Codice di procedura incivile. Le carenze degli uffici giudiziari.
Stampa questo articoloda Left n.4 del 29 gennaio 2010.
Sono migliaia gli invisibili impiegati negli uffici giudiziari italiani. Lasciati allo sbando, senza ricambio generazionale e con compiti sempre più pesanti. Il 5 febbraio scendono in piazza
di Donatella Coccoli
«Sa come lo chiamo? Il lento dissolvimento della giustizia». La voce, con un caldo accento napoletano, di Pina Todisco si ferma un attimo, come un segno di rispetto per quel che resta del complesso universo dell’amministrazione della giustizia. È di questi giorni il disegno di legge del cosiddetto “processo breve” approvato al Senato e adesso in via di discussione. L’ultimo di una lunga serie di provvedimenti che più o meno dal 1995, dagli anni successivi a “Mani pulite”, cioè, stanno portando allo sbriciolamento del sistema che deve garantire la giustizia a tutti i cittadini. Un’operazione che coinvolge anche i governi di centrosinistra, un’operazione «trasversale, parlano i fatti», afferma seccamente Pina Todisco, sindacalista delle Rdb, cancelliere con 35 anni di attività alle spalle, appena uscita da un’assemblea al Tribunale di Roma in vista dello sciopero nazionale del 5 febbraio.
I lavoratori degli uffici giudiziari sono un popolo di invisibili. Non compaiono nelle cronache dei giornali, né tantomeno nei talk show televisivi. Eppure, queste migliaia tra cancellieri e operatori sono quelli che fanno celebrare i processi e danno esecuzione alle sentenze. Per questo motivo sono la cartina di tornasole che fa vedere lo sfascio della giustizia in Italia. Pina Todisco lo riassume così: «Questi la giustizia non la vogliono far funzionare. Non l’hanno mai voluta far funzionare. E oggi più che mai».
Vediamo come. «Non c’è un ricambio generazionale – racconta Pina – la maggior parte di noi, l’80-85 per cento, è sopra i cinquant’anni. I giovani sono i quarantenni entrati con l’ultimo concorso del ’96». Delle 53mila unità di vent’anni fa, si è scesi a 41mila. Pina Todisco di fatti da raccontare ne ha molti. «Nel ’73 ho vinto il concorso e da Napoli sono andata a Pordenone, ho fatto tanti processi importanti, mi è toccato anche quello per il disastro del Vajont. Mi è capitato di lavorare anche fino all’una di notte. Con uno straordinario che a quei tempi era di 350 lire all’ora. Ho dato l’anima. E con me molti altri». Come accade spesso nel settore del pubblico impiego si assiste a una sottile perversione dello Stato che non valorizza, anzi, arriva a mortificare i suoi dipendenti (Brunetta docet). «Si arriva all’assurdo – continua Pina – che fanno le leggi e noi le conosciamo attraverso il Sole 24 Ore! Non solo non siamo formati ma nemmeno informati. Sia con la riforma del Codice di procedura penale, sia con il giudice unico, che con il giudice di pace, e anche per le espulsioni degli stranieri, è successo che abbiamo preso le carte in mano e ci siamo arrangiati da soli».
Ormai la situazione negli uffici giudiziari è insostenibile. «Non siamo in grado – spiega Pina Todisco – di reggere l’impatto con i carichi di lavoro sempre più pressanti. Accade così che nei grossi centri si cerca di mettere pezze da tutte le parti. Che so, si sposta una persona da Tivoli a Civitavecchia, per 15 giorni, poi un’altra per un giorno da Ostia a Tivoli. Tutto un movimento. Un mio collega mi ha raccontato che a Napoli ci sono tremila applicazioni, cioè tremila movimenti, che poi riguardano 100-200 persone in un anno».
Ma il problema è più generale. Non sarebbe meglio depenalizzare tanti reati? «È quello che noi suggeriamo – risponde la sindacalista Rdb -. I primi anni a Pordenone ho fatto un processo che non scorderò mai. Un processo per un cane, due che se lo contendevano. Qua bisogna snellire, è chiaro, certi reati vanno depenalizzati. In questo Paese per ogni sciocchezza si ricorre al giudice. Troviamo la soluzione, noi abbiamo la possibilità di far funzionare bene questo fondamentale servizio che va garantito al cittadino. E lo possiamo fare investendo in risorse e in persone, e poi possiamo parlare di organizzazione del lavoro. Il ministro Alfano non mi può venire a dire del processo telematico quando solo lo 0,04 ha raggiunto il processo telematico, cioè quattro uffici. Non si possono fare proclami quando gli uffici giudiziari versano in condizioni disastrose». E poi ci sono le esternalizzazioni, i lavori appaltati fuori dagli uffici. Come il caso di Equitalia per il recupero crediti. «Mi chiedo perché ne abbiamo bisogno. Comunque io faccio tutto il lavoro preparatorio per Equitalia, che ha il compito solo di introitare. Ma perché dobbiamo pagare una società con una percentuale (al 10 per cento) che invece potrebbe rimanere all’interno? La stessa cosa vale per l’informatizzazione, che viene fatta da esterni». E non è solo una questione di risparmio, le ditte esterne manipolano dati giudiziari che sono dati sensibili e un rischio c’è sempre. «Nel Tribunale di Roma – racconta Pina Todisco – l’Abi ha messo a disposizione una serie di strutture con personale. Ma l’Abi, che sta dentro gli uffici che fanno le esecuzioni immobiliari, in molti casi è la controparte». Per ultimo chiediamo a Pina cosa pensa della separazione delle carriere. «Per me, come cittadina, è importante che la magistratura sia indipendente, non può dipendere dal potere politico». E i magistrati in politica? «Non lo condivido, è come se utilizzassi il mio mestiere per fare altro. Oggi in Italia ci sarebbe bisogno di politici veri. Oggi comandano i poteri forti». Un esempio? «Quello che ruba la mela va in galera mentre c’è gente con capitali all’estero e il falso in bilancio depenalizzato. Sono storture che non stanno né in cielo né in terra».
29 gennaio 2010