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De Lorenzo confessa: “ho attaccato un giudice per un altro”.

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Da Gazzetta di Benevento, 28-07-2010 08:51

Peppino De Lorenzo alza l’indice accusatore contro quei giudici che non lo ascoltarono e che oggi non sono più sugli altari

Mi rivolgerò al Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà far luce su quanto accaduto nel passato

Giuseppe De Lorenzo, ex assessore alla Mobilità del Comune di Benevento e responsabile del Servizio di Psichiatria dell’Asl presso l’Ospedale Rummo, prendendo spunto dalla recente inchiesta che ha visto coinvolti tre noti avvocati accusati di appropriazione indebita e riciclaggio, è intervenuto per alzare l’indice accusatorio contro quei giudici della Procura di Benevento, due ne ha individuati, che, a suo dire, in passato non lo ascoltarono, archiviando le sue denunce, nell’ambito delle indagini sulla vicenda Arpac/Udeur.

Lo stesso ha poi annunciato che si rivolgerà al Consiglio Superiore della Magistratura per chiedere di far luce su quanto accaduto.

Ecco ora la lunga nota di De Lorenzo.

“La nostra comunità, sino a non molto, tranquilla e lontana dai giri perversi che, già da tempo, a largo raggio, interessavano i grandi centri urbani, oggi, è, di continuo, scossa da notizie di gravi reati commessi da parte di professionisti ben inseriti nel contesto sociale ed ammantati da un abito di serietà di facciata.

La favola bella di un territorio immacolato si è conclusa.

Resta ora il dramma di una città in cui la sovranità della legge va riconquistata passo dopo passo.

Che ci fosse del marcio, e che i coperchi stessero ormai per saltare, lo si era capito ed altri ancora aspettano di saltare. Non altro se non per il rispetto verso chi la professione la svolge lavorando sodo da mattina a sera e rimanendo con le mani pulite.

E questi magistrati vanno ringraziati perché, con il loro operato, hanno dimostrato giustizia nei confronti di tanti giovani avvocati che trovano difficoltà ad entrare nell’agone professionale ed assistono impotenti al suono roboante dei motori delle Ferrari che sfrecciano sotto i loro occhi.

L’ultima vicenda, in ordine di tempo, è quella che ha portato agli arresti tre noti avvocati che, a dire dei magistrati inquirenti, si sarebbero impossessati indebitamente della somma di dieci milioni di euro.

Ciò che appare vieppiù grave è che il danno, così come si è verificato lo scorso mese di marzo per i disabili, è stato condotto a danno dei sofferenti.

L’azione delittuosa, se dimostrata, è di una gravità inaudita qualora si considerino i tagli quotidiani imposti proprio nel campo sanitario senza alcun rispetto per la sofferenza umana.

L’occasione mi è gradita per soffermarmi, volutamente, su alcuni punti, avendone un diritto sacrosanto per le lotte portate avanti, il più delle volte in un assordante silenzio generale, nel corso di una vita intera, proprio nel campo sanitario e per le quali ho pagato un prezzo altissimo.

Pur rispettando le rivendicazioni, da me sempre condivise, condotte contro il malaffare da Gabriele Corona, del quale, tra l’altro, sono amico, in questa occasione, non condivido il suo intervento.

Gabriele sostiene che i magistrati avrebbero dovuto dire di più. E perché, è lecito chiedersi?

La magistratura sannita, in cui, non mi stanco mai di ripeterlo, credo, anche se sfidando un incarnato credo popolare, sta, finalmente, offrendo alla collettività una decisa inversione di rotta.

Qui, operano dei magistrati di indiscusso valore anche se qualche pecorella smarrita inficia talvolta il loro operato.

Basta leggere quanto ha scritto il Gip, Sergio Pezza, professionista eccelso e libero, in merito agli ultimi arresti, per averne contezza.

