Mastella presenta il suo libro vantando il rapporto con il Papa ma solidarizza con Berlusconi criticato di vescovi. Naturalmente nessun riferimento a Zamparini neppure da Della Valle
Da Il Corriere della Sera del 16 giugno 2009
di Aldo Cazzullo
In uscita «non sarò Clemente», il libro del leader dell’Udeur
Mastella: «Dissi no ai “Dico”, mi chiamò il Papa, pensai a uno scherzo» Le memorie dell’ex ministro: «Berlusconi preferiva Casini a me. Pier Ferdinando rideva a ogni sua battuta»
«Vaso di coccio tra vasi di ferro»: così si descrive Clemente Mastella. Stanco di essere additato come il simbolo di una politica deteriore, il neoeletto del Pdl ha scritto le sue memorie, Non sarò Clemente (in uscita da Rizzoli). Una galleria di ritratti, magistralmente messi in fila dal coautore Marco Demarco. Da Moro a D’Alema, da De Mita a Berlusconi. Compreso Ratzinger, che regala a Mastella la soddisfazione più grande: «Mi schierai per il no ai Dico, le unioni tra omosessuali. Prodi arrivò a minacciare conseguenze sulla mia permanenza al governo: ‘O firmi anche tu per i Dico, o te ne vai’. Tenni duro. E un giorno mi arrivò una telefonata dal Vaticano. Mi passarono la segreteria del Santo Padre. Subodorai uno scherzo, e quando sentii quella voce dall’accento teutonico pensai a Fiorello. Ma poi mi convinsi che era davvero il Papa. Voleva esprimermi il suo apprezzamento per la mia posizione».
Con il Cavaliere la prima volta fu nell’87, in piazza del Gesù: «La Dc chiamò proprio lui a occuparsi, insieme con altri, della propaganda. Ci riunimmo in tre: De Mita, Berlusconi e io». Ma i consigli del re delle tv non persuadono il segretario: «Cleme’, ma chi mi hai portato?». Sette anni dopo, nel ’94, è Mastella ad andare ad Arcore, con Casini: «L’unico che rideva a tutte le barzellette di Berlusconi. A me, ma anche a D’Onofrio e a Confalonieri, capita di apprezzarne al massimo tre o quattro a serata; lui no, Berlusconi raccontava e il bel Pier riusciva a ridere disinvoltamente dieci volte su dieci. Comunque sia, andammo ad Arcore. Da Linate, centomila lire di taxi. Vista la nota riluttanza di Casini per i conti da saldare, pagai io, naturalmente…». Berlusconi non voleva Mastella ministro. «Fu Bossi a insistere. Fece questo ragionamento: noi siamo un governo di centrodestra, il sindacato si scatenerà; meglio affidare il ministero del Lavoro a un ex democristiano».
De Mita fu un padre padrone: «Ero il portavoce, ma in tv doveva apparire solo lui. Durante le direzioni Dc, quando arrivavano le telecamere dovevo abbassarmi o nascondermi dietro le scrivanie per non farmi riprendere. Una volta citai Claudio Baglioni in un discorso del segretario sugli anziani: ‘I vecchi sulle panchine dei giardini/ succhiano fili d’aria a un vento di ricordi…’. De Mita mi chiese se ero impazzito. Lui, per alleggerire i discorsi, al massimo citava Bunuel». Cossiga? «Il più intelligente dei democristiani, colto quasi al pari di Moro, di cui però non aveva la sensibilità e la capacità di comprendere lo spirito dei tempi». Gava? «Si faceva baciare l’anello e riceveva avvolto nella nuvola di fumo del suo sigaro. Ma oggi l’erede del laurismo è Bassolino». Pannella? «Mi querelò perché dissi in tv che gozzovigliava nei villaggi vacanze durante il suo sciopero della fame in Africa; ma avevo un testimone, il direttore del villaggio». Andreotti? «Il migliore dei mediatori tra i cittadini e lo Stato. Casini e io fummo i soli ad assistere alla prima udienza del processo di Palermo. La sera, in albergo, stavamo per decidere di rinunciare. Telefonai a Sandra. Mi disse: ‘Passami Pier’. Pochi minuti e Casini cambiò idea: ‘Sandra ha ragione, non possiamo più tirarci indietro’ ».
