Nuova autorizzazione paesaggistica: strumento di tutela?
Da Il Sole 24 Ore e il dossier su “Norme e Tributi”, 4 gennaio 2010 (m.p.g.)
Col 1° gennaio è entrata in vigore la nuova autorizzazione paesaggistica: un nuovo strumento di tutela con molte criticità normative e culturali.
Costruzioni con il sì del soprintendente. di Antonello Cherchi, Francesco Nariello – Il Sole 24 Ore
Metà del nostro territorio è sottoposto a vincoli paesaggistici: si va da oltre il 90% di Trentino-Alto Adige e Liguria, al 19% della Puglia.
Al di là delle differenze regionali, il 47% dell’Italia è protetto. Almeno in teoria.
In realtà, le tutele hanno funzionato solo in parte e il paesaggio è stato e continua a essere oggetto di pesanti abusi.
In nome di una salvaguardia più stringente, dal 1° gennaio ogni intervento di qualsiasi tipo sulle aree vincolate, a iniziare da quelli edilizi, deve prima passare per il parere della soprintendenza. Che diventa preliminare e vincolante.
Un totale ribaltamento di prospettiva rispetto a quanto avvenuto finora, perché il soprintendente interveniva a cose fatte quando il progetto era già stato approvato dal comune – e poteva contare su un potere di annullamento degli atti solo per vizi di legittimità. Le nuove regole sono chiamate anche a favorire un uso più razionale del suolo, che negli ultimi anni in Italia è stato occupato con velocità crescente dalle nuove costruzioni: dieci ettari al giorno, per esempio, in Lombardia.
Sono il Trentino, la Liguria e la Valle d’Aosta le regioni più verdi: il loro territorio è per la maggior parte sottoposto a vincoli paesaggistici. Fa da contraltare la Puglia, la regione con meno aree tutelate (solo il 19 per cento).
Differenze regionali a parte, quasi metà dell’Italia è protetta. Si sfiora, infatti, il 50% per cento. Dalla legge 431 del 1985 (la Galasso) in poi il paesaggio è stato messo sotto chiave. Almeno sulla carta.
Nella realtà, il sacco del territorio è continuato e continua. Da venerdì scorso, in realtà da oggi, considerato il fine settimana festivo si cambia passo. Tutti gli interventi sulle aree vincolate, a partire da quelli edilizi, devono prima essere approvati dalla soprintendenza.
Dal 1° gennaio il parere del soprintendente, che fino all’altro ieri veniva espresso sul progetto già approvato dal comune e poteva fare leva solo su un potere di annullamento per vizi di legittimità degli atti, è diventato preliminare e vincolante.
Se l’ufficio dei Beni culturali dice «no», non si può andare avanti. In questo modo lo Stato si riappropria dell’ultima parola sul paesaggio, funzione finora delegata alle regioni, le quali l’avevano a loro volta sub-delegata, quasi sempre ai comuni, ma in alcune realtà anche a province e comunità montane.
Una novità prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio (il decreto legislativo 42/2004, cosiddetto codice Urbani) e rinviata per effetto di varie proroghe. Le regioni infatti, hanno ottenuto più volte che la nuova procedura delle autorizzazioni venisse posticipata. Anche perché il processo di predisposizione dei piani paesaggistici da realizzare insieme al ministero, operazione che a quel punto renderebbe obbligatorio ma non vincolante il parere del soprintendente, va a rilento.
Sono soltanto otto, infatti, le regioni che hanno siglato finora un’intesa per scrivere le norme di tutela del paesaggio insieme ai Beni culturali. Si tratta di Abruzzo, Campania, Friuli, Piemonte, Puglia, Sardegna e Veneto.
Per altre, come Lazio, Umbria e Calabria, il protocollo è pronto, ma non firmato. Se questa volta la proroga che, seppure osteggiata dal ministero, era tuttavia nell’aria, non c’è stata è anche perché le regioni hanno ottenuto dai Beni culturali l’assicurazione che l’intera procedura di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica verrà semplificata.
