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Adda venì Capacchione: una indagine del PM Antonio Clemente (prima a Napoli ora a Benevento)

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copertina-la-voceLa Voce delle Voci  [08/09/2009] di Andrea Cinquegrani

Affari per centinaia di milioni di euro. Progetti per realizzare palazzoni di edilizia residenziale e centri commerciali nella zona orientale di Napoli. Stravolgimento dei piani urbanistici territoriali. Maxi transazioni con l’estero, tramite i piu’ accorsati paradisi fiscali, dalla Svizzera al Lussemburgo, passando fin nel Venezuela e strani personaggi.
Di tutto e di piu’ in un’inchiesta da novanta avviata cinque anni fa dalla procura di Napoli (su imput delle Fiamme gialle di Caserta), poi in parte passata a Roma e quindi a Perugia. E ora arrivata alla battute decisive, con la prima udienza fissata all’undicesima sezione penale del tribunale partenopeo, presieduta da Carmelo Barbuto, per il 10 ottobre prossimo. Sul banco degli imputati vip del mattone partenopeo, politici che popolano la fauna del consiglio comunale di Napoli, funzionari e amministratori ministeriali (Attivita’ produttive) e locali, brasseur d’affari. «Un altro caso Romeo, un’altra Global service fino ad oggi passata sotto traccia, nel piu’ totale silenzio dei media – osserva piu’ d’una toga a palazzo di giustizia – emblematica dello stato ormai comatoso, e da anni, delle istitizioni pubbliche e di un’imprenditoria che ha sempre vissuto di favori e soldi pubblici, in cambio di supermazzette e posti di lavoro. Il solito modo, ma sempre piu’ scientifico, di gestire il danaro pubblico nel dopo tangentopoli…».
Primattore il quarantottenne Salvatore Capacchione, definito dagli inquirenti «promotore e organizzatore del sodalizio» a base di milioni e mattoni. Sua sorella, Rosaria, e’ la giornalista-coraggio del Mattino, pluriminacciata dal clan dei Casalesi, candidata mancata per il Pd alle ultime europee. Il padre, Francesco, e’ stato per anni (’70 e inizio ’80) al vertice del colosso Confcooperative in Campania e di una sfilza di sigle fantasma, come ad esempio Fincacoop, specializzata – scriveva la Voce nel 1978 – nel prestare ai soci garanzie inesistenti pagate a suon di 8 per cento. Ed e’ finito in galera, Capacchione senior, per lo scandalo delle coop di detenuti scoppiato negli anni ’80 a Napoli e dintorni.

