Anche Scajola è solo “utilizzatore finale”.
Stampa questo articoloIl Fatto Quotidiano del 5 maggio 2010
Proprietà percepita di Marco Travaglio
Nell’ora della prova, è cosa buona e giusta che gli italiani di buona volontà si stringano attorno all’ormai ex ministro Scajola, venuto prematuramente a mancare all’affetto dei suoi cari. La tegola che l’ha colpito non la si augura al peggior nemico: un impresario edile che lavora col suo governo gli ha pagato la casa a sua insaputa. Così per scherzo, o per sfizio, o per dispetto. Anemone aveva 900 mila euro che gli crescevano e, non sapendo che farsene, ha pensato di regalargli un appartamento di 180 metri quadri vista Colosseo (il famoso “mezzanino”) senza dirgli niente. A tradimento. Ma cribbio, son cose da farsi? Bell’amico. Per sei anni Scajola ha abitato in una casa convinto di averla comprata lui. Un caso di proprietà percepita. Lui, Sciaboletta, andava in giro tutto tronfio e compiaciuto del suo fiuto per gli affari. Appena incontrava qualcuno, gonfiava il petto: “Ma lo sai che ho comprato 180 metri quadri sul Colosseo per 610 mila euro? Ganzo, eh?”. Poi ha letto i giornali e ha scoperto che qualcuno aveva aggiunto 900 mila euro per fare buon peso. Come Berlusconi: quando gli aviotrasportavano stock di ragazze nelle sue residenze, s’illudeva di averle conquistate tutte col suo charme.
Figurarsi la delusione quando ha scoperto che erano escort e, dietro la porta, c’era sempre un Giampi Tarantini che le pagava per il disturbo 1000-2000 euro, inclusa l’indennità rischio. Dall’utilizzatore finale di mignotte all’utilizzatore finale di case. “Se scopro chi è stato – si è detto Scajola – gli faccio un culo così!”. Poi ha letto che era Anemone, quello dei lavoretti a casa Balducci, dei massaggi a Bertolaso, insomma dei Grandi Eventi. All’improvviso la vita gli è apparsa sotto un’altra luce. Ha preso ad aggirarsi per casa sua (si fa per dire) scrutando con occhio sospettoso qualunque oggetto lo circondasse: quadri, elettrodomestici, mobili e soprammobili, temendo li avesse comprati qualcun altro alle sue spalle. Interrogava divani e poltrone: “Siete miei o di Anemone? Parlate, perdio!”. Torchiava la lavatrice: “Confessa, puttana, chi ti ha pagata?”. Non poteva più fidarsi nemmeno della play station e la bistrattava a brutto muso, come Michelangelo con la Pietà: “Perché non parli? Sei mia o di chi sei?”. Il momento più drammatico è stato il faccia a faccia con la cassaforte, dove il ministro tiene un po’ di argent de poche: “Di chi saranno questi soldi? Vuoi vedere che qualche ladro mi ci ha nascosto la refurtiva per incastrarmi?”. Gli è pure tornata alla mente la volta che trovò la serratura forzata e temette una rapina, ma non mancava nulla. Per forza. I ladri, quando passano da lui, non asportano: importano. Lasciano sempre lì qualcosa. Per giorni e giorni, in totale solitudine (nemmeno gli avvocati e i portaborse potevano credere alla storia della proprietà percepita), ha riflettuto sul da farsi e sul da dirsi, preparando l’autodifesa. Ma gli mancavano le parole. Infatti il primo giorno ha detto: “Non posso parlare, c’è il segreto istruttorio”. Come se un politico accusato di rubare potesse difendersi dicendo: “È un segreto”. Il secondo giorno ha tuonato: “Non mi lascio intimidire” (da 80 assegni, poi…). Ma il meglio l’ha dato ieri nella conferenza stampa senza domande: “Un ministro non può sospettare di abitare un’abitazione pagata, in parte, da altri”. Aveva anche pensato di abitare l’abitazione per la sola parte pagata da lui: un terzo di cucina, un terzo di soggiorno, un terzo di bagno, ma il problema era la doccia. Non restavano che le dimissioni. Fosse vivo Feydeau, acquisterebbe i diritti sulla storia per cavarne un vaudeville travolgente: “Casa Scajola”. Trama: la moglie del ministro rincasa e sorprende il marito a letto con un’altra; lui, anziché sfoderare il classico “cara, non è come tu pensi”, cazzia la tipa sbalordito e sdegnato: “Signorina, che ci fa lei nel mio letto? Ma come si permette? Non si vergogna di infilarsi fra le mie lenzuola a mia insaputa? Un ministro non può sospettare di abitare un letto popolato, in parte, da altre”. E se ne va brontolando.
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Il Fatto Quotidiano del 5 Maggio 2010
La farsa e il dramma di Paolo Flores d’Arcais
Il lettore già sa che il ministro Claudio Scajola, che diventerà ex non appena il Caimano “implementerà” le dimissioni annunciate, ha vinto ieri l’ambitissimo “premio internazionale Marx” (Groucho, Harpo e Chico) per la comicità involontaria. In effetti, riaffermare di non aver ricevuto soldi da chicchessia, minacciando fulmini e saette “se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l’interesse”, supera in performance qualsiasi genio satirico da Aristofane a oggi.
Resta l’aspetto drammatico di questa farsa smisurata: a che livello di degrado l’establishment al potere ha ridotto il Paese, se i suoi governanti possono consentirsi questo genere di giustificazioni, immediatamente accompagnate dal minuetto degli elogi reciproci per “la sensibilità istituzionale e l’alto senso dello Stato”? Perché se nel partito del predellino la surreale quadriglia delle solidarietà si è spinta ormai tanto oltre la soglia che i milanesi chiamano della “faccia di tolla” e il genovese Gilberto Govi “faccia come le lastre” (nel capolavoro “I manezzi pè maià ‘na figgia”), l’unica spiegazione è nella certezza assoluta di impunità giudiziaria e di omertà catodica che anima ormai la cricca berlusconiana che si finge governo.
Certezza edificata anche con il corrivo contributo di troppa parte delle “opposizioni”, sempre in astinenza di “leggi condivise” e altri toccasana ributtanti, e di un giornalismo largamente dimissionario rispetto al suo compito “estremamente grave e faticoso, di una censura continua sugli atti del potere”, come già sapeva Jules Michelet oltre un secolo e mezzo fa. Eppure, se lo sdegno per una corruzione ormai senza più freno né remora ha fatto breccia perfino nel sito ufficiale del partito dell’amore, vuol dire che basterebbe il quotidiano alzo zero su questo marciume per far crollare i consensi al regime. E invece nei giorni scorsi abbiamo dovuto leggere l’altolà corrucciato del Corriere della Sera, per la penna di Massimo Franco e altri Galli della Loggia, alla fronda di Fini che destabilizzerebbe il Paese!
Proprio Fini e i suoi, a partire dalla pagliacciata Scajola, hanno l’occasione per dimostrare che nella cloaca corruttiva delle varie “cricche” non intendono riconoscersi. C’è una legge anticorruzione “in sonno”, e una – scalpitante – sulle intercettazioni che metterà la camicia di forza ai magistrati e il bavaglio ai giornalisti, favorendo oscenamente i delinquenti (politici e non). Facciano approvare la prima e bocciare la seconda. Altrimenti diventeranno credibili come uno Scajola qualunque.