Già si è messo mano agli interventi di lieve entità e il regolamento che snellisce le pratiche, dopo il «sì» della conferenza Stato- regioni, è ora all’esame del consiglio di Stato. Dopodiché sarà la volta delle commissioni parlamentari competenti e del via libera definitivo di palazzo Chigi.
Al ministero confidano che entro febbraio il regolamento arrivi al traguardo, tanto più ora che c’è la nuova autorizzazione paesaggistica.
I due processi sono, infatti, legati: la semplificazione si applica solo ai permessi rilasciati con le nuove procedure.
Il nuovo anno, però, porterà un taglio agli adempimenti anche per tutte le altre autorizzazioni paesaggistiche (dunque, non solo quelle relative a interventi minori).
La commissione Amorosino, che ha messo a punto le prime semplificazioni, è stata infatti nuovamente insediata dal ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, con il compito di ripensare tutte le procedure dei permessi per i progetti da realizzare su aree vincolate.
Con l’arrivo del nuovo regime, per le regioni c’è da affrontare anche il problema delle deleghe. Con le nuove procedure di autorizzazione, infatti, oltre 2.600 comuni non hanno più le carte in regola per rilasciare i nullaosta.
In tali casi il codice Urbani prevede che le competenze tornino al mittente, cioè alle regioni, che rischiano così di vedersi sommerse di pratiche sul paesaggio, senza esserne attrezzate.
Stesso rischio corrono, seppure per altri, motivi anche le soprintendenze. Ne è convinto Massimo Gallione, presidente del consiglio nazionale degli architetti, una delle categorie dei professionisti interessati dal nuovo regime di autorizzazioni paesaggistiche: «Per quanto mi risulta – afferma – sia le soprintendenze sia le regioni non sono attrezzate al cambiamento. Le prime lamentano una carenza di personale; le seconde sono, in gran parte, ancora indietro sulle deleghe. Il tutto si tradurrà in un forte rallentamento del rilascio dei permessi. In alcuni casi si rischia il blocco».
«E’ vero che la nuova disciplina – gli fa eco Fausto Savoldi, presidente del consiglio nazionale dei geometri – dà maggiori garanzie sulla tutela del paesaggio. Le soprintendenze dovranno, però, fare uno sforzo per rispondere alla chiamata, anche se porteranno un valore aggiunto di competenza. Vedo, invece, più complesso l’adeguamento da parte dei comuni e degli altri enti delegati».
Proposte e non solo divieti. di Fulvio Irace – Il Sole 24 Ore
Da venerdì è scattata l’ora X per la nuova legge sulla tutela del paesaggio.
Non è sbagliato chiedersi cosa ci si possa aspettare da questa mini-rivoluzione, che rende operativi i propositi di tutela del codice dei beni culturali e del paesaggio (il cosiddetto codice Urbani), e quali prospettive si aprano concretamente per il nostro martoriato ma ancora salvabile territorio.
Tra le regole appena entrate in vigore riveste un’importanza centrale la nuova attribuzione di competenze in materia di autorizzazioni paesistiche e pianificazione paesaggistica: se in precedenza tra i soggetti competenti figuravano le regioni e le soprintendenze con la possibilità di annullare le autorizzazioni, con le nuove norme queste ultime sono chiamate a formulare un parere vincolante che possibilmente dia certezza sui tempi e risposte preventive alle iniziative di project financing.
Un ruolo assolutamente centrale, dunque. Che però sembra mettere d’accordo sia i beni culturali sia i costruttori, che sottolineano il giro di boa voluto per la figura del soprintendente che smette, finalmente, la giacca di signor no. Alle soprintendenze viene infatti attribuita una funzione propulsiva e non più di vincolo a iniziative già avviate, quanto piuttosto di autorizzazione preventiva per un’azione coordinata tra progettisti, enti pubblici e privati e promotori finanziari.
Lo conferma a chiare lettere, ad esempio, Carla Di Francesco, attuale direttore regionale per i Beni culturali dell’Emilia Romagna che aveva ricoperto fino a due anni fa lo stesso incarico per la Lombardia, in uno dei momenti cruciali per la storia dello sviluppo di questa regione. E lo sottolinea anche il presidente di Ance Milano, Claudio De Albertis. Che tuttavia avverte come il vero problema sia quello di rivedere il concetto di tutela imperniato esclusivamente sulla conservazione e assicurare una formazione dei funzionari che tenga conto del dibattito contemporaneo, così da non essere arroccata su una visione solamente proibitiva. Anche attraverso confronti sul tema, conferenze, tavoli di discussione e iniziative pubbliche come quelli promossi dalla stessa Ance.
