Si è dimesso il ministro Scajola che si occupava anche della Luminosa.
Stampa questo articoloDa Repubblica.it del 4 maggio 2010
Inchiesta G8, Scajola si dimette
“Lascio il governo per difendermi”Il ministro dello Sviluppo Economico, travolto dalla vicenda dell’appartamento al Colosseo, abbandona l’esecutivo: “Non posso continuare, dimostrerò la mia estraneità ai fatti”
Claudio Scajola si dimette. Travolto dalla vicenda della compravendita, con presunti fondi neri, di una casa al Colosseo 1 il ministro dello Sviluppo economico ha annunciato la rinuncia all’incarico di governo. “Per difendermi”, ha detto in conferenza stampa, “non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni”. In pole position per la successione, l’attuale viceministro con delega alle Comunicazioni Paolo Romani.
Scajola aveva resistito fino all’ultimo, ma alla fine la sua posizione è diventata insostenibile, costringendolo ad anticipare il rientro dalla Tunisia e a convocare i giornalisti per annunciare il passo indietro. “Da dieci giorni sono vittima di una campagna mediatica senza precedenti”, ha detto ancora. “Vivo una grande sofferenza”.
L’ex ministro ha ribadito la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati, in particolare l’aver ricevuto denaro da imprenditori coinvolti nell’inchiesta sugli appalti del G8 per l’acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo: “Non potrei mai abitare in una casa comprata con i soldi di altri”, ha affermato. Per la prima volta in dieci giorni, Scajola ha però preso in considerazione l’ipotesi che gli assegni che gli vengono contestati siano effettivamente stati versati: “Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l’annullamento del contratto”, ha affermato. Il procuratore di Perugia, Federico Centrone, ha confermato che al momento Scajola non è indagato e che sarà ascoltato come persona informata dei fatti.
“Le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti”, ha detto Scajola ringraziando Berlusconi e il Pdl per gli attestati di stima ricevuti. Prima della conferenza stampa, Scajola aveva parlato con il premier, che pochi giorni lo aveva incitato a resistere 2. Poi, soprattutto in seguito alle notizie che arrivavano dalla procura di Perugia, il clima è cambiato. Anche Il Giornale di Vittorio Feltri questa mattina era stato netto: “Le risposte che ha dato fin qui non bastano. Se non ha niente da dire oltre a ciò che ha detto, le conviene rassegnarsi. Anzi, rassegnare le dimissioni”. Anche Libero si era mosso sulla stessa linea: “Scajola – scrive il direttore Maurizo Belpietro – deve assolutamente uscire dall’angolo e combattere a viso aperto, tentando di smontare ad uno ad uno i dubbi che aleggiano da giorni sulle pagine dei giornali. Noi gli suggeriamo solo di non temporaggiare più perchè attendere i 10 giorni che mancano all’interrogatorio sarebbe troppo”.
Il passo indietro era stato suggerito anche dal capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri: “Su questa vicenda finora ha difeso il suo comportamento, se dovessero emergere altre cose vedremo. Io credo che debba riflettere sul modo nel quale la sua difesa possa essere condotta meglio, se con l’incarico di ministro o senza”.
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Da Repubblica.it 30 aprile 2010 di CARLO BONINI
Scajola, le carte che accusano “Per la casa da lui tutti i soldi”.Quattro testimoni e le tracce bancarie: le prove in mano ai pm. Le deposizioni lo accusano di aver ricevuto nel suo studio al Ministero 900mila euro dal fiduciario di Anemone per l’acquisto di una casa.
Si fa macroscopica la menzogna di Claudio Scajola. Quattro testimonianze, un atto notarile e numerose tracce bancarie documentano ora che il ministro per lo Sviluppo economico conosceva la provenienza degli 80 assegni “neri” che, nel luglio del 2004, per un valore di 900 mila euro, pagarono più della metà della sua casa al 2 di via del Fagutale. Le testimonianze – oggi agli atti dell’inchiesta di Perugia sulla “cricca” dei Grandi Appalti – provano che di quegli assegni, il giorno del rogito, il ministro era materialmente in possesso. Di più: dimostrano che Scajola, pure assolutamente consapevole del prezzo reale di vendita – 1 milione e 710 mila euro – di quel magnifico appartamento che affaccia sul Colosseo, dispose che quella cifra venisse dissimulata, dichiarando di fronte a un notaio che era pari a soli 600 mila euro. Perché il Fisco non vedesse, ma, soprattutto, perché venisse così cancellata ogni traccia di almeno due circostanze: i 200 mila euro in contanti che, poco tempo prima dell’acquisto, aveva consegnato alle venditrici e il suo legame con l’architetto Angelo Zampolini, la “tasca” del costruttore Diego Anemone, il professionista, oggi indagato per riciclaggio, da cui aveva ricevuto quegli 80 assegni.
