La verità sulle stragi del ’92 e del ’93, intervista all’avvocato Cianferoni
Stampa questo articolodi Giorgio Bongiovanni – 22 luglio 2009- Antimafiaduemila
Alla luce delle recenti dichiarazioni del capo di Cosa Nostra Salvatore Riina circa la strage di via D’Amelio e il presunto ruolo dei servizi segreti, vi riproponiamo l’intervista che il suo difensore, l’avvocato Luca Cianferoni, mi ha rilasciato il 7 aprile 2008.
Siamo infatti convinti che possa essere molto utile nella comprensione delle esternazioni di Riina e delle sue finalità.
Parla l’avvocato di Riina, Luca Cianferoni in un’intervista esclusiva al direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni
Avvocato Cianferoni quale relazione sussiste tra le stragi del ’92 e del ’93?
A mio avviso vi sono differenze sostanziali tra le due stagioni stragiste. La vicenda Falcone ad esempio ha una sua specificità strettamente siciliana e proprio questa specificità decresce man mano che ci si avvicina agli episodi continentali. Dallo studio degli atti mi sono convinto che il contesto del ’93 sia molto diverso rispetto a quello del ’92.
Vi è poi un dato processuale, quello per cui è stata negata la continuità con i fatti del ’92, che esclude completamente la consequenzialità dei due disegni criminosi. E sebbene Riina fosse già in carcere all’epoca delle bombe del ’93 gli viene imputata la responsabilità in quanto, secondo la Corte, egli era il capo assoluto di Cosa Nostra quindi causa causae est causa causatis. Tuttavia, in concreto, come si arriva alle stragi e quale sia il percorso decisionale non viene spiegato.
Beh ma anche le stragi del ’92, secondo i documenti, hanno una forte connotazione eversiva.
Sì ma le differenze sono enormi. Le stragi Falcone e Borsellino che comunque presentano già tra loro grosse diversità, erano comunque contra personam, queste sono dirette ad edifici, sono un messaggio. Che a mio avviso non è diretto allo Stato, ma viene da un potere ed è indirizzato ad un altro potere.
Prendiamo in esame un aspetto che a mio avviso non è stato sufficientemente investigato: lo schema operativo. Non si organizza una strage di questo tipo in soli 5 mesi.
Questi sono delitti che si tirano fuori dal cassetto, già pronti, e si organizzano in 10 giorni perché si conoscono perfettamente le procedure e anche gli effetti destabilizzanti che creano. Sistemi che sono stati utilizzati per decenni nel conflitto tra “partito azzurro” e “partito arancione” quando si ricorreva alla guerriglia per arginare l’avanzata comunista. Si estrae dal cassetto ciò che serve.
All’inizio degli anni Novanta stava per sovvertirsi il sistema.
Partiamo da questa ipotesi che non è mai stata contestata dal mio cliente, sebbene nemmeno l’abbia avallata.
Vi è una concorrenza di forze che hanno interesse a incidere in maniera eversiva sul tessuto nazionale in quel preciso momento storico. Cosa Nostra per la questione del 41 bis, i servizi segreti civili per i problemi che hanno, per stare sulle generali, in quel momento storico; il mondo imprenditoriale politico e la massoneria la quale, io credo, non sia assolutamente da demonizzare nella sua interezza, anzi penso che rappresenti un momento intellettuale altissimo visto l’attuale oscurantismo in cui viviamo, ma che storicamente, in quel momento storico, soffriva di pesanti infiltrazioni negative. E’ in questo contesto, che va inserita quella dichiarazione di Craxi in un’intervista a Panorama: “Me ne vado perché ci aspetta una stagione di bombe”. E purtroppo i fatti gli dettero ragione a brevissimo.
I collaboratori di giustizia tra cui Brusca suggeriscono che si è voluta continuare la trattativa.
A mio avviso nelle carte processuali vi sono dei riferimenti, oserei dire, abbastanza ridicoli. Quando Brusca riferisce che erano in minoranza a voler fare queste stragi, che abbiano deciso gli obiettivi scegliendoli sull’atlante…
Ora, il mio cliente, Salvatore Riina, che è imputato in due differenti procedimenti: uno per cui la sua posizione era stralciata assieme a Graviano Giuseppe per problemi di pendenze, l’altro nato da un vizio procedurale del precedente (si annulla la prima sentenza solo sulla vicenda Olimpico), durante il processo, che viene riaperto nel 2004 proprio sui fatti del ’93 e sul mancato attentato, rilascia quelle famose dichiarazioni spontanee in cui ricordando che l’allora Ministro Mancino aveva preannunciato la sua prossima cattura suggerisce: “Sono stato venduto?”
Quindi se i magistrati cercavano un atteggiamento collaborativo, questo non appartiene alla figura dell’imputato che io conosco e difendo, se invece ci si vuole accostare a questi eventi come interpreti storici, anche perché, seppur pochi, questi anni che sono trascorsi, al ritmo di vita cui viviamo oggi, sono abbastanza per fare delle analisi, si comprende che Riina ha assunto una posizione piuttosto chiara, no?