Il problema, dunque, prima di essere normativo è culturale; non a caso la nuova legge recepisce le direttive europee sulla definizione del paesaggio, che viene integrata con quella di «identità nazionale» e di «rappresentazione materiale e visibile».
La preoccupazione, se mai, riguarda la maniera in cui questa nozione allargata verrà recepita anche dai progettisti cui compete professionalmente l’obbligo di redigere la relazione paesaggistica destinata ad accompagnare la richiesta di autorizzazione dei progetti di intervento in ambito vincolato.
Tant’è che alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, hanno cominciato a organizzare con università e ordini professionali corsi di formazione per esperti ambientali da inserire nelle commissioni edilizie integrate, mentre istituti universitari di ricerca ed enti culturali, come l’Inu, Legambiente e il Politecnico di Milano, hanno varato l’Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, con l’intenzione di rimettere in agenda il tema sostanziale sotteso a ogni problema di valorizzazione e tutela: la questione del suolo e del suo utilizzo.
Se da una parte infatti si accumulano le iniziative sulla trasformazione dei territori e delle aree urbane come motori di sviluppo economico e di potenziamento delle risorse, dall’altra appare evidente la sottovalutazione del suolo come risorsa finita.
Non a caso, l’osservazione e il monitoraggio del fenomeno come dice il presidente dell’Inu, Federico Oliva sono ancora oggi privi dei più basilari armamentari di analisi e di ricerca, in assenza di dati affidabili e di una reale possibilità di confrontarli e montarli in un ordine che dia il senso delle reali trasformazioni del Paese e dei suoi bisogni. L’idea che la terra non sia un dono ma il frutto – precario – di secoli di fatica e di impegno dell’uomo ci coglie impreparati, come di fronte ai dissesti geologici e ambientali che anche in queste ore stanno frantumando l’Italia. Proprio per questo, la necessità di stabilire un patto è cruciale al pari di quella di creare condizioni e strutture perché ci avvenga. Le condizioni, con il varo delle nuove norme, sembrerebbero esserci. Mancano ancora però, le strutture, che devono essere potenziate attribuendo più risorse alle soprintendenze, chiamate a svolgere la funzione di ago della bilancia.
Sui piani di salvaguardia in ritardo tutte le regioni. di Francesco Nariello – Il Sole 24 Ore
La copianificazione segna il passo.
Sono soltanto otto le regioni che hanno siglato un’intesa col ministero dei Beni culturali per la stesura congiunta dei piani paesaggistici.
Il codice dei beni culturali e del paesaggio riconosce, infatti, alle regioni la competenza sulla pianificazione in aree vincolate, ma al tempo stesso assegna al ministero la partecipazione obbligatoria alla scrittura del piano.
Ed è proprio allo scopo di avviare la pianifìcazione congiunta che regioni e ministero possono stipulare intese per definire le modalità di elaborazione dei piani.
Finora le amministrazioni che hanno sottoscritto tali protocolli sono soltanto Otto: Abruzzo, Campania, Friuli Venezia Giuliia, Piemonte, Puglia, Sardegna e Veneto.
L’accordo è stato invece predisposto, ma si attende la sottoscrizione, per Calabria, Lazio e Marche.
In altri casi, come per l’Emilia Romagna, è in atto il tavolo di copianificazione in base a un accordo precedente al varo del codice e si dovrà, dunque, procedere alla sottoscrizione di una nuova intesa. In attesa anche l’Umbria, mentre in Liguria e Lombardia sono in corso trattative per la stesura di un protocollo condiviso. Fanno eccezione Sicilia, Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige, che hanno piena autonomia in materia di paesaggio in virtù delle disposizioni dello statuto speciale.