Veniamo dunque a quel luglio del 2004. Al contenuto delle quattro testimonianze in grado di ricostruire i passaggi chiave di questa vicenda. A quegli 80 assegni e alla loro storia. Scajola è da appena un anno nuovamente ministro. Costretto alle dimissioni dal Viminale nel 2002 per la vicenda Biagi (“un rompicoglioni”, lo apostrofa da morto) viene recuperato dopo un breve purgatorio dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che lo issa sulla poltrona dell’Attuazione del Programma. L’uomo ha ripreso energia e peso politico. Decide di acquistare una casa a Roma e per questo coinvolge Diego Anemone, il “costruttore” dei Potenti, l’anima di quella “Cricca” che governa i Grandi Appalti. Soprattutto, il costruttore che al Viminale è di casa. Anemone mette a disposizione di Scajola l’architetto Angelo Zampolini, il suo spicciafaccende per questioni delicate e di riguardo. E il professionista si sbatte come può. Trova subito qualcosa di interessante e importante al Gianicolo, il terrazzo di Roma. Ma la soluzione non è gradita al ministro. Quindi si rimette al lavoro. E’ fortunato. Le sorelle Barbara e Beatrice Papa vendono infatti in via del Fagutale 2 una magnifica casa di rappresentanza dal cui salone si tocca con la mano il Colosseo. Scajola gradisce. Comincia la trattativa e l’accordo si trova a 1 milione 700 mila euro.
Le due sorelle – come racconteranno candidamente alla Finanza durante una serie di interrogatori sostenuti dalla produzione di documenti che hanno gelosamente custodito – sono lusingate dall’acquirente e non stanno certo a discutere su modi e tempi del pagamento. Ricevono subito 200 mila euro in contanti dalle mani del ministro che – raccontano – dividono equamente a metà. Anche se, a fronte di quel pagamento, non sottoscrivono alcun contratto preliminare. O, se lo fanno, è una scrittura privata che, ad acquisto concluso, viene stracciata. L’architetto Angelo Zampolini è al corrente di quella prima tranche di contanti e, interrogato, sostiene di non essere stato lui a metterli a disposizione. “Ritengo fossero del ministro”, dice. E’ un fatto che, in vista del rogito, secondo uno schema collaudato, si mette invece in moto per confezionare, per conto di Anemone, lo strumento di pagamento in grado di non lasciare traccia del generoso contributo con cui il costruttore si prepara a rendere Scajola un felice padrone di casa.
Anemone – racconta Zampolini ai pm – gli consegna 900 mila euro in contanti che lui stesso porta all’agenzia 582 della “Deutsche bank” (dove ha un conto) perché vengano cambiati in 80 assegni circolari intestati alle due sorelle Papa. Ottanta, si badi bene. Non uno, non due, non tre. Ma ottanta. C’è una ragione in quella singolare richiesta di cambio. Gli assegni circolari devono avere importi inferiori ai 12 mila e 500 euro, soglia oltre la quale la banca è tenuta a segnalare l’operazione al circuito interbancario e alla Guardia di Finanza. Anemone e Zampolini sono infatti convinti che, in questo modo, nessuno andrà a ficcare mai il naso in quella operazione. Ma sbagliano. Alla “Deutsche”, evidentemente, trovano qualche funzionario pignolo che, in quel luglio di sei anni fa, vede in quella curiosa operazione di cambio quella che, tra gli addetti, si chiama “operazione sospetta di frazionamento”. E per questo la segnala al circuito interbancario. E’ il granello di sabbia che – oggi lo sappiamo – farà saltare più avanti l’intero “sistema Anemone”.