Sulla sua vicenda giudiziaria e sulla caduta di Prodi, Mastella ripete quanto raccontò un anno fa al Corriere: «Feci come il castoro citato da Gramsci. Un tempo il castoro era molto ricercato dai cacciatori, perché dai suoi testicoli si ricavava una sostanza ritenuta miracolosa. Così, quando si sentiva braccato, se li strappava e li gettava ai cacciatori, per aver salva la vita. Anch’io, braccato, mi sono tagliato i testicoli; e ho lasciato il ministero della Giustizia». La tesi di Mastella è che su di lui, cerniera tra i due schieramenti e anello debole dell’Unione, si sia concentrata ogni sorta di malevolenza, a cominciare da quella dei magistrati punta di lancia De Magistris, regista Di Pietro – contrari alla sua riforma della giustizia. L’ex ministro spiega con la teoria della persecuzione anche le foto che lo ritraevano a bordo dell’aereo di Stato, diretto verso il Gran Premio di Monza: «L’aereo era lì per il vicepresidente del Consiglio. Ma Rutelli nelle foto non c’era. C’ero solo io, con mio figlio». Quanto a Prodi, «da presidente dell’Iri fu interrogato da Di Pietro: probabilmente da lì è nata quella soggezione nei confronti dell’ex pm; una soggezione visibile a ogni occasione, a ogni riunione del consiglio dei ministri». A volere Prodi all’Iri, scrive Mastella, era stato De Mita, «che ben presto cominciò a diffidare di lui. Romano, così almeno mi diceva, gli sembrava più disponibile alle sollecitazioni di Craxi e di Andreotti che alle sue. E’ probabile che Prodi abbia trasferito su di me la sua speculare sfiducia nei confronti di De Mita».
Il periodo nel centrosinistra è il più burrascoso. Da D’Alema che lo convoca a Palazzo Chigi – «Clemente, qui gira la notizia di una banca americana che avrebbe messo sul tuo conto cinquanta milioni di euro» alla tormentata partecipazione alle primarie dell’Ulivo: «Gli elettori si muovevano in gruppo, spesso spostandosi su piccoli bus. Saltavano da paese a paese, da quartiere a quartiere, e ogni volta votavano. Ci credo che i registri con gli elenchi non sono mai saltati fuori». Ma sono mille le storie di un personaggio che conquista Moro spedendo la prima confezione di quei dolcetti ormai noti come «mastellini», arriva vergine a 28 anni ma al referendum sul divorzio tradisce le consegne della Chiesa e si astiene, battezza di persona con la saliva il figlio Pellegrino che pare in punto di morte per la febbre altissima, riceve i clientes di Ceppaloni anche all’alba, si tormenta consultando i blog «dementemastella», «mastellatiodio », «mastellacadente» e «mastellainpastella », respinge «una giornalista famosa che tentò di sedurmi e poi andò a dire in giro che ero gay», porta per la prima volta Baudo, Elisabetta Gardini ed Enrica Bonaccorti ai congressi Dc, rivendica di aver avuto un ruolo nell’elezione di Cossiga al Quirinale («nel voto preliminare dei parlamentari Dc ebbe il 60% dei voti, ma io diedi la notizia che aveva avuto l’80») e nell’assunzione di David Sassoli in Rai, di essersi occupato di Cocciolone abbattuto in Iraq, di aver fatto votare per una volta Dc la Carrà «comunista da sempre»…
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Da Il Sannio Quotidiano del 20-06-2009
Mastella: «Contro di me un complotto. Lo rivedo oggi»
Un Mastella molto più ‘clemente’ di quanto minacci il titolo ha presentato ieri a Benevento il suo ultimo libro intitolato per l’appunto “Non sarò Clemente”.
