Genova, Berlusconi: “Si è costruito dove non si doveva”. Ma dimentica i suoi due condoni
Il Fatto Quotidiano del 5 novembre 2011
Lui è il massimo, ma certamente non è l’unico. Lui è certamente il più spudorato, ma molti sono corresponsabil: chi non ha applicato le buone leggi, chi ha demonizzato le regole, chi ha preferito lo “sviluppo” alla tutela.
In una nota il premier stigmatizza l’eccessiva cementificazione della Liguria senza ricordare le sanatorie edilizie varate nel 2003 e nel 2009. Immediata la polemica. A livello locale il sindaco Pd Marta Vincenzi rivendica la scelta di non aver chiuso ieri le scuole: “Decisione provvidenziale”. La mamma della 19enne morta: “Dovevano chiudere quei maledetti edifici”
“E’ evidente che si è costruito là dove non si doveva costruire”. A mettere nero su bianco queste parole, dopo l’alluvione che ha colpito Genova e ha visto la morte di quattro donne e due bambine, non è un ambientalista della prima ora, ma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che per un giorno intero ha deciso di non dire nulla e tantomeno di farsi vedere nelle zone alluvionate. Ma che, 24 ore dopo la tragedia, decide comunque di emettere una nota. A far notare l’incoerenza, per primo, il responsabile Green economy del Pd Ermete Realacci: “Le parole di Berlusconi a commento della tragedia di Genova sono senza vergogna – spiega – Le migliaia di case abusive sono infatti il risultato dei due condoni (edilizi, nel 2003 e nel 2009, ndr) che portano la sua firma, provvedimenti che solo qualche giorno fa pensava di riproporre per l’ennesima volta tra le pieghe delle misure di risanamento finanziario del suo governo”.
E infatti, proprio a inizio ottobre, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto aveva parlato di una doppia sanatoria – edilizia e fiscale – da inserire nella manovra finanziaria in via di approvazione. Un progetto messo da parte dopo la levata di scudi che aveva coinvolto non solo l’opposizione, ma anche parte della stessa maggioranza (Tremonti in primis), la Chiesa e Confindustria.
La frase di Berlusconi scatena immediatamente la polemica. Di “stupro dell’ambiente” parla il presidente della Camera Gianfranco Fini che, pur senza chiamare in causa il Cavaliere, attacca: “Nessuno può avere la presunzione che si possa stuprare l’ambiente senza che ci sia la vendetta della natura”. Il nome di Berlusconi viene pronunciato esplicitamente dall’Idv: “Quanto accaduto ieri a Genova, e solo dieci giorni fa alle Cinque Terre e in Lunigiana, è figlia degli ingentissimi tagli inferti da questo governo alla difesa del suolo per un miliardo di euro e di quella politica dei condoni edilizi ‘a gogò’ e delle sanatorie degli abusivismi con cui l’ineffabile duo Berlusconi-Tremonti ha caratterizzato la sua azione politica”, ha detto Antonio Borghesi, vicepresidente del gruppo Idv alla Camera. Il presidente della Regione Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni Vasco Errani chiede invece “prevenzione” e “risorse” perché “le scelte del governo, confermate dai tagli per realizzare le opere di conservazione e messa in sicurezza del territorio e dalla rigidità delle nuove norme sulla protezione civile, vanno purtroppo nella direzione opposta”.
Contro l’Italia “del cemento, del fango, senza legge, senza giustizia e senza vergogna” si scaglia il comico genovese Beppe Grillo con un post dal suo blog: “Oggi mi sento impotente. La distruzione di Genova era annunciata. E io non ho potuto fare nulla. Ho visto la mia città trasformata in fanghiglia con le auto che cadevano sul porto insieme alla pioggia e ai morti sapendo che si poteva evitare – scrive Grillo – L’Italia del Fango sta mostrando la sua faccia, il suo ghigno, il suo sberleffo. L’Italia Senza Giustizia che manda in galera chi denuncia”. Perché, spiega l’ideatore del Movimento 5 stelle, “il cittadino è solo, senza rifermenti, senza informazione, senza rappresentanti. L’Italia del Cemento – continua Grillo – lo sta seppellendo vivo”. E chiede: “Chi arresteranno ora per disastro colposo? I meteorologi? Persino di fronte al default dell’Italia non si arresta questa bulimia criminale, questo pasto immondo dei partiti sul corpo della Nazione. L’aria è gonfia di pioggia e di rabbia. Genova è tagliata in due come il Paese”.
