Con le nuove norme antintercettazioni il governo vuole anche impedire la libera voce dei blog.
Stampa questo articoloDa Repubblica.it del 12 maggio 2010
Con queste norme il governo vuole colpire anche internet.
Limitazioni sui blog e sul 2.0: nel ddl intercettazioni una norma che rischia di passare sotto silenzio
di ARTURO DI CORINTO*
E così siamo arrivati alla museruola per blog e affini. Dopo le proposte legislative volte a impedire la denuncia del racket in maniera anonima sui blog antimafia, dopo quella di trasformare i provider in sceriffi di Internet contro il peer to peer sapendo che la crisi della musica non dipende da quello, dopo le proposte di cancellare il passato scottante che riemerge grazie ai motori di ricerca, invocando per politici e imprenditori il diritto all’oblio, dopo l’intervento sull’inasprimento delle sanzioni per la diffamazione a mezzo Internet, il governo vuole una nuova legge anti-Internet.
Nel Ddl intercettazioni in discussione in questi giorni presso la Commissione Giustizia al Senato c’è in infatti una norma che è passata sotto silenzio a causa dell’enormità di tutte le altre – forti limitazioni e sanzioni all’uso delle intercettazioni per la stampa – ed è l’articolo 28 del disegno di legge 1611 che, ripescato dalla legge sulla stampa dell’8 febbraio del 1948, la aggiorna e la applica anche all’informazione amatoriale su Internet. Che cosa dice questa norma? Che “Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”. E aggiunge con una serie di specifiche in legalese che i contravventori alla norma saranno punti con una multa salatissima.
Molti blogger si sono allarmati per questo articolo e l’hanno fatto sapere manifestando in piazza Navona a Roma il luglio scorso, e ad ottobre con la Fnsi, perché è in gioco la possibilità stessa di fare informazione e comunicazione per il puro piacere di farlo. Ed è in gioco quel stesso pluralismo informativo cui il web 2.0 oggi fortemente contribuisce. Ovviamente la norma non riguarderebbe solo i blog, visto che i termini “siti informatici, telematica e informatica” usati nel dispositivo sono tanto generali da comprendere ogni forma di espressione digitale.
E perché si sono preoccupati? Forse per gli aspetti materiali? Certo. Senza rettifica entro le 48 ore si è passibili di una multa fino a 12.500 euro. E la rettifica è possibile, e facilmente, per il blogger che gestisce in proprio la piattaforma: ma se le 48 ore cadono nel weekend? Se si trova sulla vetta dell”Himalaya, se il provider risulta inaccessibile, se si è ammalati? Gli scenari sono due: o il blogger, gestore di un sito, non pubblica più la notizia che non ha verificato e chiude il sito e la possibilità di animarlo e commentarlo, oppure no, a dispetto del rischio di denuncia perché la notizia è importante e così pure la possibilità per tutti di commentarla, integrarla, approfondirla. Ma se il gestore di un blog o di una piattaforma di open publishing non ha le risorse per pagare la multa e per difendersi a lungo in tribunale, pubblicherà la notizia e lascerà il so blog aperto ai commenti?
Il problema qui non è del singolo “blogger di provincia”, uno dei quarantamila attivi in Italia, ma di siti come Wikipedia che sono diventati una fonte alternativa e preziosa d’informazione soprattutto per notizie d’archivio e che come il caso Angelucci (che ha querelato i responsabili) ha dimostrato, sono quelli più a rischio per questo comma.
Il meccanismo che si vuole attivare con questa norma è lo stesso che regola le controversie sui brevetti: anche chi sa di avere ragione, rinuncia ad affermare il proprio diritto e talvolta si accorda fuori della aule di tribunale se può, perché sa che si trova in uno stato di inferiorità rispetto a chi può pagare gli avvocati migliori.
Il carattere intimidatorio dell’articolo è evidente. Ma la dimensione più importante di questa norma, è di carattere simbolico e culturale: in definitiva si sta dicendo di voler equiparare un blogger a un giornalista professionista, un sito a una testata registrata, senza però dargli le garanzie di legge e i finanziamenti pubblici che molti giornali e testate hanno. D’ora in avanti chiunque avrà timore di pubblicare un’informazione se non verificata e non dimostrabile nell’immediato, su un camorrista, un politico colluso, una violenza subita. Il vox populi scomparirà e con esso ciascun Pasquino di buona volontà. E’ cosi che si scivola verso il conformismo e l’autocensura.
In un paese dove a causa dell’anomalia di un capo del governo che è anche il maggiore editore del paese, sono spesso i comici a spiegare le leggi contorte del governo, i semplici cittadini a difendere la Costituzione, i siti indipendenti a denunciare le illegalità, non ci possiamo proprio permettere di perdere la voce dei senza voce.
* L’autore dell’articolo è fra i promotori dell’appello contro la legge sulle intercettazioni. E’ ricercatore, giornalista e saggista esperto di Internet
(12 maggio 2010)