Zampolini, che ignora quale pasticcio abbia appena combinato, esce dunque dalla “Deutsche” con i 900 mila euro di Anemone trasformati in 80 assegni circolari e, il 6 luglio, quegli assegni sono nelle tasche di Scajola. Su questo punto, infatti, i ricordi delle sorelle Papa sono nitidi. E’ un giorno particolare. Si separano dalla casa di famiglia e, per giunta, il rogito si firma nell’ufficio del Ministro. Il notaio Gianluca Napoleone, che redige e convalida la compravendita, dà infatti atto oltre che della sua presenza, del solo Scajola e delle Papa. E’ il ministro che consegna gli assegni. “Tutti insieme”, ricordano le sorelle. Ottanta assegni della “Deutsche” per un valore di 900 mila euro e alcuni assegni del banca san Paolo Imi per 600 mila euro. Quest’ultimo – 600 mila – è il “prezzo in chiaro” della casa. Quello per cui il ministro ha acceso un regolare mutuo con il san Paolo. Il solo che deve comparire. Interrogato, il notaio Napoleone che, a stare al racconto delle sorelle Papa, sta autenticando una compravendita che non risponde alla realtà, si giustifica spiegando che, almeno alla sua presenza, quei 900 mila euro non vengono scambiati. E comunque che, in quel 2004, la legge non impediva ancora eventuali scritture private tra le parti che integrassero il prezzo dichiarato di vendita.
E’ un fatto che la sera del 6 luglio, l’affare è chiuso. Le due sorelle Papa, nei giorni successivi, verseranno sui propri conti bancari quella piccola fortuna in decine di assegni circolari di cui continuano a non comprendere la ragione, ma di cui non hanno azzardato di chiedere spiegazione. E’ l’ultima traccia che chiude il cerchio. Di quegli 80 assegni, ormai, è scritta la storia. Da cima, a fondo. Le impronte del ministro non possono essere più cancellate.
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Da Repubblica Intervista del 1 maggio 2010 di FRANCESCO BEI
“Mai preso un soldo per quella casa per Biagi lasciai, ora non lo faccio” Claudio Scajola
ROMA – “Non so né di assegni circolari, né di altri pagamenti diversi da quanto da me versato con il mutuo bancario per l’acquisto dell’appartamento in questione”. È la versione di Claudio Scajola, che accetta per la prima volta di rispondere alle domande di Repubblica sullo scandalo che lo vede da giorni nell’occhio del ciclone. Un’intervista in cui il ministro ammette di aver conosciuto l’imprenditore Diego Anemone al tempo in cui era ancora ministro dell’Interno, “perché una sua impresa stava effettuando dei lavori di messa in sicurezza dell’alloggio di servizio del Viminale”. Dell’architetto Angelo Zampolini, al contrario, si ricorda “poco”. “Era la persona a cui si era rivolto Angelo Balducci, che si era offerto di darmi una mano per cercare casa a Roma”. Ma sul punto centrale della questione nega decisamente ogni addebito: “Non ho mai ricevuto denaro da Anemone, da suoi intermediari o da chiunque altro”. È la questione decisiva, che lo vede coinvolto nell’inchiesta sui grandi appalti della procura di Perugia.
Scajola, prima di iniziare, ci tiene a mettere in chiaro di avere la coscienza a posto: “Rispondo alle vostre domande perché sono una persona corretta. Lo sono sempre stato, anche se oggi dicono il contrario”. Ministro Scajola, conosce l’imprenditore Diego Anemone?
“Ho conosciuto Anemone da ministro dell’Interno, perché una sua impresa stava effettuando dei lavori di messa in sicurezza dell’alloggio di servizio del ministero”.
E dell’architetto Angelo Zampolini che, secondo l’accusa, ricevette da Anemone i 900 mila euro per l’acquisto della sua abitazione, cosa ci può dire?
“Di Zampolini ricordo poco. Era la persona a cui si era rivolto Angelo Balducci, l’allora provveditore alle Opere pubbliche del Lazio, che si era offerto di darmi una mano per cercare casa a Roma, in un periodo in cui vivevo in albergo. Balducci… stiamo parlando di uno degli otto gentiluomini del Papa, non so se mi spiego”.
Le due proprietarie della casa che lei ha acquistato a Roma sostengono che lei abbia consegnato loro (oltre agli assegni suoi personali coperti da mutuo) 80 assegni circolari per 900 mila euro forniti proprio da Anemone. Cosa risponde?
Non conosco il contenuto delle dichiarazioni delle sorelle Papa al pubblico ministero. Ho letto solo delle ricostruzioni giornalistiche che sono tra l’altro contraddittorie tra loro”.
Quali contraddizioni ci sarebbero?
“Per esempio in un giornale si scrive che il notaio avrebbe confermato la presunta testimonianza delle due venditrici, mentre in un altro giornale si afferma che il notaio le avrebbe negate. In ogni caso, non so né di assegni circolari, né di altri pagamenti diversi da quanto da me versato con il mutuo bancario per l’acquisto dell’appartamento in questione”.