Nessuna regione ha, insomma, centrato l’obiettivo dell’approvazione di un piano adeguato al codice entro la fine dello scorso anno (con il ministero che ora potrebbe, ipoteticamente, intervenire in via sostitutiva).
La legislazione sulle aree tutelate rimane, pertanto, un mosaico: dalla Calabria, che ha firmato l’intesa con i Beni culturali, ma è tuttora sprovvista di una disciplina di tutela, all’Emilia Romagna, che ha appena ridisegnato, con legge varata a fine novembre, la gestione dei vincoli sul proprio territorio.
La Lombardia, invece, dove a luglio è stato adottato in Consiglio regionale il piano paesaggistico (Ppr), attende da mesi una risposta sulla bozza di intesa per la copianificazione inviata al ministero. L’adeguamento degli strumenti di tutela paesaggistica è, in ogni caso, un processo lungo, che dovrà concludersi con il recepimento, entro due anni dalla definizione del piano, delle nuove prescrizioni negli strumenti urbanistici vigenti. Il cerchio si chiuderà poi con la con la verifica da parte del ministero circa l’adeguamento dell’intero sistema. Alla fine del processo, le autorizzazioni paesaggistiche nelle regioni adeguate potranno svincolarsi dal parere vincolante delle soprintendenze.
L’ente locale perde la delega. di Francesco Nariello – Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi
A rischio più di una delega su tre.
Sono oltre 2.600 i comuni che, con l’entrata in vigore delle nuove regole, non hanno più i requisiti per rilasciare le autorizzazioni paesaggistiche. E’ lo scenario emerso dalle verifiche effettuate dalle Regioni, considerando solo quelle a statuto ordinario, sugli enti delegati (i comuni, in quasi la totalità dei casi) a rilasciare i nullaosta per gli interventi in aree vincolate.
Da accertare, entro il 31 dicembre scorso, era la conformità delle strutture municipali con i requisiti di adeguatezza dettati dall’articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che prevede, da una parte, la presenza di una commissione tecnica in grado di valutare le richieste e, dall’altra, la differenziazione tra le attività di tutela paesaggistica e quelle in materia urbanistico-edilizia.
Alla prova dei fatti, ora, a essere inadeguati sono centinaia di enti, in particolare i comuni più piccoli, le cui competenze tornano al mittente: le regioni che le avevano delegate.
La situazione sul territorio nazionale è tuttavia molto frammentata. Quasi tutte le regioni, non certo ansiose di riappropriarsi delle pratiche sul paesaggio, hanno avviato le verifiche, cercando in alcuni casi di indirizzare i comuni sulla strada dell’adeguamento.
I riscontri sono stati per molto diversi. Le maggiori difficoltà si ritrovano laddove i municipi sono più numerosi. E’ il caso del Piemonte, dove l’ultimo monitoraggio ha segnalato 738 amministrazioni in regola su 1.208: circa il 40%, quindi, dovrà adeguarsi. Per molti piccoli o piccolissimi comuni piemontesi l’unica strada percorribile è apparsa l’aggregazione.
Nella stessa direzione è andata la Puglia, dove con la legge regionale 20/2009 sulla pianificazione paesaggistica, spiega l’assessore all’assetto del territorio, Angela Barbanente, «si è stabilito il mantenimento diretto della delega soltanto per i Comuni superiori ai l5mila abitanti, mentre per quelli più piccoli la strada maestra indicata è quella dell’associazione».
In Lombardia a rilasciare le autorizzazioni sul paesaggio, oltre ai comuni, sono le province (su interventi specifici), le comunità montane (per i boschi) e i parchi (per competenza territoriale). In totale, si tratta di oltre 1.600 enti, di cui circa un quarto è ancora inadeguato.
«Negli ultimi mesi afferma Diego Terruzzi, responsabile paesaggio della direzione territorio e urbanistica della regione – abbiamo fatto passi avanti e sono più di 1.100 gli enti che potranno continuare a operare». A fare eccezione è solo la Toscana, dove tutti 287 comuni, sostengono i tecnici regionali, sono attrezzati con una commissione per il paesaggio e con la separazione tra i responsabili incaricati al rilascio delle autorizzazioni in aree tutelate e quelli per gli altri interventi.
