Anche il Pd contro i giudici
Stampa questo articoloDa Il Fatto Quotidiano del 15 gennaio 2010
Destra e sinistra firmano insieme un’interrogazione: “L’inchiesta su Del Turco ha violato la Costituzione”
Inchiesta bipartisan. Assoluzione preventiva bipartisan. Stringiamoci a coorte: la casta chiamò. Il nemico comune, neanche a dirlo, è la magistratura.
L’inchiesta della Procura della Repubblica di Pescara, che il 14 luglio del 2008 ha portato in carcere il presidente in carica della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, con l’accusa di aver intascato tangenti della sanità per cinque milioni di euro, vede coinvolti anche esponenti del centrodestra, come il deputato del Pdl Sabatino Aracu.
E in attesa che il gup valuti la richiesta di rinvio a giudizio e che un giudice emetta una sentenza di assoluzione o di colpevolezza, arriva un’interrogazione parlamentare bipartisan firmata appunto da senatori del Partito democratico come Franca Chiaromonte, Pietro Marcenaro, Adriano Musi, Luciana Sbarbati, e da senatori del Pdl come Luigi Compagna, Ombretta Colli, Antonino Caruso, Diana De Feo, Marcello Pera e Vincenzo Fasano.
L’interrogazione. Chiedono al ministro della Giustizia se siano stati “violati diritti costituzionali individuali e se lo svolgimento della vita democratica della regione non sia stato irrimediabilmente compromesso dai comportamenti della magistratura”. E terminano con la seguente domanda: “Come si può impedire in futuro il ripetersi di inchieste tanto palesemente disancorate al rispetto delle norme costituzionali in termini di diritti individuali?”.
Senatori della Repubblica che dovrebbero avere cognizione della pericolosità delle parole utilizzate, che minano nelle fondamenta la credibilità dell’azione della magistratura e il principio della separazione dei poteri.
Così come dovrebbero sapere che chiedere al ministro della Giustizia di svolgere attività ispettiva sul processo in corso comporta una vera e propria azione intimidatoria nei confronti del giudice che dovrà decidere sull’esito della richiesta di rinvio a giudizio.
Ma a loro discolpa gioca la condivisione dell’assunto berlusconiano che chi, come lui – e Del Turco – è stato eletto dal popolo non può e non deve essere sottoposto alla legge. Così come non stupisce che tra i firmatari ci sia anche una delle due artefici del “lodino” Chiaromonte-Compagna che in attesa del “lodone” rende immuni dal rispetto della legge i presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera e del Senato. E’ un vero peccato però che nella stesura abbiano dimenticato i presidenti di regione.
La stampa. Quello su cui dovrebbero interrogarsi quei poveri illusi che credono ancora di vivere in uno Stato di diritto in cui la legge è uguale per tutti è la tempistica degli attacchi ai magistrati di Pescara in attesa che il gup esamini la loro richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Del Turco, iniziata da una settimana sulla stampa e ora sfociata in un’interrogazione parlamentare che arriva ad attribuire la responsabilità della caduta della giunta abruzzese alla magistratura che ha indagato e arrestato il presidente e non a chi avrebbe intascato tangenti.
Fin qui la politica. Ora passiamo ai fatti. Primo fra questi è che Del Turco, una volta finito in carcere, non ha impugnato il provvedimento di custodia cautelare – come era suo diritto – rivolgendosi al Tribunale della Libertà che ha respinto il ricorso degli altri arrestati, definendo il grande accusatore Vincenzo Angelini “attendibile”.
Le case. Il secondo fatto è che Del Turco non si è opposto al provvedimento di sequestro, avvenuto il 28 luglio del 2009, delle due case di Roma e Sardegna, che secondo i pm sono state acquistate con 600 mila euro frutto di tangenti versategli dal re della sanità privata abruzzese Angelini. Soldi che Del Turco ha consegnato in contanti alla sua compagna, Cristina D’Avanzo, che a sua volta li ha utilizzati per acquistare le due case. Dagli accertamenti patrimoniali non è risultata alcuna disponibilità della signora che legittimasse una simile spesa. Ma sia Del Turco sia la sua compagna dinanzi ai magistrati non hanno voluto rivelare la provenienza di quei 600 mila euro avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Il procuratore. Terzo fatto è che gli avvocati difensori di Del Turco ricevuto l’avviso della conclusione delle indagini non hanno chiesto ulteriori indagini, non hanno esibito né documenti né memorie, né hanno chiesto, alla luce degli atti acquisiti, che il loro assistito venisse interrogato.
Il procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi non commenta l’interrogazione parlamentare, alza le spalle con disarmante arrendevolezza, come dire: se non dobbiamo più perseguire reati basta che ce lo dicano e cambieremo mestiere.