Tra l’altro, si legge: “…c’è stata una ricerca smodata della ricchezza…” ed ancora “…professionisti di successo, rispettabili ed inseriti nella realtà sociale e lavorativa…” “…indifferenti agli interessi dei soggetti danneggiati e sordi al richiamo dell’etica civile e professionale…” “…spinti non da motivi di bisogno ma dalla brama di ricchezza…”.

Il tutto sulla scia del sostituto che ha condotto l’inchiesta, Giovanni Tartaglia Polcini, altro magistrato figlio della nostra terra. Cosa avrebbero dovuto aggiungere di più a tanta dimostrazione di libertà?

Non bisogna, infatti, dimenticare che i due, sino a qualche mese fa, hanno lavorato a gomito a gomito con la moglie di uno degli arrestati.

Più prova di libertà di intenti e di giudizio, credo, non se ne possa dimostrare.

Ed il fatto che il procuratore della Repubblica, Giuseppe Maddalena, Pezza e Tartaglia Polcini non abbiano sventolato, come d’uso oggi, ai quattro venti, attraverso una conferenza stampa, il risultato del loro giusto operato, rende vieppiù nobile il lavoro di questi.

La grandezza dell’uomo, e Corona deve convenire con me, quella veramente genuina, è il saper essere lontano dai clamori e permettere che siano gli altri a valutare i risultati raggiunti.

E proprio questa dote è emersa nell’odierna occasione. Non sempre, e la cronaca quotidiana lo dimostra, i magistrati riescono a vivere lontano dai riflettori, appartati, riuscendo a scegliere il silenzio.

Questi giudici, con il loro operato, hanno dimostrato che la giustizia beneventana sta uscendo da un lungo torpore ed i nodi di “qualche pecorella smarrita” stanno venendo al pettine.

Rispondendo proprio a Corona, qualche mese fa, in merito ad un suo intervento che interessava il giudice Berruti, magistrato del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), ebbi modo di replicare a lui che la dote preclara che apprezzo in Berruti è la riservatezza oltre ogni limite.

Così dovrebbero comportarsi tutti i magistrati, alcuno escluso. Ed io stesso che con Pinotto trascorro tante ricorrenze liete insieme, so bene che determinati discorsi non debbano neanche sfiorare il nostro conversare.

E’ vero, il tempo è galantuomo.

Ed il coinvolgimento nella squallida vicenda del marito di un sostituto che, sino a qualche mese fa, ha operato a Benevento, mi ha dato ragione.

Ancora una volta. Io lottavo per difendere la quotidiana sofferenza umana e, qui, si archiviava. Bene.

L’occasione, proprio per la fiducia che ripongo nella stragrande maggioranza dei magistrati beneventani, mi spinge, ora per allora, a rivolgermi al Csm, al fine che quello che, nel passato, ho subito venga allo scoperto.

Ciò non altro se non al fine che, ripeto, i tanti magistrati eccelsi che operano qui da noi non vedano offuscati i frutti del loro operato anche nel giudizio dell’opinione pubblica che rimane cocciutamente contraria.

Se mi accingo a preparare una denuncia al Csm lo faccio seguendo l’invito, guarda caso, proprio del giudice Pezza. Questi, infatti, anni fa, nel corso di una violenta disputa sorta tra alcuni magistrati della Procura di Benevento, intervenne pubblicamente con una nota di alto profilo e da me, poi, riportata in un mio libro.

Tra l’altro, Pezza scriveva: “…vorrei anche che chi ritiene di sapere fatti concreti, soprattutto se riveste cariche istituzionali, li denunciasse alle autorità competenti (Csm) invece che affidare il proprio racconto agli organi di stampa… infine, poiché come è stato detto, nessuno è abilitato ad autoassolversi, invoco una indagine più ampia ed approfondita – continuava Pezza – su tutti i magistrati di Benevento all’esito della quale gli eventuali colpevoli paghino, ma se invece nulla dovesse risultare vorrei che fosse restituita alla categoria cui appartengo la dignità ed il prestigio che merita…” (Giuseppe De Lorenzo – “Il ruggito della tigre di carta” -2002).

