La banca dei casalesi, coinvolto un beneventano
Il Mattino.it
Casalesi, nelle casse della «banca nera»
di ANTONIO MANZO
SALERNO (7 ottobre) – La prima, vera, «banca nera» dei camorristi casertani del clan dei Casalesi è in terra salernitana, nell’agro nocerino. C’è una certezza degli investigatori: un fiume di danaro, oltre 85 milioni di euro, scorre tra Salerno e Caserta ed è nelle mani di raffinati imprenditori legati ai Casalesi o prestanomi del clan casertano per ora in un reticolo di quindici imprese (quattro salernitane ed undici casertane).
Un muro di fatture false. C’è una ipotesi degli inquirenti molto concreta, dopo i sei arresti dell’operazione «Woody Cash» di fine giugno e che è già sulla strada dei primi riscontri oggettivi degli inquirenti e degli uomini della Finanza: nell’Agro nocerino il «muro» di fatture false costruito con i mattoni forniti dagli imprenditori casertani, i fratelli Brusciano (Luigi e Gabriele detto Massimo) è servito a nascondere la banca «nera» del clan dei Casalesi, la prima e, finora, l’unica scoperta a servizio del braccio economico della camorra-impresa. Ottantacinque milioni di euro, dietro le fatture false. «E non è una truffa di carta e carte, come quelle prodotte per prelevare indebitamente l’Iva, abbattere i costi…» dice un investigatore. No, qui le fatture false scoperte nell’agro nocerino sarnese nel giugno scorso ed animato dalla famiglia degli imprenditori Brusciano nasconde un fiume di danaro investito in atttività imprenditoriali, danaro «prestato» ad imprenditori in evidente difficoltà economica e poi cacciati dalle loro aziende in crisi, un fiume di danaro riciclato in attività industriali e commerciali.
I documenti nel caveau di casa Brusciano. Nuovi filoni di indagine vengono aperti nelle stesse ore in cui il pm della procura di Nocera Inferiore, Roberto Lenza, sta per chiudere le indagini «Wood Cash» con la richiesta di rinvio a giudizio di di oltre cinquanta indagati, tra i quali Luigi e Gabriele Brusciano detto Massimo, l’insospettabile che guidava l’Audi A3 dei raid della morte con a bordo il boss sanguinario Giuseppe Setola. È stato l’esame della documentazione sequestrata nel caveau di casa Brusciano, in via Sonnino ad Aversa, ad aver garantito agli investigatori della guardia di finanza di Salerno, coordinati dal colonnello Angelo Matassa, comandante provinciale e guidati dal tenente colonnello Francesco Mazzotta, le nuove piste di indagine. Nel caveau dei Brusciano no c’erano soldi, ma chili di documenti utili alle indagini della Guardia di Finanza. Se, probabilmente, la famiglia degli imprenditori casertani fece in tempo a far sparire preziose tracce nell’incendio alla Siderlegno, scoppiato nell’aprile scorso e pochi giorni dopo la visita della Finanza, non altrattanta fortuna ha avuto per il caveau di via Sonnino.
Quindici le imprese ai raggi X. D’altronde che loro detenessero materiale utile e prezioso sui flussi della banca nera emerse anche subito dopo l’ennesimo incendio alla Europarking di Grumo Nevano. Tentativi chiari, secondo gli investigatori, di far sparire tracce. Incenerirle. Le imprese da radiografare sono quindici: quattro salernitane, delle quali tre false (Ge.Ca.; Cam; Trafilegno) ed una in presunta attività, la Ge.Mo. srl.; undici aziende con sedi tra Caserta e Napoli: la Siderlegno, l’Europarking di Grumo Nevano, Contesa srl (ubicata nella stessa sede della Siderlegno di Aversa, Anton Legno srl con sede a Casandrino, Tecnolegno, Napoli, Legnami Sud di Casandrino, quella di un prestanome die Brusciano, Ottavio Nobis, la M2 di Trentola Ducenta, Euromeccanica di Trentola Ducenta, l’Italegno di Casandrino, Imballaggi Chianese snc di Grumo Nevano. Tutte le sigle di questa aziende, secondo gli investigatori della Guardia di Finanza, sono state lo schermo delle false fatturazioni per la maxifrode da 85 milioni di eruro ma anche il modo apparentemente legale per movimentare i soldi della «banca nera» dei Casalesi.
