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”IL LETTO PISCIATO”

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Il Centro Sociale Depistaggio per difendere l’Ipermercato attacca Rifondazione Comunista, l’Assessore Antonio Medici e Gabriele Corona
Risponde la Segreteria provinciale di Rifondazione Comunista con il comunicato di seguito riportato.
Gabriele Corona ha invece così commentato: “E’ proprio vero che chi si mette con i bambini si ritrova il letto pisciato. E’ utile rileggere il comunicato stampa del 20 gennaio di quest’anno con il quale Depistaggio mi espimeva considerazione e solidarietà. Poi la mancata nomina dell’assessore ha fatto cambiare idea al collettivo rivoluzionario. Eppure ho difficoltà a pensare che la posizione qualunquista e grezza di “Antonio lo stratega” aspressa per sostenere le stesse argomentazioni di Zamparini, sia solo il frutto di una ambizione frustrata.”
Si segnalano le critiche agli Ipermercati di “altralombardia”, gli ambientalisti e i NO-global di Bologna, le parrocchie di Riccione, i Sindacati sardi, gli articoli comparsi su Le Monde Diplomatique e Il Manifesto. Si raccomanda la lettura della protesta di Beppe Grillo e degli aderenti al movimento No-Tav per il progetto Mediapolis in Piemonte, molto simile al disegno speculativo che interessa tutta l’ansa fluviale di via Valfortore di Benevento.

Da Il Quaderno.it

05/10/2006 :: 12:38:42

Sull’iper Depistaggio risponde a Serafini

“In risposta alle dichiarazioni di Gianluca Serafini, segretario provinciale di Rifondazione Comunista, apparse su Il Mattino del 4 ottobre 2006, ci sembra necessario prendere le difese di tutti quei giovani che vedono nell’Ipercoop e nel centro commerciale un’opportunità lavorativa, visto che, fin ad ora, gli unici a pagare le spese del contenzioso tra Zamparini e Corona sono proprio loro”.

E’ quanto afferma in una nota il Centro Sociale Depistaggio, che ha aggiunto: “E’ pur vero che la maggior parte dei contratti sono a termine e part-time, ma questo non giustifica la presa di posizione di Rifondazione, che pare interessarsi più a problemi di viabilità e parcheggi (di competenza dell’Assessorato all’Urbanistica) che non a quelli che riguardano il proprio Assessore (lavoro e formazione). A Zamparini il partito di Serafini farebbe meglio a chiedere quanti posti di lavoro diventeranno stabili tra quelli promessi, a reclamare diritti e certezze per i neo assunti e a domandarsi la qualità del lavoro che attende tanti ragazzi, i quali sono gli unici che stanno pagando sia le inadempienze della passata amministrazione comunale sia la leggerezza con la quale Zamparini ha portato avanti la costruzione della struttura, incurandosi delle regole e delle leggi”.

Serafini, nell’intervista presa in esame da Depistraggio, aveva dichiarato di essere preoccupato “dal comportamento di Cgil, Cisl e Uil che continuano ad incalzare l’amministrazione, sostenendo che bisogna innanzitutto preservare i posti di lavoro promessi. I sindacati non intendono confrontarsi sulla necessità di tutelare tutti gli interessi collettivi in campo, spingendosi, pur di difendere la presunta occupazione, a difendere acriticamente l’imprenditore e il suo generoso investimento”.

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La risposta della Segreteria provinciale di Rifondazione Comunista

“La questione del governo della città, la tutela del territorio ed il contrasto alle infiltrazioni malavitose hanno assunto un rilievo centrale nella discussione politica degli ultimi anni. Rifondazione, sindacati di base, associazioni ambientaliste, organizzazioni di movimento, hanno auspicato e tentato sempre di praticare un diverso modello di fare politica e di governare i processi economici e sociali, in contrapposizione alla destra che faceva della partecipazione e del buon governo della città una bandierina che serviva solo a mascherare il malaffare.
Riteniamo che la vicenda dell’Ipermercato Zamparini è la cosa più inquietante di quel malgoverno che ha determinato illegittimità di atti, assalto al territorio e ricatto occupazionale.
La presa di posizione del CSA Depistaggio che pur, in passato, aveva condiviso questa posizione dimostra che, quando la politica abdica in favore di rancori personali, il livello del dibattito scade a dismisura.
Oggi Depistaggio, in preda ad attacchi strumentali frutto di aspirazioni frustrate, pur di prendere di mira Rifondazione Comunista, l’assessore Antonio Medici e importanti pezzi di movimento, si ritrova in maniera incomprensibile a difendere Zamparini e le sue promesse di lavoro precario. Ne prendiamo atto”.