Cioè?
Cioè Riina dice: “io con questi fatti del ’93 non ho nulla a che spartire e, per quanto apprendo da questo processo (le dichiarazioni di Brusca sulla trattativa ecc..) e deduco dalla dichiarazione del Ministro, il mio arresto era concordato perché si era individuata una pista investigativa per cui io dovevo essere catturato.
Eppure Brusca spiega in merito alla trattativa, con quell’ espressione “Si sono fatti sotto”, che vi erano degli interlocutori con cui Riina era in contatto.
Mi ricordo distintamente quell’udienza. Era del 24 gennaio 1998, posso sbagliare l’anno, era un sabato mattina, quando venne il generale Mori a Firenze. Non ci fu verso, lo confermano i verbali, di approfondire la questione della cattura di Riina, era un argomento, secondo la Corte, da non trattare. Questo mi ha sempre deluso come avvocato, per me era chiaramente importante poter verificare se il mio cliente fosse stato catturato a seguito di un accordo tra due parti, che non posso identificare, ma comunque un accordo, ciò significa che quell’associazione che si presume lui abbia diretto in qualche maniera ad un certo punto non era più sotto la sua direzione.
Cosa pensa della teoria secondo cui vi sarebbe Provenzano dietro la cattura di Riina?
Lo escludo totalmente, questa è dietrologia disinformata.
Beh, la sua è una risposta molto interessante.
Se da una parte Riina si reputa innocente per le stragi del ’93, quando esordisce quella specie di proclama nel quale si autodefinisce “il parafulmine d’Italia” e indica lui stesso spunti di indagine come il castello Utveggio…. Sembra abbastanza evidente che ci vuole dare dei messaggi, delle indicazioni. Giusto?
Non sono io a dovermi fare portavoce della parte, non ho questo mandato. Certamente per la difesa del Riina che io ho interpretato processualmente fino alla Cassazione e anche nella fase successiva dell’Olimpico dobbiamo intendere quelle dichiarazioni aprendo, sulle vicende del ’93, una pagina diversa sotto un duplice profilo: uno contestuale e uno diacronico.
Rispetto al primo, se prendiamo in esame le deposizioni di Brusca e anche quella del capitano De Donno in buona sostanza ben più importante rispetto a quella del generale Mori emergono elementi che vale la pena sottolineare.
Quando De Donno riferì del colloquio con Vito Ciancimino disse testualmente che questi, dialogando sulla causale della stragi del ’92, gli spiegò: “Avete tolto le ruote alla macchina, la macchina deve girare. O le indagini su Tangentopoli finiscono o le stragi non finiranno”.
Da un punto di vista diacronico invece, a mio modesto avviso, significa accorgersi che fino a quel punto, siamo nel 1992, appena dopo il crollo del muro di Berlino, l’Italia era un paese a democrazia bloccata. Si hanno accenni a questi collegamenti nel libro e nel film Romanzo Criminale e in un film che vidi una notte e poi non ne seppi più nulla, si intitolava Uno a me, uno a te, uno a Raffaele nel quale si tracciava un collegamento tra gli attentati e le opere d’arte.
Cosa intendo dire con questo? Che se si legge la storia anche in senso diacronico si constata che le bombe del ’93 sono ad oggi interpretate ufficialmente a matrice ridotta rispetto a quelle precedenti, pur recando chiari segni, anzi, di un ampliamento della prospettiva politica.
Vuol dire che Cosa Nostra si è limitata ad agire come manovalanza?
Io in aula ho sostenuto che vi sono prove non seriamente discutibili sul trasporto dell’esplosivo (per stessa ammissione dei pentiti che si sono autoaccusati), mentre sono molto molto discutibili quelle relative l’aspetto organizzativo per non parlare di quello ideativo. Cioè, sulle fasi superiori non vi è alcun elemento in grado di stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio come si siano svolti i fatti.
Sono davvero troppi gli elementi che a mio avviso non sono stati scandagliati a dovere e che lasciano aperti molti interrogativi.
Partiamo da Antonio Scarano il quale sostiene che faceva “da tassinaro” che cioè accompagnava gli altri per Roma e che si incaricò di trovare il magazzino in cui depositare l’esplosivo. Questa persona, proprio nei giorni delle stragi, era intercettata dai carabinieri. Io ho sempre chiesto perché non sia mai stata fatta una consulenza sulle intercettazioni di Scarano. Poniamo per mera supposizione, solo una supposizione sia chiaro e ci tengo a sottolinearlo, che un consulente scopra che quelle intercettazioni siano state manipolate o tagliate espressamente ove si parlasse di stragi, magari anche indirettamente, beh sarebbe un enorme passo avanti.