Molte regioni, invece, per evitare di dover fare i conti con i nullaosta, tentano di rendere più facile l’istituzione delle strutture tecniche richieste dal codice.
Come nel Lazio, «dove – conferma Daniele Iacovoe, alla guida della direzione regionale territorio e urbanistica si è deciso di aprire le porte delle commissioni non solo a ingegneri e architetti, ma a tutti coloro che hanno i requisiti di legge».
In Calabria, invece, il problema è stato risolto alla radice delegando il rilascio dei permessi alle province.
Autorizzazione paesaggistica più pesante. di Mauro Cavicchini – Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi
L’autorizzazione paesaggistica chiama all’appello le soprintendenze.
Da venerdì scorso, infatti, il loro ruolo nel rilascio dei permessi diventa decisivo. Finora la soprintendenza interveniva successivamente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e soltanto nel caso ritenesse di annullarla.
Dal 1° gennaio, invece, scende in campo prima del rilascio dell’autorizzazione: deve, infatti, esprimere un parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento. Dunque, la soprintendenza è chiamata, insieme all’amministrazione competente, a esprimere una valutazione di merito sul permesso, mentre finora poteva annullare l’autorizzazione solo per vizi di legittimità.
Le nuove regole.
Considerate le festività e il fine settimana, è in pratica a partire da oggi che sull’autorizzazione paesaggistica si cambia regime.
La nuova procedura prevede che l’amministrazione che riceve la domanda di autorizzazione paesaggistica, verificata la completezza della documentazione, compiuta l’istruttoria non c’è il silenzio assenso ma deve essere convocata una conferenza di servizi e acquisito il parere della commissione per il paesaggio, trasmetta la domanda e la documentazione allegata alla soprintendenza entro 40 giorni dal ricevimento, accompagnando i documenti con una relazione tecnica illustrativa.
Il parere della soprintendenza deve essere reso entro 45 giorni dalla ricezione degli atti. Nei successivi 20 giorni l’amministrazione competente deve rilasciare l’autorizzazione paesaggistica o comunicare il preavviso di diniego. Se la soprintendenza non rende il suo parere nel termine indicato, l’amministrazione competente può (si sottolinea può, che è diverso da deve) convocare una conferenza di servizi, alla quale la soprintendenza partecipa o manda un parere scritto, che deve concludersi entro il termine di 15 giorni.
«In ogni caso» (questa è l’espressione usata dal codice dei beni culturali e del paesaggio) se la soprintendenza non rende il suo parere entro 60 giorni, l’amministrazione competente è tenuta comunque a pronunciarsi sulla domanda di autorizzazione paesaggistica.
Non vi può essere dubbio che «in ogni caso» significa che l’amministrazione competente ha l’obbligo di assumere un provvedimentc finale e non può attendere oltre il parere della soprintendenza.
Riassumendo: la nuova procedura ha un termine di conclusione fisiologico (se tutto va come dovrebbe andare) di 105 giorni.
Il termine diventa, senza considerare i tempi morti, di 120 giorni quando si ricorre alla conferenza di servizi e rimane tale anche quando non si ricorre alla conferenza di servizi o, comunque, quando la soprintendenza non rende il suo parere.
Anche la nuova procedura, così come quella seguita fino al 31 dicembre scorso, non prevede alcun meccanismo di silenzio-assenso: il superamento del termine fisiologico di 105 giorni produce un silenzio-inadempimento che abilita l’interessato a presentare ricorso al Tar per rimuoverlo o a proporre la domanda di autorizzazione paesaggistica direttamente alla Regione. Il parere della soprintendenza ha, tuttavia, in sé una stranezza: è, infatti, vincolante, ma non obbligatorio, nel senso che, se espresso, obbliga l’amministrazione competente a emanare un provvedimento conforme al parere, ma, se non espresso, impone all’amministrazione di assumere comunque un provvedimento, prescindendo dal parere.
Il cambio di marcia.
Fino al 31 dicembre scorso la domanda di autorizzazione paesaggistica doveva essere presentata all’amministrazione competente, che era tenuta a rilasciarla o a negarla, una volta acquisito il parere della commissione per il paesaggio, entro 60 giorni dalla richiesta (fatta salva una sola sospensione del termine per acquisire integrazioni documentali o eseguire accertamenti).