Bene, ma le sorelle Papa ricordano, al contrario, che fu lei in persona a portare i famosi ottanta assegni il giorno del rogito…
“Chi dice che sia stato a conoscenza o addirittura che sia stato il portatore di questi assegni il giorno del rogito, mente. Sono pronto ad un confronto faccia a faccia con chiunque insistesse con questa menzogna. E posso sin d’ora assicurare che farò tutti i passi necessari a tutela della mia onorabilità. Insisto: alla stesura del rogito ho pagato la somma pattuita di 610mila euro con mutuo acceso con il Banco di Napoli, questo è tutto”.
Quindi nega di aver mai avuto denaro da Anemone o da suoi intermediari?
“Voglio dirlo chiaro e forte: non ho mai ricevuto denaro da Anemone, da suoi intermediari o da chiunque altro”.
Lei dice da giorni di essere pronto a chiarire tutto con la magistratura. Perché allora non si è ancora presentato a rendere dichiarazioni?
“Ho proposto al magistrato un incontro a breve in una data compatibile con i miei impegni di governo. Io comunque non sono indagato: il pm ha chiesto di sentirmi come persona informata dei fatti”.
Ma non pensa di dover chiarire questa vicenda anche di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica?
“Non credo proprio di dover spiegare la mia posizione di fronte al Parlamento in una vicenda in cui, lo ribadisco, sono testimone e che presenta ancora troppi lati oscuri, in primo luogo per me”.
A proposito di questi presunti “lati oscuri”, lei sostiene di aver “pestato qualcosa di brutto”, qualcosa che le si sarebbe ritorto contro con questo scandalo. Pensa a una manovra politica? E chi sarebbe il manovratore?
“Ho detto che non sono un dietrologo e che spero proprio che, dietro questa vicenda, non ci siano “oscuri manovratori” o “disegni preordinati” contro di me o contro il Governo. È esattamente ciò che penso”.
Non crede che, di fronte ad accuse del genere, con testimonianze rese di fronte all’autorità giudiziaria, un ministro dovrebbe dimettersi?
“E perché dovrei dimettermi? Io sono una vittima di questa situazione! Chiedo io per primo che si faccia piena chiarezza perché ho la coscienza a posto e sono certo che non emergeranno responsabilità a mio carico. Per questo non farò come nel caso Biagi, non lascerò il governo. Altro che dimissioni! Sembrerei ammettere una colpa che non ho”.
Si dice tuttavia che lei abbia presentato le dimissioni a Berlusconi e che il presidente del Consiglio le abbia respinte. È vero?
“Sono stato da Berlusconi, a palazzo Grazioli, per informarlo di ciò che sapevo. Gli ho detto che sono totalmente estraneo a questa incomprensibile vicenda e mi sono rimesso alle sue decisioni”.
E il premier cosa le ha risposto?
“Mi ha chiesto di proseguire serenamente il mio lavoro. Cosa che farò, potete starne certi”.
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Da Repubblica del 1 maggio 2010 di CARLO BONINI
Un superteste contro Scajola coinvolti anche altri ministri
C’è un uomo che ha cominciato a raccontare i segreti del “sistema Anemone” e che ora, se possibile, trascina ancora più a fondo Claudio Scajola. In attesa che altri lo seguano. È l’uomo che, nel luglio 2004, consegna all’architetto Angelo Zampolini parte della provvista in contanti messa a disposizione dal costruttore Diego Anemone per l’acquisto della casa del ministro per lo Sviluppo Economico. E che, il 25 marzo scorso, ascoltato dai pm di Firenze, dice di sé e del mestiere nero che ha fatto per 15 anni: “Per conto di Diego Anemone e Angelo Balducci ho avuto, nel tempo, rapporti con soggetti importanti, alcuni dei quali ministri. A loro, per conto di Anemone e Balducci, consegnavo messaggi e buste”. Di quei ministri – per quel che Repubblica ha potuto verificare – fa per certo un nome: Pietro Lunardi, già responsabile delle Infrastrutture nel primo governo Berlusconi.