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COMUNICATO STAMPA del Centro Sociale Autogestito Depistaggio

Benevento, 20 gennaio 2006
Esprimiamo la nostra solidarietà nei confronti di Gabriele Corona vittima dell’ennesimo abuso perpetrato da questa amministrazione.
Secondo la nostra opinione è chiaro che questo trasferimento è consequenziale e dovuto all’attività quotidiana di sindacalista in difesa dei diritti e contro il malaffare svolta da Corona.
In questi anni l’amministrazione comunale ha cercato in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote all’azione sindacale all’interno del comune. Infatti questo non è il primo trasferimento costretto ad effettuare ma l’ennesimo, per giunta avvenuto in seguito ad una serie di tentativi risultati sterili e fallimentari di estrometterlo dagli uffici comunali dell’urbanistica. L’ultima volta era stato il TAR a porre il veto alle scelte scellerate dell’amministrazione.
Oggi ci sono riusciti, Gabriele Corona è stato trasferito all’ufficio dell’ingegnere Capone, ma se pensano che con questa patetica mossa metteranno un bavaglio a chi quotidianamente lotta per i diritti dei lavoratori, contro la corruzione e il malaffare, che questa amministrazione degnamente rappresenta, si sbagliano di grosso!
Queste operazioni mostrano la debolezza, la fragilità e la grettezza degli amministratori comunali che preferiscono il metodo dell’epurazione al confronto ed alla dialettica politica. Altro che amministratori pubblici, qui stiamo parlando di saltimbanchi della politica che per quindici anni hanno amministrato questa città come se fosse stata una loro proprietà, favorendo e perseguendo gli interessi di pochi e soprattutto di potenti lobby cittadine, “il partito del mattone”, le imprese edili del casertano, del napoletano; non gli interessi della collettività.
Per questo è necessario continuare a lottare al fianco di quei soggetti che a gran voce reclamano diritti e democrazia, opporsi alle scellerate ed impopolari scelte amministrative che marciano in controtendenza alle esigenze dei cittadini; per questo è necessario opporsi in maniera radicale al governo cittadino delle destre come molte realtà, associazioni, singolarità, movimenti hanno fatto in questi anni.
Le lotte, le rivendicazioni, le proteste, le battaglie, i conflitti nati in questi anni sul nostro territorio mostrano i fallimenti della rappresentanza a livello locale.
Le votazioni sembrano ridursi alla scelta di questo o quel candidato che ti garantisce qualcosa, il lavoro, il piacere quindi la scelta obbligata di qualcuno che non hai veramente voluto . Nella nostra città esistono una interminabile serie di rivendicazioni ma soprattutto un malcontento generale contro la corruzione che colpisce la vita nella sua totalità. Tutti i segni della corruzione del potere e tutte le crisi della rappresentanza devono confrontarsi con una volontà di affermazione democratica. Da qui è nata l’idea di costituire la rete cittadina RESET. Uno spazio aperto attraversabile da chiunque, da tutte queste vertenze in atto, un spazio capace di raccogliere ed essere portatore e testimone di quel malcontento.
L’amministrazione comunale che oggi colpisce il sindacalista Corona, ha in passato tentato di farci uscire dal Depistaggio occupato e aperto alla città; hanno fallito miseramente, falliranno adesso e ogniqualvolta cercheranno di colpire il dissenso in questa città!

NO PASARAN!
CSA DEPISTAGGIO

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unaltralombardia

Un primo successo contro il centro commerciale a Paullo!

12 Settembre 2006
Il 6 settembre, la Conferenza dei Servizi in Regione ha negato l’autorizzazione allo sviluppo di un’attività commerciale su un’area di 18.000 mq nella zona via Mazzarello-Paullese, concedendola solo per un Supermercato Alimentari di circa 4500 mq.
È stato riconosciuto che un (ennesimo) Centro Commerciale porterebbe al collasso la viabilità urbana e sulla Paullese, non inciderebbe sull’occupazione, danneggerebbe le attività commerciali, l’ambiente e la qualità della vita sociale della zona.
Inoltre le attività autorizzate potranno iniziare solo se e dopo che saranno risolti i problemi della Paullese.

