Maxi truffa di imprenditori napoletani e riciclaggio ancora a Montecarlo
Stampa questo articoloDa Bergamonews. Operazione Calypso – Un’organizzazione truffava il Fisco fingendo di acquistare materie prime da società inglesi di comodo, poi immetteva sul mercato le merci a prezzo basso, danneggiando le imprese oneste. Nei guai anche cinque persone residenti a Bergamo, tra cui un napoletano a capo del gruppo e un commercialista con studio in centro. Sequestrati case, terreni e barche.
Maxi frode fiscale: 71 indagati e sequestri per 238 milioni di euro.
Compravano materie prime dall’estero ma fingevano di acquistarle da società inglesi di comodo operative in Italia, per detrarre l’Iva in acquisto in maniera truffaldina e conseguire enormi quanto illeciti vantaggi fiscali.
La Procura e la Guardia di Finanza di Bergamo hanno indagato 71 persone per frode fiscale e sequestrato beni per un totale di 238 milioni di euro, l’equivalente di quanto sottratto al Fisco italiano.
Nei guai anche cinque persone residenti in città, tra cui un commercialista con studio in pieno centro. Tra gli immobili sequestrati appartamenti di gran pregio localizzati anch’essi in centro e a Torre Boldone, ma anche terreni, casali in Toscana, 22 tra auto e moto di lusso e due yacht (tra cui il Calypso of London che ha dato il nome all’operazione). La procura aveva chiesto anche misure restrittive della libertà personale a carico degli indagati, ma il gip Raffaella Mascarino non ne ha rilevato i presupposti.
Le società coinvolte sono sette e avevano sede a Bergamo e Milano, in alcuni casi cambiavano spesso indirizzo per confondere le acque. Tutte operano nel settore delle materie plastiche: grazie al complicato meccanismo di evasione, che aveva consentito di ottenere crediti fiscali dallo Stato, potevano permettersi di tenere i prezzi più bassi e alterare così il principio della libera concorrenza, assicurandosi una posizione di supremazia sul mercato.
Alcuni indagati dovranno rispondere anche di riciclaggio, perché parte della somma sottratta al Fisco è stata reimpiegata in altre attività. Il classico crimine da colletti bianchi, messo a segno da gente con “grandi capacità professionali”, come ha spiegato il procuratore Adriano Galizzi, che ha ringraziato gli uomini delle Fiamme Gialle, guidate dal colonnello Trotta, per la “grande competenza e passione” dimostrate nell’operazione, cui hanno collaborato anche i militari di Milano e Trieste. Le indagini sono state confortate infatti anche da alcune anomalie emerse in dogana: parte delle materie prime risultava infatti in partenza per la Cina, ma una volta giunte nel porto di Rijeka rientravano in Italia. In questo modo l’organizzazione accumulava i crediti di imposta.
Il meccanismo -Le partite di merci, effettivamente acquistate sui mercati internazionali, venivano spedite direttamente in depositi situati in territorio nazionale e cedute alle società italiane del gruppo, le quali provvedevano quindi ad immetterle definitivamente sul mercato. Cartolarmente, questo passaggio avveniva attraverso società di trading formalmentecostituite nel Regno Unito e negli U.S.A. con branch in Svizzera ma gestite effettivamente dall’Italia e titolari di partita IVA nel nostro Paese attraverso l’istituto della “identificazione diretta”. In questo modo, grazie ad un meccanismo che permette la detrazione dell’IVA in acquisto, le società italiane hanno conseguito un enorme vantaggio fiscale e alterato la libera concorrenza, perché si sono poste nelle condizioni di poter vendere i prodotti a prezzi inferiori rispetto ai loro concorrenti. Lo schema fraudolento era completato facendo apparire che le società inglesi e statunitensi avevano a loro volta acquistato la merce da imprese residenti nelle Isole Vergini Britanniche, le partite IVA delle quali sono risultate intestate a società italiane quasi tutte inattive e in un caso addirittura ad una persona defunta.
Pertanto, le fatture ricevute ed emesse dalle società con sede nel Regno Unito e negli U.S.A. si sono rivelate relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, per un ammontare complessivo superiore ai 2 miliardi di euro. L’imposta sul valore aggiunto non incassata dallo Stato è risultata quindi pari a 238 milioni di euro, valore a cui si riferisce l’importo del sequestro disposto dall’Autorità Giudiziaria. Le società estere utilizzate per realizzare la frode sono in tutto 28. I proventi delle attività delittuose, trasferiti su conti correnti in Inghilterra, Svizzera e nel Principato di Monaco, sono stati quindi in parte reinvestiti in Italia, anche attraverso società immobiliari controllate in modo occulto, dietro lo schermo di note società fiduciarie italiane e società residenti nel Regno Unito ed in Liechtenstein. I rapporti con il piccolo Stato mitteleuropeo hanno peraltro trovato ulteriore conferma in seguito alla pubblicazione nell’estate del 2008 dei clienti dell’Istituto bancario LGT Bank tra i quali risultavano anche due capi dell’organizzazione criminale.