L’autorizzazione paesaggistica veniva poi inviata, con la relativa documentazione, alla soprintendenza competente per territorio, che poteva eventualmente annullarla, entro 60 giorni, soltanto in presenza di vizi di legittimità.
La sanatoria.
C’è da registrare un altro tipo di autorizzazione paesaggistica, introdotta nel codice dei beni culturali nel corso di una delle sue numerose modifiche. Si tratta dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, cioè un’autorizzazione che può essere conseguita successivamente alla realizzazione degli interventi. L’autorizzazione in sanatoria riguarda un ventaglio di interventi molto ristretto (anche se almeno una pronuncia del Tar Lombardia lo ha allargato, se pure con paletti molto specifici).
Non si tratta di un atto dovuto, perché presuppone l’accertamento di compatibilità paesaggistica dell’intervento realizzato (che può sussistere, ma anche no). Il permesso è subordinato a un parere vincolante della soprintendenza (che deve sempre essere acquisito) e comporta il pagamento di una somma pari al maggior importo tra danno arrecato e profitto conseguito. L’autorizzazione è rilasciata in 180 giorni.
Le sanzioni.
Qualsiasi intervento realizzato in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica (fatti salvi i casi in cui è possibile conseguire l’autorizzazione in sanatoria, e fatto salvo il caso in cui l’interessato provveda autonomamente alla rimessa in pristino) comporta sempre l’applicazione di una doppia sanzione: la sanzione penale e la sanzione amministrativa che può essere, a seconda dei casi, una sanzione pecuniaria e la sanzione della rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
Semplificazione in vista per 42 piccoli interventi. di Mauro Cavicchini – Il Sole 24 Ore Norme e Tributi
Autorizzazione paesaggistica in forma semplificata. Per ora si tratta solo di un obiettivo, che però potrebbe a breve trasformarsi in realtà. Il regolamento licenziato in prima lettura in autunno dal consiglio dei ministri sta percorrendo ora tutte le tappe previste e, dopo il via libera della conferenza unificata Stato-regioni, è approdato al consiglio di Stato. Con il regolamento, il ministero dei Beni culturali intende dare attuazione a quella norma del codice dei beni culturali e del paesaggio che prevede un’autorizzazione paesaggistica semplificata, distinta dall’autorizzazione ordinaria, riservando il permesso snello agli interventi di lieve entità. Nello stesso tempo, si vuole onorare, seppure con grandissimo ritardo, l’impegno assunto con l’intesa Stato-regioni-enti locali, che ha dato il via all’operazione piani casa regionali con l’obiettivo di contrastare la crisi economica anche attraverso la semplificazione delle procedure di competenza statale.
La semplificazione annunciata sul versante del paesaggio suscita per qualche perplessità, perché se tocca il nervo molto sensibile delle procedure di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, lascia invece scoperto quello, altrettanto dolente, delle procedure edilizie di cui al testo unico. Il tema richiede invece un approccio sistematico e in questo senso è difficile capire perché il Governo abbia messo da parte l’idea molto interessante di allargare il campo della cosiddetta attività edilizia libera, cioè dell’attività edilizia che può essere svolta senza acquisire nessun titolo abitativo. Il problema esiste e bisogna trovare il modo giusto di risolverlo. Anche per quel che riguarda le autorizzazioni paesaggistiche, comunque, non si può fare a meno di mettere in evidenza che il regolamento di semplificazione si troverà collocato in un contesto molto critico, segnato soprattutto dal nuovo ruolo delle soprintendenze, che sono chiamate a rendere un parere su tutte le domande di autorizzazione (quelle ordinarie e quelle semplificate), e nel quale le norme di semplificazione non avranno certamente vita facile.