Un’opera ideata quando il leader dell’Udeur era appena incappato nella bufera politico – giudiziaria che lo coinvolse, nel gennaio 2008, insieme alla consorte, Sandra Lonardo, e a molti esponenti del Campanile. Un terremoto politico cui seguì la caduta del Governo Prodi e la mancata partecipazione da parte di Mastella, per la prima volta in trent’anni di carriera, alle successive elezioni politiche. Trascorso un anno e mezzo, Clemente Mastella si ritrova con la fresca elezione al Parlamento europeo (nelle liste del PdL), un partito ancora in vita e una ricresciuta fiducia nei suoi confronti, come testimoniato dal ‘Calandra’ pienissimo ieri pomeriggio (presenti anche i vertici del PdL).
“Clemente Mastella non ha voluto scrivere un libro per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma per raccontare se stesso alla luce della difficile prova vissuta”, ha spiegato il giornalista Marco Demarco che ha collaborato con l’ex Guardasigilli nella stesura del testo. E in effetti nel lungo racconto a più voci (presenti il cantante Gigi D’Alessio, la presentatrice Paola Perego, il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, l’imprenditore Diego Della Valle, il vicedirettore di Libero, Gianluigi Paragone), è emerso un Clemente Mastella assai disteso, incline all’aneddoto salace e al racconto autoironico più che all’invettiva politica. Dalla elezione di Francesco Cossiga a presidente della Repubblica grazie a una furbata del mediatore demitiano Clemente Mastella che gonfiò ad arte i numeri della fiducia goduta dal futuro presidente all’interno del partito, al confronto con i capi di stato maggiore dell’Esercito italiano durante la seconda Guerra del Golfo in Irak, quando il politico sannita era sottosegretario alla Difesa. “Io che non ho nemmeno fatto il militare”, ricordava Mastella nell’ilarità generale, letteralmente esplosa nella ricostruzione del tragicomico abbattimento del tornado italiano di Bellini e Cocciolone. E ancora il faccia a faccia con Tarek Aziz, “un po’ in Francese, un po’ col traduttore”, e i torroncini intascati quasi di nascosto da Aldo Moro ricevuto a casa Mastella nel 1977. “Sono per i miei nipotini”, la giustificazione del leader democristiano. “Crede che non abbia pensato anche a loro?”, la pronta replica di Mastella accompagnata da tre scatole dei buonissimi dolci di San Marco dei Cavoti.
Ma un sassolino Clemente Mastella se l’è voluto levare: “In questi giorni di gossip e maldicenze – ha rilevato il leader dell’Udeur – rivedo quanto accaduto a me nel 2008. Fui oggetto di un autentico complotto, preso di mira come bersaglio da impallinare quando si vide che un progetto politico era giunto al capolinea. Ma alla fine il lavoro e l’onestà pagano sempre”.
Un chiaro messaggio di solidarietà da parte di Mastella nei confronti del premier Silvio Berlusconi, ripagato con la moneta dell’affetto dal presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri: “Clemente è un politico di grande intuito e intelligenza e una persona molto mite e dabbene. Le scelte politiche spettano a Berlusconi, ma per quanto mi riguarda Clemente Mastella dovrà essere un punto fermo del PdL anche per il futuro”.