Ecco, allora, qualche tempo fa, dopo lo scandalo Udeur-Arpac scrissi:”…un magistrato, mesi fa, non si è degnato neanche di sfogliare il fascicolo e si è dilettato, prima del verdetto partorito per divina iluminazione – ho le dovute testimonianze – solo a criticare la stampa locale. Siamo a tanto! Parliamone! Discutiamone! …ed ancora ” …anche se mi ero chiuso in un religioso silenzio dopo le note vicende dei mesi scorsi, ancora oggi, malgrado la schiacciante realtà, anche con l’ausilio delle intercettazioni, che ha smantellato una intera Asl, qui, a Benevento, come se nulla fosse accaduto, si continua ad archiviare e qualcuno viene protetto solo per essere amico o medico del sostituto di turno…”.

Avrò, ora, molto da dire, di chi non ha letto le carte nello stesso momento in cui quelle stesse carte assumevano un valore diverso per il procuratore della Repubblica di Napoli; di chi non si è astenuto mentre quel medico da me denunciato curava la madre; di chi ha trattenuto per anni la pratica di mobbing contro Scarinzi; di chi trascorreva serate intere a casa dei miei accusatori e giù di lì.

Il caso ha voluto, ironia della sorte, che il giudice Antonio Clemente che, tra l’altro, è uno dei pochi magistrati che non conosco e con il quale non ho avuto rapporti, ha ritenuto che fosse lui il mio bersaglio. Niente di più inesatto! L’equivoco è dipeso, purtroppo, dal fatto che l’occasione mi era stata offerta a seguito di interventi di altri contro di lui, subito dopo le ordinanze dell’inchiesta Arpac-Udeur che mi davano ragione.

Ma non era Clemente il mio obiettivo.

Sono due ed uno è stato mandato via.

Oggi, a gran voce, chiedo, ed il Csm dovrà rispondermi, al giudice che non è più a Benevento, come sia possibile che ha snobbato le mie lotte condotte con purezza di intenti in quello stesso campo in cui il marito risulterebbe, a dire della magistratura inquirente, coinvolto.

Sfilano dinanzi ai miei occhi i tanti pazienti, veri relitti umani, ai quali è stata sottratta, con la complicità di alcuni bancari, dopo anni di azioni legali, la indennità economica loro spettante.

All’epoca ero io destinato, per la neurologia, a valutare le condizioni organiche di questi malcapitati.

Ripeto, relitti umani: giovani paralizzati, bambini oligofrenici, tanti anziani ridotti a vegetati. Riemergono dal polveroso magazzino della mia memoria.

No, proprio no. Non ci deve essere perdono per chi arriva ad un simile oltraggio.

Ecco, giudice Clemente, a chi mi riferivo. Il nome dell’altro suo collega lo conoscerà dal mio esposto. Un giorno del giugno 2009, questi, ripeto senza leggere le carte, mi condannava. In quelle stesse ore, a Napoli, con le intercettazioni, smascheravano i miei carnefici.

Da questo magistrato, e non da lei, giudice Clemente, attendo una risposta.

Lei, Pezza, Tartaglia Polcini, Di Cerbo, Rinaldi, Cusani, Rotili, Frasca e tanti altri vadano avanti. La gente onesta plaudirà al loro operato.

Sì, non posso negarlo, mi rimane il cruccio di essere stato difeso da un’altra Procura, quella di Napoli e dai Carabinieri non di Benevento ma di Caserta, ma ciò non sminuisce, dinanzi agli eventi cui stiamo tutti assistendo, la mia fiducia nella nostra magistratura. Ed io, mai come ora, ho ritrovato in me una forza che mi spinge ancora a lottare contro il malaffare. Credevo di averla smarrita. Invece, no.

La vostra opera odierna dovrà far cambiare opinione anche a chi rimane fermamente riottoso”.