E con ciò diventa chiaro che, aldilà dei profili procedurali, rimane da affrontare il problema di fondo di far crescere, con iniziative adeguate, e con tanta pazienza, una cultura paesaggistica che oggi è ancora molto carente, al punto tale che l’autorizzazione paesaggistica è vissuta dai più non come uno strumento che può aiutare a governare la qualità degli interventi edilizi, ma come l’ennesimo inutile adempimento burocratico. Detto tutto questo, il regolamento sulle autorizzazioni semplificate è un atto importante e utile, a partire dal fatto che elenca quali interventi devono ritenersi di lieve entità (si veda l’elenco a fianco). Se qualcuno si aspettava, o temeva, una lista striminzita, deve invece ricredersi, e non solo perché le opere di lieve entità elencate sono 42, ma soprattutto perché a esse sono ricondotti, oltre che interventi minori ma frequentissimi, anche interventi molto significativi, come gli ampliamenti, se pure modesti, e le demolizioni e ricostruzioni nel rispetto della volumetria e della sagoma.
Caso mai, l’elenco è per qualche verso problematico in quanto per molti interventi sono indicate soglie quantitative eccessivamente basse o eccezioni che, oltre a depotenziare la semplificazione, formano una zona grigia che renderà molto più difficile capire quando è necessaria l’autorizzazione ordinaria e quando quella semplificata. L’autorizzazione paesaggistica del regolamento si deve considerare semplificata soprattutto in ragione del termine massimo indicato per il suo rilascio, che è fissato in 60 giorni (rispetto ai 105 e ai 120 dell’autorizzazione ordinaria; si veda la pagina a fianco). Una volta che l’amministrazione competente in materia paesaggistica ha ricevuto la domanda, accompagnata dalla relazione paesaggistica anch’essa semplificata, ne ha verificato la completezza, ha accertato la conformità urbanistico-edilizia e la compatibilità paesaggistica del progetto, è tenuta à inviarla, entro trenta giorni, insieme a una proposta di provvedimento, alla soprintendenza, che è titolare di un parere vincolante da rendere entro 25 giorni.
Nei successivi 5 giorni (e siamo così a 6o), l’amministrazione competente rilascia l’autorizzazione. Non è necessario acquisire il parere della commissione per il paesaggio, a meno che la legislazione regionale non lo preveda. E’ probabile che questa incalzante progressione temporale lasci molti dubbi a chi ha qualche esperienza di procedimenti amministrativi. Li rende però meno angoscianti una norma del regolamento, che legittima esplicitamente l’amministrazione competente a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica prescindendo dal parere della soprintendenza nel caso questa non abbia reso il parere nel termine fissato di 25 giorni e senza che sia necessario convocare alcuna conferenza di servizi.
La conclusione in senso negativo del procedimento semplificato è prevista dal regolamento in termini ancora più brevi: se non sussiste la conformità urbanistico-edilizia, l’amministrazione competente dichiara entro 30 giorni l’improcedibilità della domanda; se sussiste la conformità urbanistico-edilizia, ma l’intervento è valutato come incompatibile sotto il profilo paesaggistico, l’amministrazione competente, nello stesso termine di 30 giorni, emana il preavviso di diniego; se è la soprintendenza che valuta negativamente la domanda, è essa stessa a emanare, nel termine di 55 giorni, il preavviso di diniego.
Per i “no” rischio di aumento. di Mauro Cavicchini – Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi
Il 2010 rischia di essere un anno difficile per le autorizzazioni paesaggistiche, con inevitabili ricadute per i professionisti che devono presentare i progetti di intervento sulle aree vincolate.
Intanto, perché l’aumento dei soggetti che concorrono al procedimento di rilascio dei permessi non porta con sé alla semplificazione e all’accelerazione delle procedure; rischia anzi, come insegna l’esperienza, di complicarli e di ritardarli.
Dal 1° gennaio, inoltre, in diverse realtà le funzioni paesaggistiche sono ritornate direttamente nelle mani delle regioni, cioè di amministrazioni più lontane dal cittadino interessato al permesso. Il che contribuisce ad aggravare i procedimenti.
Questo riappropriarsi di competenze in materia di paesaggio da parte delle regioni è dovuto al fatto che le deleghe affidate dalle amministrazioni regionali soprattutto a comuni o associazioni di comuni, ma anche a province e parchi regionali, possono continuare a essere esercitate soltanto se quei soggetti possiedono i requisiti di organizzazione di competenza tecnico-scientifica in materia paesaggistica.