UN PRIMO SUCCESSO CONTRO IL CENTRO COMMERCIALE A PAULLO!

Regione Lombardia e Provincia di Milano ridimensionano il faraonico progetto sulla Paullese

L’opposizione al Centro Commerciale – motivo per cui i rappresentanti locali del Partito della Rifondazione Comunista sono stati estromessi dalla maggioranza che sostiene la Giunta Comunale – ha ottenuto un significativo successo.
Assieme ai rappresentanti della sinistra e dei Verdi in Provincia ed in Regione, all’associazione Un’Altra Lombardia, che ha saputo collegare l’opposizione della opinione pubblica alle istituzioni, all’Associazione Commercianti, a quella
dei Consumatori e del WWF, abbiamo evitato un pericolo e abbiamo rinnovato l’attenzione sul problema della Paullese.
Il PRC e le altre organizzazioni progressiste e ambientaliste vigileranno per evitare che le prescrizioni della conferenza dei servizi non vengano aggirate attraverso furbesche interpretazioni delle norme e dei regolamenti.

Istanza contro l’apertura di grandi strutture di vendita nel sud-est milanese ed in particolare sull’asse della ss 415 (nuova Paullese), del Centro Commerciale di Paullo e dell’Ipermercato di Peschiera Borromeo

Milano 31 agosto 2006

Alla Regione Lombardia
D.G. Commercio Fiere e Mercati

Oggetto: Istanza contro l’apertura di grandi strutture di vendita nel sud-est milanese ed in particolare sull’asse della ss 415 (nuova Paullese), del Centro Commerciale di Paullo e dell’Ipermercato di Peschiera Borromeo.

ISTANZA

In relazione alla richiesta di apertura dei nuovi insediamenti della Grande Distribuzione richiamati in oggetto, l’associazione Un’Altra Lombardia segnala la propria contrarietà a tali progetti che, secondo le nostre valutazioni aggravano i problemi ambientali, viabilistici e socio-economici delle zone interessate. La presente istanza chiede, pertanto, alle Conferenze di Servizio di non autorizzare lo sviluppo dei nuovi insediamenti della Grande Distribuzione richiamati in oggetto, sulla base di considerazioni che riportiamo in breve sintesi.

Considerazioni sintetiche

Gli insediamenti in oggetto che interessano i comuni di Peschiera Borromeo e Paullo gravano sulla ss Paullese 415, ove la Grande Distribuzione è già presente con il Centro Commerciale di Pantigliate, il supermercato Esselunga e centri di vendita di notevoli dimensioni (es. Leroy Merlin). Tali presenze sono più che adeguate alla domanda del bacino d’utenza dei comuni da Rogoredo a Paullo.

L’accesso a queste strutture avviene tramite una strada (ss Paullese 415), di cui la situazione di congestione dal punto di vista del traffico automobilistico, per altro in continua crescita anche a causa di una insufficiente presenza del servizio di trasporto pubblico, è ben nota. In questa situazione i previsti insediamenti commerciali di Rogoredo, Segrate, quelli di Peschiera , di Paullo, e di Zelo Buon Persico, oltre agli ampliamenti dei centri commerciali già esistenti, determinerebbero una crescita abnorme dei volumi di traffico e la paralisi dell’arteria viabilistica soprattutto per l’utenza ordinaria (pendolari). In particolare nelle ore di punta i volumi di traffico potrebbero aumentare di almeno 10-15 volte rispetto alla media. Ne deriva che la questione del traffico sulla Paullese va affrontata in modo complessivo tendendo conto che l’impatto specifico di ogni nuovo insediamento commerciale può determinarne il collasso. Se non si pone un limite alle nuove “sorgenti di traffico” sulla Paullese anche interventi come la metropolitana finiscono per non raggiungere gli obiettivi auspicati. Finora non sono state portate a conoscenza della pubblica opinione studi e valutazioni sullo specifico problema.

