Impressioni ed immagini dal “Festival dell’impegno civile”
Stampa questo articoloDa Gli Italiani del 28 maggio 2010
Anticamorra? No “te che uei”.
di Eleonora Mastromarino
A Casal di Principe un cartello ci accoglie per ricordare che quello è il paese di don Peppe Diana e della lotta per la legalità. Difficile da pensare semplicemente guardandosi attorno, cemento, “monnezza” ed esercito certamente non aiutano.
Le case sono vere e proprie fortezze, circondate da muri alti almeno tre metri e chiuse dietro cancelli blindati, tutte tranne la casa sequestrata al boss Spirto, a San Cipriano d’Aversa, ora gestita dalla cooperativa sociale Agropoli.
La porta aperta, il giardino curato e pronto ad ospitare una delle tappe del Festival dell’impegno civile danno finalmente un senso al cartello che ci aveva sorpreso all’ingresso del paese. Queste sono effettivamente le terre di don Peppe Diana e dei suoi ragazzi, gli stessi che hanno dato vita ad un bellissimo circolo virtuoso. Infatti, nella villa del clan, abitano oggi, dopo averla ristrutturata, i disabili mentali che la cooperativa aiuta a reintegrare nel territorio. I “matti” fino a poco prima chiusi nelle case o negli istituti, ora lavorano nel ristorante pizzeria sociale NCO, nuova cucina organizzata, cercando di combattere la camorra a colpi di forchetta e coltello, con l’unica pizzeria della zona che fa consegne a domicilio.
“Gli ultimi che si appropriano dei beni simbolo di coloro che credevano di essere i primi”, così Giuseppe Pagano mentre apre la porta del bagno, utilizzato ogni giorno dai ragazzi che vivono lì, ci fa vedere la vasca idromassaggio che il boss aveva lasciato intatta nella casa, convinto che sarebbe riuscito a riprendersela.
Altro simbolo del potere dei clan sono le mura, rappresentazione della paura e del distacco, inteso come la volontà di non vedere quello che tutti i giorni avviene nelle strade del paese. Ma Agropoli il suo cancello non lo chiude mai e le sue pareti di recinzione stanno per essere riempite di “buchi”.
Questo il gesto di ribellione dei ragazzi di NCO, aprirsi alla comunità del luogo anziché temerla