Criteri che devono essere verificati dalle regioni, le quali, se riscontrano lacune, devono riappropriarsi delle competenze sul paesaggio. Questi elementi, uniti al fatto che le soprintendenze sono ora diventate titolari di una valutazione paesaggistica di merito, rischiano di produrre una quantità di dinieghi superiore al passato.
C’è solo un modo per evitarlo: dare più qualità al lavoro di tutti, professionisti privati nonché tecnici e funzionari pubblici. Una maggiore qualità fondata soprattutto sulla consapevolezza che il progetto paeggistico è radicalmente diverso dal progetto edilizio e richiede un linguaggio e una forma del tutto specifici.
La necessità di una maggiore qualità riguarda anche la documentazione e gli elaborati grafici che tutti insieme compongono e motivano il progetto paesaggistico. Sul punto, si tratta di superare una superficialità molto diffusa. Ad esempio, non è proprio possibile, come invece avviene spesso, compilare o valutare un progetto paesaggistico senza sapere con precisione quale sia il tipo di vincolo che interessa l’area, e quali eventualmente i suoi contenuti specifici, o senza una adeguata indagine dello stato dei luoghi in cui si colloca l’intervento e una prefigurazione dei suoi effetti, oppure ritenendo che gli aspetti di conformità urbanistico-edilizia prevalgano sugli aspetti più qualitativi (le forme, i materiali, i colori, eccetera) e sulla contestualizzazione.
Un paesagio accerchiato dagli abusi duri a morire. di Francesco Nariello – Il Sole 24 Ore
Non si ferma il sacco del paesaggio italiano.
Megastrutture abusive e scheletri di cemento continuano a invadere senza sosta alcuni dei luoghi più belli della Penisola.
E una volta realizzati, ci vogliono anni, a volte decenni, perché vengano demoliti. Uno degli ultimi a cadere è stato l’abbozzo di albergo/residence in cemento armato a Palmaria, in Liguria: ottomila metri cubi di calcestruzzo che sfregiavano il parco regionale di Portovenere. Una vicenda iniziata quarant’anni fa.
Gli abbattimenti più noti, tuttavia, si contano sulle dita, come quello del Fuenti in costiera amalfitana o della saracinesca di Punta Perotti, sul litorale di Bari.
Mentre è ben più lunga la lista d’attesa dei mostri ancora in piedi, dallo scheletro in cemento di Alimuri a Vico Equense (Napoli) alle palazzine di Lido Rossello a Realmonte (Agrigento), dalla palafitta sulla spiaggia a Falerna (Catanzaro) fino alle costruzioni sulle rive del Lago di Garda. Ma sono migliaia gli sfregi, grandi e piccoli, perpetrati sul territorio nazionale.
A tenere aggiornate le liste dei danni al paesaggio, paradossalmente sottoposto per circa il 47% a tutela, ci pensa Legambiente.
«A fronte di aree così ampie da salvaguardare afferma Edoardo Zanchini, responsabile del settore urbanistica dell’associazione ambientalista, a essere debole è proprio la gestione dei vincoli. Sono più di vent’anni che le regioni avrebbero dovuto elaborare i piani paesaggistici: invece, nel centro-sud non ci sono e nel centro-nord sono, quasi ovunque, descrittivi. La gestione del vincolo resta così affidata ai comuni, che decidono sia sulla parte urbanistica che sul paesaggio. Mentre debole è stato il ruolo delle soprintendenze».
Da Nord a Sud i danni al territorio non risparmiano alcuna regione, anche se l’incidenza è più alta nel Meridione. E i pericoli non accennano a diminuire. E’ il caso del’Isola d’Elba (Livorno), dove si attende l’esito dell’ultima asta indetta dall’agenzia del demanio (al ribasso rispetto alle precedenti, andate deserte) per capire cosa ne sarà delle ex strutture minerarie di Vigneria a Rio Marina Zona dove dovrebbero sorgere i 47mila metri cubi del Villaggio paese, struttura turistico-ricettiva Il termine per l’invio delle offerte è il 15 febbraio.