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La risposta di Gabriele Corona:

“Il dott. Giuseppe De Lorenzo, intervenuto oggi su Gazzetta di Benevento per commentare gli arresti degli avvocati Mario Itro, Marco Cocilovo e Mauro Di Monaco, dichiara di non condividere la mia critica ai magistrati per la mancata conferenza stampa con la quale avrebbero dovuto spiegare le ragioni dei provvedimenti restrittivi. Per l’esattezza sono intervenuto soprattutto per far notare che lo scarno comunicato della Guardia di Finanza emesso sabato scorso in tarda mattinata, non conteneva i nomi dei tre arrestati, né quello del direttore di Banca accusato di complicità, né quello dell’Istituto di credito e neppure della Azienda Ospedaliera destinataria dei 12 milioni di finanziamenti regionali che, secondo i magistrati, sarebbero stati riciclati dai tre legali beneventani. Di certo non si tratta di informazioni secondarie perché c’è da comprendere se i soggetti interessati e i meccanismi usati sono gli stessi utilizzati per la mega truffa ai danni dei disabili e in tal caso, perché non è stato contestato il reato di “truffa” e la “associazione per delinquere”.

De Lorenzo sostiene che a lui la questione risulta chiara e che comunque i magistrati non devono fare conferenze stampa, ma evidentemente egli non ricorda le numerose volte che ciò è successo (Truffa ai danni dell’Enel, arresti per droga o usura, prostituzione e sequestro di case di appuntamento, appalti truccati al Comune di Telese). Perché non è successo per l’arresto dei tre avvocati o a conclusione di vicende giudiziarie altrettanto importanti (Ipermercato Zamparini, Piano di Recupero di via Galanti, truffa alle famiglie dei disabili)?

Domenica scorsa, i due quotidiani locali hanno riportato alcuni brani della ordinanza di arresto degli avvocati Itro, Cocilovo e Di Monaco fornendo, però, informazioni diverse. Per esempio, il Mattino ha fatto il nome del frate che si sarebbe incassato parte dei soldi destinati al Fatebenefratelli e quello del magistrato moglie di uno degli arrestati, mentre il Sannio Quotidiano ha sorvolato. Perché solo alcuni giornalisti possono avere accesso ai documenti dei magistrati e decidere che cosa i cittadini possono e devono sapere? Non sarebbe lecito fornire a tutti gli operatori dell’informazione la copia ufficiale degli atti ?

La torbida vicenda oggetto di indagine, è bene rammentarlo, riguarda la indebita appropriazione di 12 (dodici) milioni di euro della Regione Campania, quindi soldi pubblici, destinati alla assistenza sanitaria pubblica e quindi tutti abbiamo il diritto di sapere che cosa è successo veramente.

De Lorenzo, con lo stesso articolo, commenta ancora una volta alcune sue vicende giudiziarie, e confessa di aver ingiustamente accusato il Sostituto Procuratore della Repubblica, Antonio Clemente, di faziosità e per questo di aver invocato l’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura. Egli precisa “Il caso ha voluto, ironia della sorte, che il giudice Antonio Clemente che, tra l’altro, è uno dei pochi magistrati che non conosco e con il quale non ho avuto rapporti, ha ritenuto che fosse lui il mio bersaglio. Niente di più inesatto! L’equivoco è dipeso, purtroppo, dal fatto che l’occasione mi era stata offerta a seguito di interventi di altri contro di lui”.

Evidentemente l’ex assessore si riferisce all’esposto al CSM, pubblicizzato a mezzo stampa a febbraio scorso, dell’imprenditore Michele Spina contro il dottore Clemente, accusato esplicitamente di gravi irregolarità nella conduzione delle indagini che poi hanno portato al processo per il tentativo di estorsione ai danni del titolare della multisala Gaveli. In quella occasione De Lorenzo con un apposito comunicato dichiarò: “Sì, è vero, anch’io ho verificato la procedura a senso unico di quel sostituto e di qualche altro magistrato.”

Ora De Lorenzo ammette il clamoroso errore, ma perché se ne è accorto dopo sei mesi?

Gabriele Corona”

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