Avvocati rampanti !
Stampa questo articoloAltri tre avvocati in carcere: riciclaggio di 11 milioni. Implicati ex direttore BNL e un frate
Iniziano a conoscersi i dettagli dell’operazione investigativa, condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Benevento, diretto dal sostituto procuratore della Repubblica Giovanni Tartaglia Polcini. Ha portato all’arresto dei tre avvocati: Mauro Di Monaco (42 anni), originario di Santa Maria Capua Vetere, Marco Cocilovo (49) anni e Mario Itro (54) entrambi beneventani. Nel carcere di Capodimonte, dove si trovano dalla serata di venerdì 23 luglio, saranno interrogati, nella mattinata di oggi, lunedì 26 luglio, da Sergio Pezza, Giudice per le indagini preliminari, lo stesso che ha disposto le misure cautelari richieste dal sostituto Tartaglia Polcini.
Si sta procedendo per un’ipotesi di reato di riciclaggio e fraudolento trasferimento di valori, scaturita da un’iniziale ipotizzata appropriazione indebita di 11 milioni di euro, dei 15 in totale spettanti all’ospedale Fatebenefratelli del capoluogo sannita, come crediti vantati nei confronti dell’USL 5 di Benevento (ente sanitario locale poi trasformato dalla Regione Campania nell’attuale ASL). Lunedì alle 9.30 l’interrogatorio di garanzia per gli indagati difesi dagli avvocati Guido Principe, Vincenzo Regardi, Raffaele Tibaldi, Gerardo Orlando e Mario Rossino.
Torna in causa l’ex direttore di Filiale
La vicenda parte dal 2002 ma, prima di addentrarci, bisogna fare riferimento ad altre due persone, una delle quali deceduta che, nella ricostruzione dei magistrati inquirenti, avrebbero svolto un ruolo importante. La prima è Giuseppe Lamparelli, lo stesso 55enne, ex direttore della Filiale della BNL di Benevento coinvolto, e anche arrestato, nell’altra ipotizzata truffa ai disabili sanniti, con annesso riciclaggio, assieme ad altri tre avvocati e funzionari di banca, nella denominata ‘Operazione Camaleonte’, esplosa il 4 marzo scorso con l’esecuzione dei provvedimenti cautelari (l’ammontare di quella presunta truffa era di 2,2 milioni di euro ai danni di 54 diasabili gravi: a condurre anche quell’inchiesta Tartaglia Polcini).
Il ruolo del frate del Fatebenefratelli
L’altra persona è Fra Efisio Maglioni, morto nel 2004, dirigente amministrativo del Fatebenefratelli. Ebbene, proprio il religioso avrebbe conferito a Mauro Di Monaco (che ha lo studio con Marco Cocilovo, oltre a essere il marito di una cugina del collega) una procura speciale, con ampie facoltà, per recuperare 15,2 milioni di euro di credito dalla Usl 5 dovuti al Fatebenefratelli.
Di Monaco ha iniziato ad agire in giudizio e, dopo un primo passaggio presso la sezione del Tar di Cava dei Tirreni, ha ottenuto finalmente quanto reclamato dal Fatebenefratelli dal Giudice dell’esecuzione di Napoli. A quel punto, Di Monaco, dicono i magistrati, non ha consegnato il dovuto, ma si è preso quei soldi, elargendo al nosocomio solo 1,9 milioni di euro.
Non solo, per la Procura della Repubblica 1,2 milioni di questi 1,9 milioni di euro, sborsati dalla Regione, sarebbero finiti su un conto personale di Fra Efisio Maglioni, prima della sua morte, come detto avvenuta nel 2004. Di Monaco avrebbe poi giustificato la sua condotta, nei confronti del Fatebenfratelli, adducendo l’avvenuta insorgenza di una serie di problemi impeditivi il recupero dell’ingente somma, pur dopo la decisizione del Giudice per l’Esecuzione.
Nomi di madri e di congiunti usati per riciclare
Per la Procura – grazie a quanto appreso in seguito alla collaborazione di Lamparelli – Di Monaco avrebbe riciclato gli 11 milioni di cui si sarebbe appropriato indebitamente alla BNL di Benevento, tramite la falsa intestazione di conti correnti di quell’istituto di credito. La gran parte dei soldi (circa 8 milioni) però sarebbe stata investita in un fondo, della medesima BNL.
