Il figlio di Ciancimino “Ecco l’accordo tra Stato e Cosa Nostra”
Stampa questo articoloDa www.terranews . 17/7/2009
Pietro Orsatti
MAFIA – Il figlio di Vito Ciancimino afferma di essere in possesso del documento scritto da Totò Riina relativo alla trattativa fra Stato e Cosa nostra fra il ’92 e il ’93. Le sue rivelazioni potrebbero riaprire il processo su via D’Amelio. -
Massimo Ciancimino è un mistero. Potrebbe essere parte, così dice lui stesso, di uno degli intrecci più inquietanti della storia della nostra Repubblica, la trattativa fra Cosa nostra e lo Stato nel biennio 1992-93. Ma potrebbe essere anche meno di quello che dichiara. è un viveur cresciuto all’ombra, e con i soldi, del padre, quel Vito Ciancimino sindaco del “sacco di Palermo” e uomo di garanzia fra la politica siciliana degli anni dell’ascesa dei corleonesi e la commissione di Cosa nostra.Massimo Ciancimino oggi è “dichiarante” e “dichiara” da mesi, su affari, riciclaggio, intrecci fra pezzi di Stato e mafia ai pm di Palermo, Caltanissetta, Roma, Firenze, Bologna. Ogni sua dichiarazione viene attentamente vagliata, nessuno si fiderebbe di lui fino in fondo. Non ha la statura e neanche il retroterra culturale di un “uomo d’onore” come Buscetta.
Intanto, ha già messo nei guai, con le sue dichiarazioni, personaggi del calibro del senatore Vizzini (e non solo) costretto perché indagato a dimettersi dalla commissione d’inchiesta antimafia (ma non da quella affari costituzionali che presiede). Oggi fa tremare, con le sue dichiarazioni, mezzo Paese, e gran parte dei politici (e imprenditori) superstiti della Prima Repubblica. Perché ha affermato recentemente di avere nelle mani il famoso “papello” di Totò Riina, il documento della trattativa, la proposta di “contratto” fra lo Stato e Cosa nostra.
Il documento, secondo Ciancimino jr, fu consegnato ai carabinieri del Ros, impegnati nel tentativo di far cessare gli attentati mafiosi, ma anche a un «certo signore biondino ed elegante», stesso misterioso personaggio che anche in altri interrogatori del dichiarante ricompare come destinatario, o forse corriere, di altri messaggi come la lettera di minacce di Provenzano a Berlusconi. Sempre Massimo ha dichiarato, agli inizi di questa settimana, di voler consegnare questo e altri documenti alla procura nei giorni immediatamente successivi.
Nel primo interrogatorio dove “Massimino” ha ammesso di essere in possesso di questa documentazione, avvenuto a Catania, il figlio di don Vito ha raccontato che era nella sua cassaforte anche durante la prima perquisizione a cui fu sottoposto nel 2005 ma che gli investigatori non controllarono il contenuto della stessa. Poi la sua presenza, segnalata ieri a Palermo, ha letteralmente messo in fibrillazione l’intero “circo” informativo che ruota attorno al palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano.
Non c’è la certezza che la consegna di questa documentazione ai pm sia già stata effettuata. Anzi, in molti pensano in città che se i documenti sono stati consegnati questo è già avvenuto nelle scorse settimane, e che la “sparata” di “Massimino” sia solo un modo di mandare messaggi e depistare la stampa e i tanti detrattori che seguono le sue gesta negli ultimi mesi. Intanto, però, ieri qualcosa di certo è accaduto.
Sono stati messi a disposizione dei giudici della Corte d’appello i documenti che la procura di Palermo aveva sequestrato nel 2005 allo stesso Massimo Ciancimino, fra cui una lettera manoscritta di Provenzano con la quale venivano avanzate richieste “all’onorevole Berlusconi” (questa l’intestazione), contornate da minacce di morte per il figlio. Il processo relativo a questa trasmissione di atti è quello di secondo grado in cui è imputato il dichiarante Ciancimino, che in primo grado è stato condannato a 5 anni e 8 mesi per riciclaggio assieme all’avvocato tributarista Gianni Lapis.
E, come sempre, a Palermo le cose non avvengono mai per caso. Domenica prossima è il 17eseimo anniversario della strage di via D’Amelio e le nuove rivelazioni (e i documenti) di Ciancimino potrebbero contribuire alla riapertura e revisione del processo sull’uccisione del giudice presso la corte Caltanissetta.