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Da Avvenire del 19 Giugno 2009
Il gossip colpisce Berlusconi dopo le «scosse» di D’Alema
Veleni e sospetti. La catena delle non chiarezze
Secondo i partecipanti al tavolo promosso ieri mattina da Palazzo Chigi sul caso Fiat, congedando i suoi ospiti il presidente del consiglio avrebbe assicurato che «la stabilità del governo non è in discussione». E che dunque non è il caso di «dare retta ai ‘rumors’ che girano su Tremonti e Draghi», quali possibili alternative al premier in carica. È ben possibile che le cose stiano come dice Silvio Berlusconi. Ma è comunque significativo, e in qualche modo inquietante, che il capo del governo debba chiudere una riunione di lavoro, su questioni di grande delicatezza e con interlocutori non certo indifferenti a quanto accade nel Palazzo, preoccupandosi di sgombrare il campo da indiscrezioni che riguardano la sua personale tenuta.
Un fatto tanto più significativo, perché il fiume di notizie o pseudo tali, di pettegolezzi e di rivelazioni reali o asserite, di annunci di nuove inchieste che investono o soltanto sfiorano il vertice dell’esecutivo, non sembra volersi arrestare. Il caso di Bari e delle indagini che dal capoluogo pugliese condurrebbero nei pressi di Palazzo Grazioli, con l’immancabile contorno di gossip su feste private e accompagnamenti equivoci, è soltanto l’ennesimo ad abbattersi su un’opinione pubblica sempre più frastornata. E dopo quelli riguardanti veline e giovani protette, legali inglesi e voli di Stato, quest’ultimo non promette di restare tra i più indolori. I sostenitori dell’inattaccabilità del premier continuano a garantire che l’ondata di fango finirà bene o male per arrestarsi all’indomani dei ballottaggi.
Così come giurano che tutto quanto è emerso finora era funzionale a indebolire l’immagine di una leadership costantemente confermata dal suffragio popolare: ‘missione fallita’ constatano, forse con eccessivo trionfalismo, alla luce dei responsi elettorali. Non mancano tuttavia, nello stesso centrodestra, voci più consapevoli, che ad esempio scontano il proseguimento della campagna almeno fino al G8 dell’Aquila in programma tra venti giorni, ma probabilmente anche oltre. Sono considerazioni che stentano a venire in superficie e che tuttavia è possibile registrare in privato, insieme all’ammissione sui rischi di sfilacciamento progressivo del quadro politico e istituzionale. Di qui la percezione di un disagio sempre meno sopportabile in chi, dall’esterno, assiste a una battaglia durissima in uno scenario ai più incomprensibile, reso ancora più torbido dai sorprendenti preannunci dalemiani di movimenti tellurici poi puntualmente registrati. Ma proprio per questo clima di smarrimento crescente, è lecito domandarsi se il presidente del Consiglio abbia finora scelto la linea di resistenza migliore e i difensori più appropriati al suo caso. Non è soltanto questione di stile sfoggiato (anche se lo stile in certe situazioni è purissima sostanza) da parte di avvocati bravi, a quanto pare, soprattutto a moltiplicare i motivi di imbarazzo. Il punto centrale, ci sembra, è la necessità di arrivare il più presto possibile a un chiarimento sufficiente a sgomberare il terreno dagli interrogativi più pressanti, che non vengono solo dagli avversari politici ma anche da una parte di opinione pubblica non pregiudizialmente avversa al premier.
E se anche non fosse possibile eliminare ogni ombra, perché ad esempio su alcune questioni il bandolo della matassa è in mano alla magistratura, si pongano almeno i presupposti per evitare ulteriori stillicidi di chiacchiere e di tempeste mediatiche. Senza illudersi che l’efficienza dell’azione di governo possa far premio, sempre e comunque, sui comportamenti privati. Alla lunga, tutto finisce per avere un prezzo. E il pericolo, soprattutto in questo caso, è che a pagarlo non sia soltanto il singolo debitore di turno, ma l’intero Paese.
Gianfranco Marcelli
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Da Il Corriere della Sera 21 giugno 2009
«il premier è una persona pubblica, ha responsabilità pubbliche»
L’arcivescovo: faccia chiarezza con i fatti
Monsignor Ghidelli, arcivescovo: «Altrimenti il Cavaliere non può svolgere il suo compito in modo efficace»
ROMA – Che ne pensa, eccellenza?