L’uomo è un cittadino tunisino e ha sposato un’italiana. Si chiama Laid Ben Fathi Hidri. La sua storia si affaccia un paio di mesi fa, con due lettere anonime (riprodotte in queste pagine), scritte in un corsivo rotondo, incerte nell’italiano. Una indirizzata a Repubblica, l’altra alla Procura di Firenze. Il mittente dice di essere un amico fraterno di Fathi. Tunisino come lui. E di Fathi racconta la vita difficile. Spiega che chi vuole arrivare al cuore dei segreti di Anemone e Balducci deve trovarlo e convincerlo a parlare. I carabinieri del Ros di Firenze lo individuano l’ultima settimana di marzo e lo accompagnano in Procura. Fathi è spaventato. “Convincerlo a raccontare è stato come cavare il dente di un elefante”, riferisce una fonte inquirente. Il tunisino comincia dall’inizio.
Fathi, un omone che supera il quintale, conosce Angelo Balducci a Roma, nel 1990. Lo incontra in un’agenzia immobiliare “Toscano” di via Salaria, dove lavora. E’ un colpo di fulmine e Fathi si ritrova tuttofare e autista personale di quel funzionario pubblico già potente, perché Provveditore delle Opere pubbliche del Lazio. Per dieci anni, i due sono inseparabili. “A Fathi non sembra vero”, chiosa l’amico nella lettera a Repubblica. Comincia a guadagnare bene, anche perché il suo stipendio – come annotano a verbale i pm di Firenze – “viene retribuito da imprese che lavorano negli appalti concessi da Balducci”. Nel 2000, l’incontro con Diego Anemone, che gli viene presentato da Balducci. “I due sembravano essere in società”, spiega Fathi ai pm. E i due gli fanno fare il salto definitivo. Scrive il suo amico a Repubblica: “Fathi diventa l’uomo di fiducia e il referente di tutti i contatti politici, di destra e di sinistra, per la distribuzione di tangenti. Compresi cardinali e prelati”. “Ha accesso alle agende personali di Anemone con migliaia di telefoni riservati”. E’ un fatto – lo accerta il Ros di Firenze e ne danno conto sia i pm di Firenze che quelli di Perugia – che Fathi ha delega a operare su alcuni conti bancari di Anemone, a cominciare da quelli della filiale della “Banca Marche” di via Romagna, dove la “cricca” ha uno dei suoi forzieri. Il suo lavoro è semplice. Lo spallone. Quando Anemone lo chiede, va in banca, preleva contante e lo consegna a chi gli viene indicato. Sono le famose “buste” di cui si dà atto nell’interrogatorio di Firenze. Con questo lavoro, Fathi sostiene di aver conosciuto ministri. Per dirne uno, Pietro Lunardi, allora alle Infrastrutture, che ha spesso incarico di raggiungere attraverso la figlia. Quello stesso Lunardi per il quale – come documentano le intercettazioni della Procura di Firenze – la “cricca” si sbatte per risolvere grane alla Corte dei Conti e a cui Anemone ristruttura la cascina di campagna.
È certo che, nel luglio 2004, è Fathi a consegnare in Largo Argentina 500 mila euro all’architetto Zampolini. Il tunisino ha prelevato quel denaro in una prima banca, per poi cambiarlo in banconote di grosso taglio in un secondo istituto, in via Monteleone. Fathi e Zampolini si conoscono (“Zampolini faceva operazioni immobiliari per conto di Balducci e Anemone con intestazione ad altre persone”, racconta Fathi ai magistrati). E, come confermerà lo stesso architetto ai pm di Perugia, non è la prima volta che si incontrano (“Il contante di Anemone che dovevo cambiare in assegni circolari – riferisce Zampolini durante il suo interrogatorio – mi veniva normalmente consegnato dalla sua segretaria, dai suoi autisti, o da tale Fathi”). Sappiamo ormai a cosa serviranno quei 500 mila euro. Finiranno alla Deutsche bank di Largo Argentina dove, insieme ad altri 400 mila saranno trasformati nei famosi 80 assegni per casa Scajola, come lo stesso Zampolini spiega a Fathi.
Per il tunisino è uno degli ultimi servizi. Nell’ottobre 2004, rompe con Balducci e Anemone. Gli hanno promesso che lo faranno direttore del “Salaria Sport village” (il centro massaggi di Anemone frequentato da Bertolaso), ma poi lo scaricano. Lui, allora, alleggerisce di 200 mila euro uno dei conti di Anemone e scappa in Tunisia. Balducci e Anemone non lo denunciano e lo cercano due anni, fino a quando non lo ritrovano in Italia. Balducci gli promette una nuova vita in Tunisia a occuparsi di ville e ristorazione. Anemone, al contrario, lo trascina in tribunale, dove Fathi patteggia una pena per “appropriazione indebita”. Ormai è irriconoscibile. Non arriva a 70 chili e si arrangia come può. Fino al giorno in cui, alla sua porta, non bussano i carabinieri del Ros e il suo passato.
