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Lotta alla corruzione: non bastano i magistrati. Occorre una azione efficace della società civile.

Da Gli Italiani del 6 maggio 2010 | di Nello Trocchia

Giustizia&Impunità

TORNA LA CORRUZIONE. Quella sconosciuta che divora 60 miliardi di euro ogni anno e che la politica non vuole colpire.

Le inchieste si moltiplicano, dallo scandalo G8 a quello Fastweb fino alle case, consulenze, regalie come strumento di favore per assecondare i voleri della cricca. Gira e rigira torna di attualità la grande sconosciuta: la corruzione. Un fenomeno tanto grave quanto ignorato da mezzi di informazione e dalla politica. L’area finiana del Pdl, scosso dal caso del ministro sfrattato (un suo ritratto dall’archivio di Articolo 21) e dalla nuova inchiesta su Verdini, propone l’approvazione di un provvedimento anticorruzione che prevede l’aumento delle pene. Ma serve davvero?

L’impunità. Da uno studio emerge che un indagato per corruzione ha meno dell’1% di probabilità di farsi un giorno di carcere. Il problema attiene al reato, alla responsabilità dei partiti e al funzionamento della macchina giudiziaria. “ E’ un reato, come dimostra il dato reso noto dal magistrato Piercamillo Davigo, coperto da quasi certa impunità. L’inasprimento delle pene – spiega Alberto Vannucci, professore di scienze politiche all’università di Pisa ed esperto della materia – temo che alimenti solo l’ effetto annuncio che non incide per nulla sul fenomeno”. “In realtà quello che incide sul calcolo di chi paga una tangente è la probabilità di essere preso. L’inasprimento delle pene, in assenza di misure che rendano i procedimenti giudiziari più rapidi e di misure che aumentino le probabilità di punibilità del colpevole, risulta assolutamente inutile. Il problema è che, come dice il rapporto del Greco, il gruppo degli stati europei contro la corruzione, questo reato è circondato da un’aura di impunità, grazie a vari fattori, come ad esempio la prescrizione. Se il processo dura troppo e si arriva alla prescrizione, è perfettamente inutile aumentare le pene”. Una riforma quella dei tempi di prescrizione, varata sotto il governo Berlusconi nel suo precedente regno( una delle leggi ad personam), che si iscrive nelle innumerevoli norme che hanno dato un colpo più che al fenomeno, a chi lo reprime.

L’aspetto normativo è fondamentale. Quando si parla di nuove norme, il parlamento italiano dovrebbe introdurre il cosiddetto traffico di influenza che potrebbe essere mutuato ratificando una convenzione e un trattato europeo, ma continua a rimandare. Il traffico di influenza consentirebbe di punire anche l’intermediario nell’accordo illecito, figura ad oggi sempre più presente negli scambi corruttivi che troverebbe sanzione introducendo questa nuova fattispecie di reato. Uno step e una norma che darebbe agio e strumenti ulteriori agli inquirenti, senza rincorrere aumenti di pena, dopo aver abbassato in passato i tempi di prescrizione per questi reati. “Negli ultimi 15 anni- sostiene Davigo, consigliere della Corte di Cassazione – non c’è stata, se non convenzioni o adempimenti imposti, nessuna legge finalizzata a rendere più agevole la scoperta dei reati di corruzione o più difficili da commettere. Sono state approvate leggi che hanno assicurato prescrizioni, indulti, giustificati con esigenze inesistenti, le carceri scoppiano ma non di condannati per corruzione”.

Ecco i condannati. Facciamo il punto anche su questo aspetto per capire come un fenomeno che ogni anno, ha un costo in termini di sviluppo dei territori e di progresso del paese, sia perseguito. Risucchia 60 miliardi di euro ogni anno dice la Banca Mondiale, è in costante aumento dice la Corte dei Conti e si realizza in opere incompiute, costruite male che costano il doppio, rispetto agli altri paesi europei, e quando arrivano venti di legalità e repressione miracolosamente i prezzi si abbassano. Le condanne. A Reggio Calabria l’ex sindaco in un libro ha confessato il sistema delle mazzette, delle tangenti della sua esperienza da politico e primo cittadino nel periodo 1990-1992. ‘ Ho pagato tutti – scrive – politici, funzionari, che avrebbero dovuto controllare, anche un magistrato della Corte dei conti e perfino un giornalista, il più potente in città”. Eppure per corruzione/concussione in quel distretto, in un arco di tempo di 20 anni, sono state condannate appena tre persone. Reggio Calabria, paradiso terrestre. “ La corruzione è un fenomeno che non prevede l’interesse alla denuncia da parte dei coinvolti, per rompere questa omertà c’è bisogno dell’autorità giudiziaria. Servono meccanismi premiali per incentivare la denunzia, ma se si bloccano le intercettazioni, dopo la riforma della prescrizione, la sensazione di impunità aumenta”.