E’ bufera sul sindaco di Genova: “Si dovevano chiudere le scuole”. A livello locale le polemiche si concentrano sul sindaco di Genova Marta Vincenzi, colpevole per i cittadini di non aver chiuso le scuole ieri. A chi questa mattina, in via Fereggiano – la strada in cui ieri hanno perso la vita 6 persone – le urlava “dimettiti, vergogna“, il primo cittadino ha ribattuto esattamente quanto dichiarato ai giornali il giorno prima in piena tragedia: “La scelta di mandare i bambini a scuola è stata provvidenziale – ha spiegato la Vincenzi – Immaginate cosa sarebbero stati 40mila bambini portati in macchina dai nonni, dai parenti o dagli amici in giro per la città durante l’alluvione”.
Difficile dimenticare però che le vittime di questa alluvione sono state travolte dalla “bomba d’acqua” proprio mentre andavano a prendere i loro figli o fratelli a scuola. E’ accaduto così per la 19enne Serena Costa inghiottita dall’acqua del torrente Fereggiano mentre tentava di riportare a casa il fratello 13enne. Stessa sorte è toccata ad Angela Chiaramonte, infermiera di 40 anni, morta per raggiungere il figlio Domenico al liceo Cassini, così vicino alla stazione Brignole e al Bisagno. E sempre dopo aver portato via dalla scuola ‘Giovanni XXIII’ la sua bambina Joia, è morta anche Shiprese Djala, donna albanese di 28 anni. Solo Evelina Pietranera, 50 anni, è morta per essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, dopo aver dato il cambio al marito Attilio Toffi all’edicola di via Giacometti. “Le dovevano chiudere quelle maledette scuole, le dovevano chiudere – ha gridato a distanza, piena di dolore, la mamma di Serena, Rosanna Costa – Mi hanno chiamata dalla scuola di mio figlio e mi hanno detto di andarlo a prendere. Io ero al lavoro e non potevo così l’ho detto a mia figlia. Ma non l’ho più vista rientrare”.
Ma Marta Vincenzi non ci sta a dire ‘ho sbagliato’ e rivendica le scelte dell’amministrazione comunale: “Abbiamo avvisato la cittadinanza di non usare i mezzi privati. Ma ricordare i comportamenti da tenere in queste occasioni non è bastato. C’erano, in giro per la città, più auto di quelle che normalmente transitano sulle nostre strade”, dice il sindaco che anzi contrattacca: “Buonsenso, senso civico sono concetti che evidentemente non basta ricordare. Vanno intimati, fatti oggetto di divieti”. E mentre il presidente della Regione Claudio Burlando cerca di smarcarsi dalle polemiche con un pilatesco “è difficile decidere cosa fare”, il capo della Protezione civile Franco Gabrielli evoca il “patto sociale” necessario per “evitare che in certe situazioni i sindaci possano essere poi crocifissi” anche se ”le scuole di Genova ieri potevano essere tranquillamente chiuse per ridurre gli spostamenti”.
Ora la paura è tale che il Comune ha deciso di tenere chiusi gli edifici scolastici di ogni ordine e grado anche lunedì 7 novembre, giorno in cui è stato proclamato il lutto cittadino. Tommaso Pezzano, dirigente scolastico della scuola materna, elementare e media Giovanni XXIII nel quartiere di Marassi (quella frequentata dalla piccola Joia), spiega com’è avvenuto il coordinamento tra scuola e amministrazione: “Ci hanno mandato una nota dal Comune, poche righe: stato di allerta meteo due, ma che cosa significa? Tutto e nulla. E noi cosa avremmo dovuto fare? Nessuno ci dava indicazioni”. Nella comunicazione scritta del Comune di Genova, testualmente si legge: “Si invitano le famiglie a connettersi tempestivamente con i mezzi di comunicazione pubblici (Raitre, Emittenti televisive locali, sito del Comune) per acquisire informazioni su eventuali provvedimenti adottati a tutela della pubblica incolumità”. Peccato però che alle 11 la corrente elettrica fosse saltata in quasi tutta la città impedendo ogni forma di comunicazione. “Neppure i cellulari funzionavano – spiega Pezzano – e anche per questo molti genitori sono corsi a scuola per prendere i loro bambini, per portarli a casa”. Una corsa fatale.