SBARRE e MATTONI
A quanto pare il rampollo, Salvatore, ha pensato bene di seguire le orme paterne, dal momento che tutto parte da un mega affare immobiliare alle porte orientali di Napoli – nella zona di Ponticelli – gestito trent’anni fa da un colosso chiamato Irec, poi fallito, e da un altro consorzio di cooperative bianche, Concab, titolari di uno strategico ‘diritto ad edificare nella zona di Napoli, comprensorio di Ponticelli, destinata allo sviluppo dell’edilizia residenziale pubblica e convenzionata’, come dettagliano gli inquirenti, cui poi si e’ aggiunto, anni dopo, il business dei centri commerciali.
L’inchiesta parte nel 2002 e va avanti per due anni, su impulso dei pm della procura di Napoli Walter Brunetti e Antonio Clemente, i quali setacciano carte e documenti societari, verbali del consiglio comunale di Napoli, effettuano intercettazioni, avviano rogatorie internazionali. E si allarga a tal punto da partorire un troncone romano: al centro di queste indagini, il reato di bancarotta per lo stesso Capacchione per via di una societa’ prima fallita, poi magicamente rinata. E alla fallimentare di Roma e’ impegnato – a quel tempo – Vincenzo Vitalone, figlio dell’andreottiano di ferro Claudio, ottimo amico di Gianni Letta e del vicesindaco di Roma Maurizio Cutrufo (vedi Voce di giugno sull’inchiesta della procura di Potenza a carico di Letta e C.). Non finisce qui, perche’ la nuova patata bollente viene dirottata a Perugia, dal momento che «la procura di Roma – spiegano i pm Brunetti e Clemente – rilevata una anomala cointeressenza del giudice delegato Vincenzo Vitalone nella procedura fallimentare oggetto di indagini concernenti una societa’ gestita dal Capacchione, disponeva l’inoltro degli atti al pm di Perugia ex articolo 11 cpc. A seguito delle indagini svolte dal pm di Perugia, il gip del capoluogo umbro adottava nei confronti del Capacchione e di altri indagati misure cautelari personali, eseguite del dicembre del 2004, provvedimenti su cui si formava un giudicato cautelare per effetto della conferma dal parte del tribunale del Riesame e della Cassazione». Un’altra patata bollente, dunque, in quel di Perugia per Capacchione e la sua band, su cui sono puntati i riflettori del pm Sergio Sottani.
Insomma, un vero e proprio ginepraio. Ma torniamo a Napoli, dove sta per partire il processo sui mega affari immobiliari in una delle piu’ appetibili zone di Napoli, quella est, appena baciata dalla bea bendata per essere rientrata nello strettissimo numero delle zone franche (22 in tutta Italia) appena varate dal governo (i residenti non pagano tasse di alcun tipo per cinque anni, una manna per imprese e, in zone a rischio, per la camorra spa che fa man bassa di terreni e fabbricati).
«Scopo essenziale del sodalizio targato Capacchione – c’e’ chi spiega a palazzo San Giacomo, sede del comune di Napoli – era quello di riuscire a far passare quelle vecchie concessioni intestate a societa’ fallite, ad altre sigle di comodo, e a recuperare crediti per milioni di euro con disinvoltura, perche’ tutti sanno quanto e’ difficile per le imprese farsi pagare dagli enti locali, soprattutto al Sud. Hanno quindi creato, grazie al supporto di alcuni politici e funzionari compiacenti, un grosso danno alle casse comunali. Ma anche regionali e ministeriali».
Alla voce ‘reati’ dettagliati dai pm Brunetta e Clelia Mancuso (subentrata a Clemente, passato alla procura di Benevento), per il primo della lista, Capacchione, fanno spicco tutta una serie di societa’: oltre ad Irec e Concab, Consulcoop e Edremit Italia srl (in prima fila nella realizzazione del maxi centro commerciale Ipercoop); seguono a ruota le cooperative a responsabilita’ limitata Arno, Reno, San Ciro, Irec 812 (per dire, la fantasia), la Parmense, «cooperative esistenti solo sulla carta – scrivono i due pm nella loro richiesta di rinvio a giudizio – costituite tutte al fine di tentare il subentro nelle dette situazioni giuridiche soggettive gia’ vantate dal fallito consorzio Irec afferente la realizzazione di immobili di edilizia economica popolare»; e ancora, Floriana 2, Faro e Torre 2000, «costitute al fine di conseguire indebiti vantaggi ai danni della Regione Campania e di enti pubblici locali di detta regione».
Sul banco degli imputati anche il braccio destro di Capacchione, Pasquale De Maio, l’avvocato-consulente Roberto Landolfi «direttamente coinvolto nelle prassi corruttive per far conseguire al sodalizio indebiti vantaggi» e l’amico imprenditore Silvio De Simone, presenza ovunque nella ragnatela d’interessi del gruppo. Tra i politici rinviati a giudizio un pokerissimo perfettamente bipartizan: i tre ex consiglieri comunali di Forza Italia Antonio Funaro (fratello dell’ex dc Pietro, braccio destro di mister centomila Alfredo Vito), Umberto Minopoli (molto legato all’ex Idv Sergio De Gregorio), Pietro Mastranzo (mitico il cambio vocalico presso l’anagrafe di una dozzina d’anni fa), il diessino Giuseppe Russo e Saverio Cilenti della Margherita: i primi per non opporsi, o per ‘far finta di opporsi’. Insomma, un patto di ferro superconsociativo, in nome del dio mattone. Nelle fittissime pagine dell’inchiesta fa capolino una sigla storica del cemento in Campania, Icar, passata anni fa dal gruppo dell’ex re del mattone Eugenio Cabib a quello di Marilu’ Faraone Mennella, consorte dell’ex numero uno di Confindustria Antonio D’Amato e impegnata anche in altri business strategici in Campania, sanita’ e acqua.