«Il presidente del Consiglio non deve illudersi che la Chiesa taccia. La Chiesa non rinfaccia nulla a nessuno, per carità cristiana, ma è evidente che i vescovi hanno una precisa morale da difendere». Carlo Ghidelli, arcivescovo di Lanciano e Ortona nonché biblista di fama internazionale, è un uomo abituato a parlare con chiarezza evangelica, senza veli curiali.
Ma la distinzione tra sfera privata e sfera pubblica? C’è chi dice: il governante si giudica per come governa, il resto riguarda la sua coscienza…
«Le dirò, in un caso simile questa distinzione non mi garba. Perché il premier è una persona pubblica, ha responsabilità pubbliche. Certo: una cosa è il rapporto, assolutamente personale, che ha con la sua coscienza e con Dio, se in lui c’è ancora un’apertura al trascendente. Perché, come si dice, se uno non vive come crede finisce col credere come vive…».
E allora?
«E allora ciò non toglie che di fronte al popolo abbia il sacrosanto dovere di smentire le accuse, le chiacchiere, i gossip o come li vogliamo chiamare contro di lui. E il popolo abbia il diritto di avere chiarezza».
Anche «Avvenire», in effetti, chiedeva facesse chiarezza «al più presto »…
«Appunto. E secondo il mio parere personale, che non vuole assolutamente andare contro altri, aggiungo che non si tratta di una cosa desiderabile o auspicabile. E’ assolutamente necessaria. Io non mi appello alla sua coscienza ma al suo dovere di cittadino eletto e messo a capo del governo ».
Ma che dovrebbe fare, in concreto, Berlusconi?
«Ciò che lui stesso ha promesso anche l’altro giorno: portare le prove contro queste voci. Smentire le accuse sul suo conto: ma con dei fatti, non solo a parole. Quando uno occupa quel posto, non si può dire che gli affari privati siano un problema suo. Ripeto: è una persona pubblica. Io come vescovo devo rispondere al Papa e al popolo di Dio. Lui, come premier, ha il dovere di rispondere alla gente che lo ha eletto, all’opinione pubblica».
E non basta ciò che fa come premier?
«E’ chiaro che per il suo ruolo debba rendere ragione della ricerca del bene comune, della salvaguardia della democrazia sostanziale e così via. Ma anche qui: ormai la cosa è diventata pubblica. Come può, in questa situazione, esercitare il suo compito in modo sereno ed efficace? Ci sono tanti equivoci e anche per lui è meglio dissolverli».
Nei giorni dell’assemblea generale dei vescovi, in pieno caso Noemi, tra di voi ne avete mai avete parlato?
«No, per la verità no».
Ma a lei tutte queste «voci» che effetto fanno?
«Mi richiamano un problema generale: la caduta delle evidenze etiche. Sa, ho qualche dubbio sul fatto che la gente sia turbata. Temo che pure fra la nostra gente vacilli il sostegno di un giudizio etico forte, sicuro. Viviamo in una società nella quale è bravo chi ha fatto i soldi, ha successo, sa attrarre l’attenzione degli altri. Magari c’è chi pensa: beato lui che è diventato ricco, che ha fatto carriera, eccetera. Questi sono gli pseudovalori su cui si giudica. Ho paura che la gente non si scandalizzi. E non vorrei si pensasse a una Chiesa connivente».
In che senso?
«Qui non è questione di offendere né di mancare di carità verso nessuno. Solo di esigere chiarezza. Deve avere il coraggio di parlare. Pensi a cosa è successo più volte negli Usa: perché in Italia dovrebbe essere diverso? ».
Perché qui non ci si scandalizza?
«Torniamo agli pseudovalori che portano a giustificare tutto. Il denaro, il potere, il successo. Gesù è stato tentato su questo, dal diavolo, nel deserto: avere, potere, valere…».
Gian Guido Vecchi