You Are Here: Home » Ambiente » Terremoto » Terremoto Abruzzo: l’Ospedale delle mazzette

Terremoto Abruzzo: l’Ospedale delle mazzette

ospedale-laquilaL’Aquila, ecco chi malcostruì l’ospedale delle mazzette
Massimo Riserbo, Dagospia

Ci hanno messo le mani in tanti e per molti anni, e va bene. Anzi, va male. Ma non è tanto difficile raccontare chi ha costruito il San Salvatore dell’Aquila, l’ospedale venuto giù come un presepe di cartongesso alla prima scossa di terremoto.

Completata nel 2000, la struttura aveva aperto i battenti nel 1992 e si era man mano ampliata con una serie di appalti successivi. Il principale è quello vinto nel 1991 da un consorzio di imprese guidato da Cogefar Impresit, il colosso delle costruzioni della galassia Fiat dalle cui ceneri è poi nata Impregilo. Si trattava di una commessa da 74 miliardi di lire, assegnata dalla Regione Abruzzo, nell’ultimo anno “buono”. Ovvero, prima di Tangentopoli.

Nel 1992, per le mazzette volate sui lavori pubblici in Abruzzo, l’intera Giunta guidata dal democristiano Rocco Salini finì in galera. Ed Enzo Papi, top manager di Cogefar, fu tra i primi a confessare le tangenti pagate per gli appalti abruzzesi, dai lavori sotto il Gran Sasso al disgraziatissimo ospedale (vedi i lanci Ansa del 12 maggio ’93).

Tra assoluzioni, depenalizzazioni e prescrizioni se la sono cavata più o meno tutti quanti (al solo Salini restò una condanna definitiva per falso ideologico), ma qui ovviamente non sono in ballo le inchieste del passato.

Se mai la Procura dell’Aquila dovesse chiedersi come sono stati fatti i calcoli del cemento armato, e soprattutto che tipo di materiali è stato impiegato davvero per costruire un ospedale diventato obitorio, non potrà certo trovare la risposta nelle vecchie carte di Mani Pulite. Però potrà partire da lì, ovvero da Torino e dintorni, per provare a capire chi e come ha costruito il San Salvatore. E perché i collaudi sono stati fatti alla “volemose bene”. Il bene dei costruttori, non dei pazienti.

COSÌ MODERNO, COSÌ MALATO – IL SAN SALVATORE, SIMBOLO DELLA TRAGEDIA, ORA AL CENTRO DI UN’INCHIESTA
di Mariano Maugeri, “Il Sole 24 Ore”

L’ospedale civile San Salvatore è come un Lego messo giù da un bambino impaziente. Un fronte di oltre due chilometri, un edificio attaccato all’altro, ma con altezze diverse che non superano mai i tre piani: più basso, un po’ più in alto e all’altra estremità il polo della facoltà di medicina e chirurgia, con annessa Biologia e Psicologia.

I mattoncini color sabbia non ingentiliscono una costruzione datata e per nulla funzionale: «Per andare da cardiologia a neurologia ci vuole il motorino », dice un medico. Il progettista è l’architetto Marcello Venturini, originario di Paganico, un pugno di chilometri dall’Aquila,e firma dell’architettura romana. A quei tempi gli ospedali in altezza, almeno in Italia, non erano stati neppure immaginati. Venturini monta i cinque Lego denominati con la lettera L attorno ai tre corpi centrali: chirurgia, medicina, università. Ogni numero di edificio denominato L ospita un reparto diverso. In più ci sono cinque isole: quella centrale è dedicata al Pronto soccorso.

Le tredici scatole si cominciano a costruire nel ’72. L’appalto lo vince la ditta Pascali di Lecce, fallita alla fine della costruzione dei primi cinque lotti, praticamente la quasi totalità della struttura. Progettista e direttore dei lavori è Venturini. I calcoli sono a cura di Giangaspare Squadrilli. Alla Pascali subentra la Edilirti dell’Aquila, cui toccherebbe il compito di completare e rifinire: infissi, piastrelle, impianti elettrici, etc. Dopo pochi mesi fallisce anche la ditta aquilana. Lo stop dura anni.

Finalmente, nel ’91, si assembla un’associazione temporanea d’impresa guidata da Cogefar Impresit, l’attuale Impregilo, che insieme ad altre ditte completa le finiture, arreda l’ospedale, attrezza le sale operatorie delle singole isole, aggiunge un asilo nido e la scuola per infermieri. Un lavoro che dura anni. L’architetto Venturini si dimette: è consulente di Cogefar e per evitare un conflitto d’interessi fa un passo indietro.

