniali che sono alla base di ogni intento criminale.
S.Ten. Dott. Antonio Squillacioti
Note
(1) La Direttiva – che trova la propria legittimazione nell’art. 100 del Trattato di Roma, istitutivo delle Comunità europee, che prevede l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, si pone come valido strumento per la creazione di un mercato finanziario concorrenziale e trasparente. L’art. 1 della Direttiva, in particolare, contiene la definizione di riciclaggio. Il reato viene considerato integrato sia dalla conversione o dal trasferimento di beni di provenienza illecita sia dall’occultamento della loro reale natura, provenienza o proprietà nonché dall’acquisto o utilizzo di beni derivati da una attività criminale. L’elemento psicologico del reato viene ravvisato nella consapevolezza o nella conoscenza della provenienza illecita dei beni e, su tale base, viene anche previsto di sanzionare penalmente sia l’istigazione che il tentativo. La Direttiva predispone poi una serie di ostacoli o di obblighi nei riguardi degli istituti creditizi e finanziari e degli intermediari finanziari abilitati.
(2) Su questi aspetti e sulle novità introdotte dai due decreti si vedano i seguenti lavori: NUZZOLO A., LA COMMARA U., Le recenti innovazioni legislative in materia di movimentazioni valutarie e le interrelazioni con la normativa antiriciclaggio, in Il Fisco, 25/1997, p. 7081; STUFANO S., Cambia il monitoraggio della circolazione di denaro da e verso l’estero, in Corriere Tributario, n. 23, 1997, p. 1693; TORTORELLA G., PASCALI L., Movimenti di capitali finanziari internazionali, in Il Fisco, n. 46, 1997, p. 13544; CORSO P., Riviste le norme in materia di riciclaggio di capitali, in Corriere Tributario, n. 27, 1997. Per una visione d’insieme si legga infine: SANTACROCE B., Antiriciclaggio e movimento transfrontaliero di capitali. Utilizzo fiscale e penale dei dati, in Il Fisco, n. 37, 1997, p. 10952. (3) V. RAPETTO U., Cybermafia, Il domani è oggi, in Il Finanziere, marzo 1998, cit. p. 13. Sull’argomento si veda anche un articolo di BUFACCHI I., in Il Sole 24 ore, 23 aprile 1997, p. 29.
(4) V. RAPETTO U., Cybermafia (…) cit., p. 13.
(5) Sull’argomento si consulti il testo di NANULA G., La lotta alla mafia, Milano, 1996, pp. 132/153. Dello stesso autore si veda anche: Le bucature del sistema normativo antiriciclaggio, in Rivista della Guardia di Finanza, n.1, 1997, pp. 45/53. Di notevole respiro poi, il testo di CUCUZZA O., Segreto bancario, criminalità organizzata, riciclaggio, evasione fiscale in Italia, Padova 1996, pp. 87, 260.
(6) Sugli aspetti fiscali inerenti i trasferimenti da, verso e sull’estero, si veda: REGGI M., IL trasferimento all’estero di denaro, titoli e altri valori mobiliari, in Il Fisco, n. 47, 1997, p. 14013; STUFANO F., Utilizzo fiscale dei dati sui trasferimenti di valori superiori ai venti milioni, in Corriere Tributario, n. 23, 1997.
(7) Per i trasferimenti da, verso e sull’estero, superiori a venti milioni, che hanno interessato gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria, la compilazione del Quadro W è obbligatoria anche se il trasferimento viene effettuato per mezzo di un intermediario residente abilitato. Su queste incombenze di natura amministrativo-fiscale si consulti sempre: REGGI M., op. cit., p. 14015.
(8) La dichiarazione presentata all’Uic non sostituisce e va distinta dalla comunicazione statistica (CVS) ai sensi dell’art. 21 del D.P.R 148/1998. Esso stabilisce che l’Uic, per finalità conoscitive e statistiche in materia di rapporti economici e finanziari con l’estero, può chiedere, sia ai soggetti abilitati (artt. 4 e 7 L. 227/1990) sia ad operatori ed altri soggetti interessati, l’invio di informazioni e dati concernenti la gestione valutaria nonché le operazioni ed in cambi con l’estero nelle quali sono intervenuti a qualsiasi titolo.
(9) In particolare, gli adempimenti a cui sono tenuti gli intermediari consistono nella registrazione dei dati in appositi archivi unici informatizzati; nella identificazione della clientela; nella conservazione dei dati medesimi per almeno 10 anni; nella segnalazione delle operazioni sospette a cui l’ordinamento italiano ha assegnato un ruolo prioritario nella offensiva al riciclaggio di capitali illeciti. Sull’argomento si consultino, oltre agli scritti menzionati nelle precedenti note, anche i seguenti lavori: DELLE FEMMINE F., La segnalazione di operazioni sospette, in il fisco, n. 19/1995, p. 4615; BATTI D., Rilievi fiscali incidenti sulle segnalazioni di operazioni sospette, in il fisco, n. 4, 1996, p. 729.
(10) Per una visione diacronica di tutto l’iter che ha condotto all’odierna formulazione dell’art. 648-bis c.p. si consulti il testo di CUCUZZA O., op. cit., pp. 133/158.
(11) I casi concreti di indici di anomalia rilevate dalla Banca d’Italia sono abbastanza variegati. Quelli riferibili a tutte le categorie di intermediari riguardano: operazioni che, in relazione al soggetto che le pone in essere o al rapporto al quale ineriscono, appaiono di valore sproporzionato o comunque non giustificabili; operazioni ordinante con indicazioni palesemente inesatte o incomplete, tali da far ritenere l’intento di occultare informazioni essenziali. Gli indici che riguardano invece le operazioni per contante, si sostanziano: richieste frequenti e per importi significativi di assegni circolari contro versamento di denaro contante, anziché con l’utilizzazione delle disponibilità presso la banca; acquisti frequenti e per importi significativi di titoli di stato, certificati di deposito o altri titoli o strumenti finanziari, pagati con denaro contante, soprattutto ove si eviti di utilizzare il conto corrente, se esistente.
Di gran lunga importanti sono poi gli indici di anomalia riguardanti i comportamenti della clientela. Per esempio, clienti che si rifiutano o si mostrano ingiustificatamente riluttanti a fornire le informazioni occorrenti per l’effettuazione delle operazioni, a dichiarare le proprie attività, a presentare documentazione contabile o di altro genere; clienti che evitano contatti diretti con il personale della banca, rilasciando procura in modo frequente e ingiustificato a favore di terzi o effettuando frequentemente versamenti in contante di ammontare rilevante tramite cassa continua o analoghi dispositivi; clienti che si rivolgono, senza plausibili giustificazioni, ad uno sportello bancario lontano dalla zona nella quale risiedono e svolgono la loro attività; clienti che, senza giustificazione, detengono numerosi conti ed effettuano transazioni di ingenti ammontare in contante su ciascuno di essi ovvero che risultano avere conti aperti con molte istituzioni finanziarie nella stessa zona, senza logica giustificazione. Sull’argomento si fa ovviamente rinvio alla casistica compresa nelle Indicazioni della Banca d’Italia.
(12) V. FAVA U., La normativa antiriciclaggio. Problematiche interpretative ed operative, in il fisco, n. 9, 1996, p. 1909. Dello stesso autore si vedano anche altri due articoli: Il riordino del sistema delle segnalazioni delle operazioni sospette, in il fisco, n. 28/1996; La normativa antiriciclaggio. Prospettive di modifica alla L. 197/1991, in il fisco, n. 23, 1997.