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Da il Fatto Quotidiano del 23 febbraio 2010| Marco Lillo

Anti-corruzione, insabbiata ad arte la norma dell’ Unione Europea Campo libero alle “nuove tangenti”

C’è una formula magica per combattere la corruzione. Si chiama traffico di influenza, o per gli anglofoni trading in influence. Non a caso in Italia non ne parla nessuno, né a destra, né a sinistra. Basterebbe un comma per farla finita con le “cricche” e i “sistemi gelatinosi”, descritti dalla Procura di Firenze nell’inchiesta su Guido Bertolaso, Angelo Balducci e compagni. Invece il centrodestra preferisce vagheggiare improbabili leggi sulla corruzione. L’ultima uscita è quella di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera ha proposto di impedire per cinque anni la candidatura a tutti i condannati per reati contro la Pubblica amministrazione. La cura, non a caso, non corrisponde al male.

Le norme di cui si discute non sarebbero utili per combattere le nuove forme di corruzione che emergono dalle indagini del Ros di Firenze. Le tecniche non sono più quelle rudimentali di Tangentopoli. L’evoluzione darwiniana della specie ha prodotto dei mostri. Gli imprenditori amanti dell’appalto facile hanno trovato forme più sofisticate per blandire i pubblici ufficiali. La busta da 5.000 euro nella tasca dell’assessore milanese è un omaggio vintage ai tempi andati. In tutte le grandi vicende degli ultimi anni, dalle indagini di Woodcock a quelle di De Magistris, la mazzetta classica non c’è quasi mai. I soldi corrono, certo, ma non seguono traiettorie dirette, preferiscono triangolare su un intermediario, pubblico o privato, che incassa i soldi al posto di chi firma il provvedimento o l’appalto.

In tal modo chi riceve non emette nessun atto. E chi fa l’atto contrario ai doveri di ufficio non prende nulla. Non direttamente almeno. Nessuno dei due può essere punito.

Spesso l’intermediario è un professionista, magari amico o parente del pubblico ufficiale, che lo segnala alla società. La corruzione così si trasforma in parcella fatturata. Non sempre poi il professionista ritorna una parte del maltolto al mandante pubblico. Spesso troverà un altro modo per gratificarlo: assumendo il figlio o facendo felice la moglie con i nuovi mobili per la villa. Altre volte ancora il piacere sarà restituito da un terzo che poi avrà qualcosa in cambio. La corruzione da retta tra due punti (corrotto-corruttore) si è fatta così triangolo (corrotto-intermediario-corruttore) e più spesso rete. È questo il “sistema gelatinoso” della Procura di Firenze. Il problema è che il nostro Codice penale è fermo al 1930 e punisce solo “il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa”.

Per questa ragione, l’Unione europea ha varato una direttiva che recepisce le due convenzioni internazionali in materia, quella di Strasburgo del 1999 e quella di Merida del 2003. La normativa internazionale punisce finalmente “il traffico di influenze illecite”. Dal 2007 l’Italia dei Valori cerca inutilmente di far approvare un disegno di legge che ora è arenato in commissione. Il nuovo codice pena-le punirebbe con pene fino a sei anni “chiunque, vantando credito presso un pubblico ufficiale…ovvero adducendo di doverne comprare il favore o soddisfare le richieste, fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altra utilità quale prezzo per la propria mediazione o quale remunerazione per il pubblico ufficiale”.

“La direttiva”, spiega l’avvocato Paola Parise, esperta in reati contro la pubblica amministrazione, “è stata già recepita in Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Finlandia, Svezia, Norvegia e persino dal Portogallo e dalla Grecia”. Ma non dall’Italia. “La normativa europea”, continua l’avvocato Parise, “permetterebbe di adeguare lo schema di incriminazione al nuovo assetto dei rapporti tra pubblico e privato nella gestione di beni e servizi pubblici. Inoltre riconoscerebbe un disvalore meritevole di sanzione penale anche al ruolo dell’intermediario privato, per fare un esempio, un professionista che chiede denaro quale prezzo del suo intervento sul pubblico ufficiale”.

L’inchiesta di Firenze rischia di essere penalizzata dalla mancanza di questa norma. Molte storie contenute nelle intercettazioni che hanno fatto indignare l’Italia potrebbero anche non portare a una condanna. Chi riceve dalla “cricca” le prestazioni di ogni tipo, dalle prostitute alle case, non sempre è il pubblico ufficiale che firma l’appalto. E su questo gli avvocati daranno filo da torcere ai pm. Basterebbe recepire la direttiva per spuntare le grinfie alla “cricca”. Il Pdl potrebbe approvare l’arma letale contro la forma di corruzione più diffusa e pericolosa eppure non la approva.

Nel 2006 era stata addirittura la Cassazione a suggerire implicitamente al legislatore di recepire la direttiva. In quella sentenza la Corte assolveva un giudice solo perché “il caso in esame è inquadrarle nel ‘traffico di influenza’, di cui parlano la Convenzione penale europea del 1999 sulla corruzione non ancora ratificata nel nostro ordinamento”. Sarà un caso ma il giudice assolto per “mancanza di norma” in quel caso (Imi-Sir) era Renato Squillante, l’amico di Silvio Berlusconi e Cesare Previti.

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Il PG della Corte dei Conti: troppa corruzione

Schifani si ricorda del ddl anticorruzione. Il PdL frena.

© Altrabenevento

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