La Cassazione conferma gli ergastoli ai casalesi.
Stampa questo articoloNapoli. A quindici anni dal primo blitz contro i Casalesi cala il sipario su Spartacus, il maxiprocesso contro la più potente cosca della camorra.
Stasera la prima sezione della Corte di Cassazione, dopo una camera di consiglio di quattro ore, ha emesso il suo verdetto. Una sentenza che non fa sconti e che chiude una pagina tra le più cruente della storia criminale del nostro Paese. Diventano così definitivi i 16 ergastoli inflitti a boss e luogotenenti: Francesco Schiavone, detto Sandokan, il capo indiscusso, il suo (ormai ex) braccio destro Francesco Bidognetti, soprannominato Cicciotto è mezzanotte, e i due boss latitanti che avrebbero acquisito in questi anni il ruolo di reggenti dell’organizzazione, ovvero Antonio Iovine e quel Michele Zagaria che si fece costruire la villa sul modello di quella di Scarface interpretato da Al Pacino. Il processo Spartacus, dal nome dello schiavo che capeggiò la rivolta contro l’Impero romano e che nelle intenzioni dagli inquirenti Antimafia doveva simboleggiare la ribellione allo strapotere della cosca, racconta soprattutto una lunga catena di omicidi avvenuti tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Delitti, spesso portati a termine con la tecnica della lupara bianca, compiuti allo scopo di acquisire il potere all’interno del clan, rimarcare il predominio nella gestione degli affari illeciti e ridurre alla ragione quegli alleati che aspiravano ad accrescere il proprio ruolo entrando in conflitto con i capi storici. L’inchiesta dalla quale è scaturito il dibattimento, sulla scorta delle rivelazioni di diversi pentiti tra i quali Carmine Schiavone, ha consentito di svelare i segreti della potente cosca: si parte dal momento cruciale che è l’eliminazione del capo carismatico, Antonio Bardellino, ucciso in un agguato in Brasile (il cadavere non è stato mai ritrovato) e si prosegue con l’ascesa ai vertici dell’organizzazione del gruppo capeggiato da Francesco Schiavone, noto come Sandokan e con il successivo conflitto con le fazioni che tentavano di ostacolare il predominio dei camorristi di Casal di Principe, come i De Falco e i La Torre. Scontri generati dall’obiettivo di esercitare il controllo degli affari illegali gestiti da quella che è stata definita «camorra imprenditrice», che converte cioè in attività apparentemente lecite (come l’edilizia e il commercio del calcestruzzo) i proventi delle estorsioni e altri reati. Un processo che ha incontrato non pochi ostacoli: il solo dibattimento di primo grado, davanti ai giudici della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, è durato sette anni. Gli ergastoli sono stati confermati dalla Corte di Cassazione, che ha accolto le richieste del pg Mario Fraticelli anche nei confronti di Giuseppe Caterino, Mario Caterino (latitante), Cipriano D’Alessandro, Giuseppe Diana (latitante), Enrico Martinelli, Sebastiano Panaro, Giuseppe Diana, Francesco Schiavone, detto ‘Cicciariellò, Walter Schiavone, Luigi Venosa, Vincenzo Zagaria e Alfredo Zara. Il processo riguardava varie accuse tra cui associazione mafiosa, omicidio, porto abusivo d’armi e estorsione, tutte confermate dal verdetto della Suprema Corte. I Casalesi incassano oggi una pesante sconfitta, ma la partita per l’affermazione della legalità nel Casertano non è affatto chiusa. Negli ultimi tempi infatti la cosca, decimata dagli arresti e dalla decisione di collaborare con la giustizia di altri boss e gregari, appare in cerca di nuovi equilibri ma non affatto rassegnata a deporre le armi. Per decenni le attività di questo clan, dalla struttura e dalla mentalità più mafiosa che camorristica (che preferiva agire sotto traccia rinunciando per quanto possibile ad azioni eclatanti, tipiche invece della fazione stragista di Giuseppe Setola, anch’egli finito in manette), sono state gestite al riparo dai «riflettori». L’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sui Casalesi si è accesa improvvisamente solo in seguito al successo planetario del libro «Gomorra» di Roberto Saviano, in cui le imprese criminali del clan costituiscono il fulcro della narrazione.
ANSA