Successivamente, Giuseppe Lamparelli, Mario Itro, Marco Cocilovo e Mauro Di Monaco, per non farne scoprire l’origine illecita, avrebbero variamente spostati quei soldi e poi li avrebbero accreditati sui citati conti correnti, intestati ai loro familiari, madri o congiunti. Tutto ciò confermato, secondo gli inquirenti, anche dalla diversità tra le firme depositate e quelle utilizzate per effettuare i vari movimenti bancari.
Lamparelli collabora, beni confiscati per 11 milioni
La pubblica accusa nella ricostruzione di queste ipotesi di reato è stata aiutata dalla collaborazione di Lamparelli e anche questo suo comportamento avrà inciso sulla decisione del Gip Pezza di non concedere, a suo carico, la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria pure chiesta, assieme ai tre arresti, da Tartaglia Polcini.
L’autorità giudiziaria ha altresì disposto il sequestro dei beni per 11 milioni di euro equivalenti a quelli degli ipotizzati appropriazione indebita e riciclaggio, nella seguente misura: 5,5 milioni di euro confiscati in beni a Lamparelli, 3,5 milioni a Cocilovo e 2 milioni a euro a Itro.
Ci sono anche altri indagati
Oltre ai tre avvocati arrestati, comunque, sono stati notificati quattro avvisi di garanzia ad altrettante persone che avrebbero attivamente partecipato alla realizzazione della condotta delittuosa, mediante l’accensione di conti correnti e l’effettuazione di operazioni bancarie tese, per l’accusa, a dissimulare e occultare la reale destinazione delle somme riciclate. Va poi aggiunto che un altro avviso di garanzia è stato notificato al rappresentante pro-tempore di un primario istituto bancario nazionale per la responsabilità amministrativa dipendente da reato.
Avvocati molto famosi e ben inseriti
Per i magistrati del Tribunale di Benevento, insomma, i tre avvocati arrestati avrebbero usato la loro notorietà e il loro inserimento nella vita sociale per lucrare ingiustamente un’enorme quantità di denaro. Itro, in particolare, è il marito di Cecilia Annecchini, ora, in servizio ad Avellino ma, fino a pochi mesi fa, in servizio presso la stessa Procura della Repubblica di Benevento che ha condotto queste indagini. Va infine aggiunto che un’auto della Annecchini, nel maggio scorso, fu data alle fiamme all’interno della villa di famiglia in Via delle Puglie a Benevento. Tale episodio, sul quale lavorano gli inquirenti beneventani, ha fatto molto scalpore, essendo accaduto due giorni dopo la commissione di un atto intimidativo contro un altro sostituto della locale Procura, Antonio Clemente, posto in essere tramite l’invio in una busta, a lui indirizzata, di alcuni proiettili.
Corona: Ancora maggiore chiarezza dalla Procura
Tra le prime reazioni alla nuova inchiesta giudiziaria che, ipotizzando appropriazioni indebite o truffe, coinvolge altri tre avvocati del Foro di Benevento, c’è stata quella di Gabriele Corona, presidente dell’associazione ambientalista e contro il malaffare “Altrabenevento”, pubblicata sabato (vedi link), che chiede maggiore chiarezza sulle indagini alla Procura.
Cancellario: Ancora avvocati arrestati? Il caso ha voluto…
Va aggiunto il commento del presidente dell’Ordine degli Avvocati del Foro sannita, affidato ieri al ‘Mattino’: “Sono amareggiato rispetto a questi nuovi arresti di colleghi – ha detto Camillo Cancellario -. Per i tre indagati dell’Operazione Camaleonte (Nando Di Cerbo, Giancarlo Di Cerbo e Mariantonietta Calligaro, NDR), c’è stata nei giorni scorsi la sospensione cautelare dell’Ordine degli Avvocati, in attesa delle conclusioni dell’attività della magistratura. Il caso ha voluto che questi nuovi tre provvedimenti restrittivi si avessero a poca distanza dagli altri e ciò li rende più eclatanti, fornendo un’immagine distorta della categoria, ma nel Sannio ci sono 1600 avvocati che operano ogni giorno nel rispetto delle norme, con impegno e professionalità. Comunque, esprimo massima fiducia nella magistratura che saprà far luce su queste vicende e in tempi brevi”.
Severo il Gip Pezza: Bramosia di ricchezza
Infine “Il Sannio” di ieri ha riportato alcune frasi del gip Sergio Pezza, motivanti le ordinanze cautelari per Itro, Cocilovo e Di Monaco: “Professionisti di successo, rispettabili e inseriti nella realtà sociale e lavorativa…. Indifferenti agli interessi dei soggetti danneggiati e sordi al richiamo dell’etica civile e professionale…”, avendo agito “non per motivi di bisogno, ma per brama di ricchezze”.