Il problema ambientale si aggrava se si considera che gli insediamenti di Peschiera e Paullo vengono ad inserirsi nelle residue zone verdi del territorio in questione. I previsti aumenti di traffico automobilistico finiscono per estendere naturalmente a Paullo la zona di inquinamento per polluzione di gas di scarico, laddove l’ubicazione periferica del Centro Commerciale farà diminuire l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto urbano tradizionale (al Centro commerciale si va in automobile…). Anche nel caso dell’impatto ambientale non si conoscono studi e valutazioni dei comuni.. In generale si può dire che tutta la vicenda è circondata da una specie di censura delle informazioni, nonostante il fatto che la questione ambientale acquisti presso l’opinione pubblica un’importanza sempre più rilevante specie per ciò che si sviluppa ai confini e all’interno del Parco Sud e che rischia di interessarlo negativamente. Si noti che mentre l’ordine di grandezza degli interventi previsti si aggira sul centinaio di milioni di euro, l’Amministrazione Comunale di Paullo non ha coinvolto in alcun modo la cittadinanza.

Una concentrazione non ragionevole di centri commerciali e della Grande Distribuzione ha, quasi sempre, un riflesso negativo sull’occupazione, è praticamente nullo sul livello dei prezzi al dettaglio ed è negativo sui bilanci famigliari (a causa di un’eccessiva promozione pubblicitaria di merci non utili e deperibili). Questi aspetti possono essere valutati. Per quanto riguarda l’occupazione le stime dell’ Unione Consumatori per Paullo di una perdita di circa un centinaio di posti di lavoro corrispondono alle nostre. Nel caso di Paullo ciò potrebbe corrispondere alla fine del 60-70% delle attività commerciali di piccoli dettaglianti ora presenti nella cittadina. L’impatto sociale conseguente corrisponde alla desertificazione commerciale del paese, che verrebbe condannato alla condizione di periferia dormitorio per una popolazione che in età produttiva è per lo più pendolare. Nel contempo si sottrae l’occupazione socializzante della spesa sottocasa alla popolazione più anziana. Il Centro Commerciale infine, toglie ogni possibile futuro a quella presenza commerciale di qualità inserita nel contesto urbano che vivacizza molte realtà locali limitrofe.

Conclusioni

Unaltralombardia non parte da una contrarietà precostituita o ideologica verso la Grande Distribuzione, la cui presenza sul territorio in ambito programmato può avere effetti positivi sul contenimento dei costi delle merci al dettaglio ed offrire una varietà di servizi utili per i cittadini benché di non primaria importanza. Esprimiamo invece forti perplessità quando tali insediamenti si sviluppano in maniera incontrollata e incurante delle problematiche socio-ambientali del territorio. Nello specifico caso di Paullo e di Peschiera Borromeo, l’istanza in oggetto non solo considera che a tutt’oggi i problemi che abbiamo sottolineato nelle Considerazioni Sintetiche sono stati elusi dalle Amministrazioni locali, ma richiama la necessità di una valutazione complessiva delle interrelazioni tra le iniziative commerciali annunziate allo scopo di evitare, per quanto possibile, l’ulteriore degrado di uno dei pochi territori limitrofi alla metropoli che ancora possono e devono essere salvaguardati.

Naturalmente nella fase in cui sono in corso le valutazioni di tali insediamenti nelle Conferenze di Servizio presso la Regione Lombardia riconosciamo che tutta la materia merita ulteriori e adeguati approfondimenti nonché il coinvolgimento puntuale dell’opinione pubblica. Ma solo negando oggi le autorizzazioni agli insediamenti commerciali in questione sarà possibile progettare uno sviluppo più equilibrato del settore rispettoso delle esigenze ambientali e di quelle socio-economiche delle popolazioni residenti.

Ciò anche in coerenza con la stessa normativa regionale vigente che ha sospeso la concessione di autorizzazioni per l’apertura di nuovi centri commerciali, indicando la necessità di una seria programmazione. Associazione Unaltralombardia

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Cresce la protesta dei cittadini contro il centro commerciale a Peschiera Borromeo, in distribuzione il kit “Io non c’entro”

7 Settembre 2006

Continua la mobilitazione cittadina contro la costruzione di un centro commerciale a Peschiera Borromeo. Successivamente alla grande manifestazione di maggio e in vista della prossima presentazione del Piano di Lottizzazione in Consiglio Comunale, le forze politiche e singoli cittadini attivano nuove forme di protesta. Da sabato 2 settembre al mercato di Zelo Foramagno verrà distribuito il kit “Io non centro”. Si tratta di una borsa contenente materiale informativo ed una lettera che ogni cittadino può spedire al proprio Consigliere Comunale eletto per incaricarlo di fermare questo progetto.