C’è poi tutta la questione del cellulare clonato di Giovanni Brusca per cui non ci fu verso di ottenere dati precisi che ci furono sempre riferiti dal dottor Gratteri dello Sco, così come le famose intercettazioni tra La Barbera e Gioè di via Ughetti.
Un altro aspetto oscuro è la storia di Corsi Giuseppe, un impiegato della società di Roma di cui fu presa la macchina, la fiat uno, per compiere l’attentato ai danni di Maurizio Costanzo. Questa società aveva il nulla osta sicurezza e lavorava con il Sismi. Questo Corsi sparisce da casa (noi veniamo a conoscenza di questo fatto e apriamo l’ istruttoria sul punto) la famiglia, temendo per la sua vita, denuncia questa scomparsa e informa gli inquirenti della sua collaborazione con i servizi segreti. Viene poi ritrovato e tratto in arresto poiché aveva della droga in macchina. Come stiano realmente le cose non si sa, ma sappiamo che l’auto della bomba in via Fauro era una macchina dei servizi segreti.
Sia lei, sia l’avvocato Pepi avete spesso fatto riferimento al coinvolgimento di servizi segreti deviati, dei poteri forti e della massoneria, quali indizi vi hanno spinto in questa direzione?
Ci siamo addentrati ad esplorare questi altri ambiti perché subito ci è apparso evidente che le stragi del ’93 erano di matrice così raffinata da non poter provenire da soggetti avvezzi ad un crimine comune e non di tipo eversivo. Vi sono concreti elementi in tal senso, ma forse i tempi non sono maturi, per una verità completa. Forese questa nostra Italietta, per dirla con Moretti, non è pronta per guardarsi allo specchio.
Vale a dire che Cosa Nostra, secondo lei, è rientrata in un progetto destabilizzante con finalità molto più ampie?
Non possiamo trascurare un dato storico, per cui ormai sappiamo che le organizzazioni criminali venivano usate dalla Cia per il compimento di operazioni illegali che servivano al contrasto al c.d. “partito arancione”. Ancora oggi noi non sappiamo bene come sia andata veramente a Portella della Ginestra, ad esempio.
Siccome l’attentato così come il modo di far politica, è quello tipico in Italia dagli anni Cinquanta in avanti allora avrei voluto che si provasse ad introdurre una similitudine operativa tra l’attentato del luglio ‘93 quando ad essere colpite furono le due chiese di Roma e il padiglione d’arte contemporanea a Milano (sulla scelta degli obiettivi si dovrebbe poi discutere a lungo) e quella che si delineò per la strage di Piazza Fontana. Ad oggi nessuno ha inteso rispondere: ma la questione rimane.
Le faccio un altro esempio: si fa oggi un gran parlare della figura di Gardini, morto in circostanze tragiche il 23 luglio del 93. La difesa del Riina all’epoca provò a dire: guardate che una causale di attentato in quel di Milano, visto quello che dice De Donno sulle indagini di Tangentopoli, potrebbe rinvenirsi ragionevolmente nella questione degli interrogatori di Carlo Sama e Giuseppe Garofano, stretti collaboratori di Gardini che proprio in quei giorni ricostruivano quella che poi venne chiamata la madre di tutte le tangenti: la vicenda Enimont. Non vi è mai stata letteralmente risposta.
Allora, in quale senso, secondo lei, Riina dice di essere stato venduto?
Mah, se lui lo dice ha sicuramente un’idea chiara su come ha perso la sua libertà.
Anche qui, si comprende come il taglio diacronico non sia stato scandagliato, forse c’era urgenza di dare una risposta al paese questo io lo capisco, però così non è stato valutato un altro dato importante: fatti del genere smuovono interessi molto grossi. Se poco poco entriamo nella questione Ciancimino, quell’esempio delle “ruote della macchina”, che egli avrebbe fatto al Cap. De Donno, quando questi si recò da lui a trattare l’arresto di Riina, sono questioni enormi.
Allora quello che noi chiamiamo oggi Stato, nel quale solitamente si inseriscono lo stato e l’antistato i deviati e i regolari, non è fatto di gente. Il testo primo che bisogna scegliere è un Kafka. Nel senso che proprio questa attenzione alla procedura, alle cose fatte in un certo modo, anche quando si tratta di fatti così eclatanti.
Dove porta questo discorso, mi dirà lei?
Porta che esplodono le bombe del ‘92, un evento enorme e come si reagisce? Come quando si doveva fermare il bandito Giuliano dopo la strage di Portella della Ginestra.
Per questo io in aula ho detto: “il colonnello Mori ha cantato e portato la croce”, intendendo con ciò dire che l’Arma dei Carabinieri fino a quegli anni avesse avuto un ruolo particolare. Cioè come dire: qui c’è materiale radioattivo ci mandiamo i carabinieri fedeli e affidabili e gli diamo un mandato che loro usano, usi a obbedir tacendo.
ANTIMAFIADuemila N°58 Anno VIII° Numero 2 – 2008