PARADISI e MILIONI
Di grosso rilievo, e di forte peso economico, le transazioni estere e le operazioni in svariati paradisi fiscali. Tutto parte da una scoperta delle Fiamme gialle a febbraio 2001: nel corso di una perquisizione presso la sede casertana di Predia (altra sigla nell’arcipelago di Capacchione, attraverso il prestanome Leonardo Cocco) salta fuori una cartella intestata ‘personale Capa’ in cui sono raccolte carte che scottano: in particolare, gli estremi di un conto corrente acceso presso la svizzera UBS e intestato all’avvocato zurighese Bruno Becchio; la minuta di una lettera indirizzata allo stesso Becchio, «presumibilmente scritta dall’amministratore unico dell’Auriga spa, societa’ riconducibile a Capacchione. In tale missiva – scrivono gli inquirenti – vi e’ riferimento ad un contratto di associazione in partecipazione e all’acquisto di crediti vantati dal consorzio Conacal nei confronti del comune di Napoli, per effetto di un contratto di cessione di credito a favore della Auriga spa», grazie al quale palazzo San Giacomo ha versato ad Auriga 3 miliardi e 390 milioni di vecchie lire.
Non basta, perche’ viene scoperto che Auriga e Praedia hanno presto partorito nell’accogliente lussemburgo, dando vita a societa’ fiduciarie e anonime (Auriga Holding s.a. e Praedia Holding s.a.) «i cui conti erano destinati a movimentare per l’investimento in Lussemburgo le somme risultanti dalla cessione a favore dell’Auriga spa di crediti vantati verso il comune di Napoli dalle societa’ riconducibili a Capacchione». Interrogato dai finanzieri, Becchio ha dichiarato che nel corso del primo incontro a Zurigo «Capacchione gli manifesto’ la sua intenzione di realizzare importanti e significative transazioni immobiliari che intendeva trasferire all’estero e piu’ precisamente in Lussemburgo»; che «lo scopo era quello di far passare quanti piu’ beni patrimoniali possibile alle societa’ lussemburghesi e il meno possibile all’Auriga spa»; «di aver appreso attraverso l’avv. Cocco Leonardo che l’operazione era riferita ad un affare da 13 miliardi di lire».
Nella lunga e minuziosa verbalizzazione di Becchio fanno capolino svariate altre sigle, istituti di credito e paradisi off shore. Fior tra fiori. Un conto acceso presso l’ennesima banca elvetica, la Basler Cantonal Bank di Zurigo; i frequenti rapporti d’affari con la Banca Commerciale Italiana, sede sempre a Zurigo, dove fra l’altro e’ titolare di un conto la fondazione ‘amica’ Unkaba, creata a Vaduz.
Altre operazioni poi transitano attraverso un funzionario della Banca Internazionale di Lussemburgo (oggi Dexia), Cristoph Cosmann; e ancora, in Germania pensano bene di costituire la misteriosa OHB Handels und Beteiligungs, testa di ponte con Italia e Lussemburgo.
Ciliegina sulla torta, i paesi sudamericani. Una sigla panamense, Birka Securities Incorporation, intreccia spesso e volentieri i suoi destini con quelli di Praedia Holding s.a., «attraverso contratti di cessione». Ma e’ sull’asse Caserta-Caracas che e’ possibile effettuare una scoperta da novanta: nel corso di un’altra perquisizione nell’abitazione di Capacchione, gli 007 scoprono una certificazione rilasciata dal ‘Ministero de Justicia Registro Mercantil Primero della Repubblica de Venezuela’ e relativa alla societa’ Inversiones 1996 Bankauriga I.A.B.I., C.A. 18 x 10. Sembra un perfetto codice segreto, in realta’ si tratta di una societa’ messa su nel ’96 da Capacchione e da Panfilo Di Nello (il primo mattatore con 998 quote su 1000). Documenti utili, secondo gli inquirenti «a provare ulteriormente il complesso e misterioso intreccio di relazioni facenti capo al Capacchione».
Andando piu’ a fondo, i pm partenopei entrano in contatto con gli inquirenti venezuelani. Ecco che cosa scrivono: «L’autorita’ giudiziaria del Venezuela rispondeva che Panfilo Di Nello, cittadino italiano, naturalizzato venezuelano, era stato assassinato con colpi d’arma da fuoco in Caracas il 15 giugno 1997 e che la societa’ Inversiones 1996 era una societa’ immobiliare anonima».

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