Con un leasing soldi contanti e puliti. «Per loro è un gioco, a Caserta e dintorni, varcare la soglia di una banca e con la compiacenza di direttori e funzionari accedere ad un leasing di milioni di euro, prendere danaro contante e venire a Salerno, nell’Agro. Con danaro contante in tasca, a caccia di imprenditori in crisi …». Un gioco per gli imprenditori casalesi, Luigi e Gabriele detto «Massimo» Brusciano, già scoperti e arrestati qualche mese fa con una inchiesta che ora è il canovaccio per poter scovare un braccio economico dei casalesi particolarmente attivo: l’ingresso nelle aziende in crisi. Danaro contante da dare all’imprenditore in difficoltà.
Dal leasing al «prestito fatturato». Tutti i «clienti» di Brusciano per ottenere il danaro liquido corrispondevano a Luigi e Gabriele «Massimo» Brusciano una quota pari alla metà della fattura dell’Iva indicata in fatturare. E per alcuni leasing, anche con una percentuale che si aggirava intorno al 6 per cento dell’importo della fattura. L’inchiesta «Woody Cash», con epicentro nell’agro nocerino e ad Aversa diventa così per i pm salernitani uno schema di indagine sulle operazioni compiute dalla «banca nera» presso altri imprenditori e, finora, non scoperte. Il terreno investigativo da coltivare sarebbe anche a Salerno città, oltre che nell’Agro.
Un meccanismo ben oliato. Gli 85 milioni di euro di fatture false hanno nascosto operazioni inesistenti. Ad esempio Luigi Brusciano chiede ed ottiene per i suoi «clienti» leasing per l’acquisto fittizio di macchinari e l’anticipo di fatture per gli acquisti artefatti di merce. E su quale stabilimento? Basta quello di un imprenditore disposto a cedere un capannone dove cambiare sempre le insegne per far risultare la sede della società acquirente o utilizzatrice dei beni oggetto di contributo o leasing.
Il fuoco cancella gli acquisti fittizi. Ma come si fa per gli acquisti fittizi dei macchinari? Basta poco ad appiccare un incendio o ad organizzare un furto. Due scopi si raggiungono – dicono gli investigatori – primo, poter giustificare la mancanza del bene presso la società e, secondo, truffare le assicurazioni. Gli incendi di solito avvengono presso capannoni presi in fitto alcuni mesi prima.
«Artificiosi sinistri» sempre assicurati. C’è un consulente che tratta tutte le perizie assicurative dopo gli incendi: si chiama Antonio Leone, sessantaquattro anni, di San Nicola Manfredi, un paesino in provincia di Benevento. Nel 2008 gli «artificiosi sinistri», come li chiamano gli investigatori, sono avvenuti presso gli stabilimenti di Pietro Carrelli, quarantacinque anni di Pagani: Imballaggio Sud, Piscopo, Vife sas ed Emme3. Una volta denunciato il furto o il sinistro è un gioco: Pietro Carrelli dopo il furto in via Nuova San Marzano, ottiene un indennizo «indebito» sostengono gli investigatori, pari a 220mila e 200euro da parte dell’assicurazione alle società di leasing per dei macchinari mai acquistati realmente e documentati con fatture fittizie. È chiaro che quel danaro fresco non resta affatto nelle mani di Carrelli, va verso il Casertano.Per fare poi ritorno nel salernitano e «metterlo a disposizione» degli imprenditori in difficoltà.
Indebiti indennizzi alimentano la banca nera. Un esempio di come si possa incassare danaro e alimentare la «banca nera» arriva da quel che accadde il 20 febbraio di un anno fa nello stabilimento EuroPacking srl di Grumo Nevano, nell’agro napoletano. Nicola Annunzio Fabozzi, zio di Luigi Brusciano, denuncia la distruzione in un incendio di macchinari che erano dei ferri vecchi, alcuni non esistevano proprio nello stabilimento al momento dell’incendio eprchè in riparazione. Oppure come fece Domenico Ferraioli dopo l’incendio presso lo stabilimento di Casandrino. Chiese oltre un milione di euro per macchinari mai acquistati realmente e documentati con fatture fittizie.