Ormai la struttura è completa, adesso c’è l’impiantistica e gli impianti elettrici da allestire. Nel ’96 è l’allora ministro della Sanità Rosy Bindi a prendere il pallino in mano: nomina il senatore aquilano Ferdinando Di Orio presidente della commissione parlamentare delle incompiute sanitarie. Il giudizio sul San Salvatore è pesantissimo: «Impianto costruttivo irrazionale e obsoleto». E poi il colpo di grazia: «I materiali impiegati sono di scarsa qualità».

Nel 2000 cominciano a entrare in funzione i primi reparti, trasferiti uno a uno dal vecchio San Salvatore, un convento dell’800 con un nucleo originario posteriore al sisma del 1703 che in questi giorni mostra la sua naturale solidità a chiunque abbia voglia di andarlo ad ammirare. Ai piedi delle due colonne neoclassiche che ne incorniciano l’ingresso non c’è un solo frammento di calcinaccio. Se non fosse per la gru e la recinzione della parte antistante il portone – qui nascerà un nuovo polo universitario – il vecchio ospedale potrebbe riaprire i battenti domattina.

Al nuovo San Salvatore, invece, la notte del terremoto crolla la farmacia ed esplodono i mattoni forati delle pareti, comprese quelle delle sale operatorie. Fuggono tutti, e nelle ore immediatamente seguenti al sisma le barelle con i feriti si dispongono nei corridoi. Dopo qualche ora si sbaracca, e nessuno potrà mai dire quanti feriti non è stato possibile soccorrere con la celerità necessaria. Il trasferimento a Teramo, Avezzano e Pescara va da trenta minuti a un’ora. Ieri, il direttore generale della Asl, Roberto Marzetti, ha comunicato che nei prossimi giorni riapriranno i primi reparti. Escluse, però, le sale operatorie.

Se un ospedale è un luogo strategico dal quale dipende la sopravvivenza di centinaia di feriti, le sale operatorie sono i bunker nei quali si combatte il corpo a corpo tra la vita e la morte. Al San Salvatore, nelle ore immediatamente seguenti alla devastante scossa di terremoto, la vita non si è presa la sua sacrosanta rivincita. E solo le indagini dei prossimi giorni ci diranno chi, dove e perché ha commesso imperdonabili errori.

Ieri mattina, l’ospedale da campo allestito dalla Protezione civile in uno slargo alle spalle del San Salvatore, ha riconciliato l’Aquila con l’aggettivo civile che campeggia nella grande aiuola che conduce al nosocomio. Decine di tende e decine di medici appassionati e persino ironici, malgrado la drammaticità del momento, lavorano come se fossero nei loro reparti abituali.

Luca Antonini, un cardiologo di nemmeno quarant’anni che ha perso la moglie e il figlioletto sotto le macerie,ci dice che l’aiutoofferto da Obama all’Italia dovrebbe concretarsi con la donazione o il prestito di unità mobili per la terapia d’urgenza. «Sono strutture costosissime, nell’ordine dei dieci milioni di euro, ma solo così potremmo ricominciare a lavorare».

I colleghi che incrociano il cardiologo si fermano, lo abbracciano e gli sussurrano parole di conforto. Antonini si commuove e solo una volta sussurra a un amico: «Non ce la faccio». Eppure è lì, a portare soccorso, a proporre soluzioni per effettuare le angioplastiche a chiunque ne abbia bisogno. Un piccolo eroe di questo singolare Paese. Come Stefano Stuard, un giovanissimo primario di nefrologia che ci mostra inorgoglito la tenda più grande del campo con tutti i macchinari della dialisi pronti a partire: «Da domani possiamo garantirne sessanta.

Questo è il momento di aiutare chi ha bisogno, le polemiche le faremo quando sarà il momento». O come Rocco Pollice, lo psichiatra che lavora a «Smile friend», il servizio inventato in questo ospedale per le patologie psichiatrichee il sostegno psicologico nei ragazzi dai 14 ai 24 anni.

Qualche tenda più in là c’è l’oncologo Giampiero Porzio, capellaccio australiano e felpa con la scritta Italia. Ci trascina a vedere il suo reparto, quello vero: le pareti sembrano carte geografiche di crepe: «Questo è un reparto di eccellenza, uno dei due in Italia ad aver ricevuto la certificazione europea Esmo per le cure palliative».

La notte del sisma Porzio e i suoi colleghi si sono precipitati al San Salvatore e hanno messo in salvo i pazienti di oncologia. Forse, i veri salvatori sono loro, che si sono opposti all’accanimento della natura e agli errori di altri uomini sempre con il sorriso sulle labbra. Medici che hanno vinto perché si sono rifiutati di essere sconfitti.

(09-04-2009)

© Altrabenevento

Scroll to top