L’Espresso: “qualcuno adesso dovrà indagare”
Stampa questo articoloIl dolore e la rabbia
di Fabrizio Gatti
Gli allarmi inascoltati. La scossa devastatrice. Le vite spezzate. La disperazione dei sopravvissuti. Il dramma dei bambini. Il reportage sulla tragedia che ha sconvolto l’Abruzzo.
Qualcuno adesso dovrà indagare. Una volta sepolti i morti e sistemati gli sfollati, dovrà spiegare perché a L’Aquila il cemento impastato dieci o vent’anni fa già si sbriciola come pane secco. Dovrà dire perché queste travi si sono spezzate e hanno fatto un massacro. Come qui, adesso, in questa notte gelida, con il brivido delle scosse di assestamento e il vento del Gran Sasso che spazza le macerie di via Luigi Sturzo, centro città, cento per cento di morti nelle case nuove là in fondo alla strada. Nuove. Eppure sono venute giù. Questa bambina di tre anni che stanno tirando fuori immobile come una bambola non dovevano ridurla così. In questo momento lei doveva essere con gli altri sfollati a dormire sulle brande al campo sportivo. Invece la stanno portando all’obitorio dentro una coperta di lana sporca e strappata. Uccisa nel suo lettino, tra giocattoli e disegni sciupati dal crollo. Nessuno viene ad accarezzarle i capelli sbiancati e invecchiati dalla polvere. Non c’è nemmeno una persona che sappia dire qual è il suo nome. La sua mamma, il papà, la sua sorellina sono ancora là sotto. E là sotto ci sono tutti i loro vicini. Guardia forestale, vigili del fuoco e volontari cercano ormai solo cadaveri.
Se due mesi di sciame sismico riducono così il cemento, allora l’allarme lo dovevano dare molto prima. Invece questo passerà alla storia come il primo terremoto previsto in Italia. E, purtroppo, anche come il primo snobbato dalle autorità. Hanno ignorato l’annuncio del disastro molti sindaci della provincia per finire, su su, agli esperti della Protezione civile. Eppure la previsione di Giampaolo Giuliani, tecnico del laboratorio scientifico del Gran Sasso insultato e denunciato per procurato allarme, non è uno scoop da premio Nobel. Che la liberazione di gas radon dagli strati profondi delle rocce riveli l’arrivo di un forte terremoto, lo si impara al primo anno di Geologia all’università. Anche in Italia. È vero che non è possibile conoscere con precisione quando colpirà la scossa. Ma a L’Aquila e lungo l’Appennino la terra tremava e trema tuttora da fine febbraio. Avere un laboratorio di fisica proprio dentro il Gran Sasso, la montagna attraversata dalle faglie e dalle tensioni geologiche di questo disastro, era poi una immensa opportunità. Forse bastava sfruttarla. Nessun preallarme nemmeno per i soccorsi in una regione fatta di antichi paesi di sassi e pietre.
Lunedì mattina a Civita, una frazione a pochi chilometri da Onna, vicino all’epicentro in provincia, gli abitanti hanno dovuto sbarrare la strada a un convoglio dei vigili del fuoco per chiedere loro di estrarre due persone. Le hanno tirate fuori che erano già morte. I pompieri son ripartiti subito per L’Aquila. I cadaveri sono rimasti a Civita, per terra, fino alle quattro del pomeriggio: “Quando è arrivata un’auto delle pompe funebri”, raccontano i testimoni. Sono le priorità a stabilire dove si devono fermare i convogli. I primi sono stati inviati dove c’erano più cadaveri: a L’Aquila, a Onna, a Paganica. Così gli abitanti delle piccole frazioni hanno dovuto aspettare. Non c’erano alternative. Da martedì, secondo la Protezione civile, con l’arrivo dei rinforzi da tutta Italia, anche i centri più piccoli sono stati raggiunti. Nonostante la previsione del terremoto, però, gli abitanti della città e di tutta la provincia avevano creduto alle rassicurazioni degli esperti della commissione Grandi rischi, riprese dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, dal governo e dalle autorità locali. Nessuno immaginava che perfino le costruzioni più moderne di L’Aquila fossero trappole. Non lo sapevano i ragazzi italiani e stranieri morti e feriti nel pensionato universitario, nemmeno i quattro studenti sepolti in due stanze prese in affitto in un’altra villa in via Sturzo. Non lo poteva sapere Alice Dal Brollo, 20 anni, scesa qui due anni fa da Cerete in provincia di Bergamo per studiare Scienze investigative. Morta anche lei con una sua compagna di camera: dormivano in una nuova palazzina sul fianco della collina. Non lo poteva immaginare
(07 aprile 2009)