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Da il Fatto Quotidiano del 1 maggio 2010
Nomine, mattoni e pale eoliche: il “sistema-Sciaboletta”
DA IMPERIA A ROMA: IL REGNO FAMILIARE DEL MINISTRO I CORSI UNIVERSITARI DELLA MOGLIE E LE OPERAZIONI NELL’EDILIZIA
di Pino Giglioli
“Da casa mia con un colpo d’occhio si cattura tutta Imperia”. Dice così Claudio Scajola. Usa proprio quella parola “cattura” che a molti fa storcere il naso, perché pare tradire uno stato d’animo profondo. Sembra confermare le accuse degli avversari: “Il ministro ha in mano Imperia e mezza Liguria”.
La Villa di Scajola dice tanto del suo proprietario. Roba da rivaleggiare con villa Certosa. La casa come simbolo, a cominciare dalla posizione, dominante, sulla città. Gli imperiesi guardano in alto e sanno che il potere a Imperia abita lassù dove il Cavaliere è passato tante volte. Le decisioni si prendono in questa villa del 1870, costruita dagli antenati di Maria Teresa, un nome da regina per la moglie di Scajola. Una casa da sovrano, appunto. A cominciare dal giardino, dalla collezione di piante rare. “Berlusconi ha la passione dei cactus, io quella delle piante tropicali”, racconta “u ministru”, come lo chiamano qui (a Roma invece con meno timore reverenziale è semplicemente “sciaboletta”) . All’interno sale e saloni tirati a lucido che sembrano usciti da una rivista di architettura. Per non dire del garage con auto e moto d’epoca, l’altra grande passione: ecco la Moto Guzzi V7 con cui Scajola scorrazzava con la moglie, oppure la Jeep Willys originale della guerra. “Ci ho messo 18 mesi per restaurarla, perché io amo le cose che funzionano”, chiosa il ministro. Fino alla Triumph verde su cui partecipa ai raduni. Insomma, una casa segno di buon gusto, ma anche di ricchezza e potere. Il curriculum del ministro parte da qui: fu sindaco di Imperia e parlamentare Dc. Un democristiano, ma con modi per nulla felpati. Sindacalisti, politici o cronisti, chi lo critica ha vita dura. Come quella volta che replicò alle accuse di Claudio Porchia, allora segretario provinciale della Cgil: “Caro signor Porchia, non sei il sindaco di Imperia, sei il capo di un gruppo parassitario che non conta un tubo e non prende un voto”. Punto.
Ma questa è storia nota. Il potere scajoliano in Liguria si basa su una rete capillare, dove famiglia, politica e affari si intrecciano. Comuni, enti, società, non c’è stanza dei bottoni dove il clan non abbia un suo rappresentante.
Ecco allora Alessandro che ripercorre le orme del fratello Claudio: prima sindaco di Imperia, poi segretario generale della Camera di Commercio cittadina, ma soprattutto oggi vicepresidente del cda della Carige, la banca che tiene le redini dell’economia ligure. Uno degli istituti che appoggiarono le scalate dei furbetti del quartierino. Alessandro è stato anche vicepresidente della Autofiori, la società che gestisce le autostrade del Ponente ligure. Ma i fratelli Scajola sono parecchi: Maurizio, ex segretario generale della Camera di Commercio di Savona è attuale segretario generale di Unioncamere Liguria. Gli Scajola, però, guardano avanti. Preparano il terreno per le nuove generazioni. Così Marco (figlio di Alessandro), che ormai tutti nella Riviera dei Fiori chiamano “il nipote”, è vicesindaco di Imperia. Non solo: è stato eletto consigliere regionale nel 2010. Con il record di preferenze, perché, va detto, nel Ponente ligure pochi mettono in discussione lo strapotere degli Scajola. Anzi, molti li appoggiano e li votano, anche tra cronisti e caporedattori dei giornali. E quando Marco Preve sull’Espresso ha raccontato degli incarichi ottenuti da Maria Teresa Verda (moglie) e Maurizio Scajola (fratello) che tengono corsi universitari in un ateneo in crisi nera, la notizia è stata liquidata con un’alzata di spalle. Intanto 17 studenti su 26 del corso della signora Scajola godono di borse di studio offerte da Promuovitalia e Invitalia, agenzie legate al ministero per lo Sviluppo economico.