“I Consiglieri Comunali sono eletti direttamente dalla preferenza espressa dai cittadini” spiega Antonio Malfettone, consigliere di Rifondazione Comunista, “pertanto è un diritto dell’elettore pretendere che il proprio volere sia rappresentato. Ovviamente i consiglieri rappresentano sia i propri elettori che tutta la cittadinanza, quindi questo diritto diventa di tutti. E’ un dialogo necessario tra la Città e gli amministratori”. Viene così sperimentata una nuova forma di cittadinanza attiva, che non si limita alla protesta di piazza, ma che interviene sul meccanismo democratico della rappresentanza. Dai singoli cittadini, ai Comitati di Frazione, al Consiglio Comunale la protesta chiede all’Amministrazione Comunale di fare ciò per cui è stata eletta, rappresentare i cittadini e fermare un progetto che comporterà immensi problemi per tutta la città.

Da Paullo a Peschiera Borromeo sempre più ampia diventa la protesta contro l’aumento sconsiderato dei centri commerciali in una zona già satura e incapace di sostenere nuovo traffico automobilistico su una delle statali più sature e d’Europa.

Coalizione “Società & Ambiente”

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Da Il Mosaico – Bologna

Numero 4 – Maggio-Agosto 1995

Imbottigliati nelle contraddizioni

Traffico in aumento e salute in ribasso: fra tangenziale, ipermercati e centraline in vacanza, il problema dell’inquinamento a Bologna esige un approccio nuovo e globale.

“La nostra capacità di interferire con l’ambiente supera di gran lunga la nostra conoscenza delle possibili conseguenze” ci ricorda, citando B. Commoner, l’opuscolo del Comune su “L’aria che respiriamo”. Uno sviluppo sostenibile richiede quindi informazione scientifica e programmazione globale. A Bologna che cosa si fa? Ne abbiamo discusso, lo scorso 16 marzo, con la dott. Guberti (Servizio di Igiene Pubblica), l’assessore Donati, il consigliere comunale Salizzoni, i rappresentanti di una diecina di comitati e associazioni, ed un pubblico folto ed attento.

La serata è stata introdotta da una esauriente relazione tecnica della dott. Guberti, tanto chiara quanto preoccupante. Fino a 10 anni fa i danni alla salute erano opera di esposizione a singoli agenti inquinanti, spesso per motivi professionali. Oggi invece la situazione è cambiata, e soprattutto in città il pericolo maggiore viene dall’interazione tra i vari inquinanti: ad esempio il particolato, già imputato di causare malattie polmonari, diventa veicolo di benzene e benzopirene, cancerogeni puri. I soggetti a maggior rischio sono i bambini (8% della popolazione bolognese) ed anziani (36%): in totale dunque abbiamo un 44% di cittadini a rischio. Ma a rischio di che cosa? Di infezioni acute e croniche, perché l’inquinamento rende più sensibili agli attacchi di virus e batteri; di crisi asmatiche, in costante aumento; di tumori all’apparato respiratorio, la cui ricorrenza passa dal 2 al 10% nelle aree urbane. Esistono insomma correlazioni provate, anche a Bologna, fra agenti inquinanti, malattie e mortalità.
Ma nella nostra città esiste anche un bollettino settimanale informativo sulla qualità dell’aria, con dati provenienti dalle centraline SARA: dati che vanno tuttavia letti conoscendo alcune premesse.
Ad esempio, nello scorso inverno non si sono avuti blocchi della circolazione (a differenza dell’anno prima) perché le centraline non hanno mai superato le soglie di attenzione (ma i danni sono già forti anche stando poco al di sotto per molto tempo).
L’aria è migliorata? No, semplicemente alcune centraline sono state spostate, in osservanza alla normativa regionale, ed allontanate da incroci e punti critici. Il Comitato Irnerio ha fatto sapere che il rilevatore posto su via Irnerio è stato “mandato in villeggiatura” nel parco della Montagnola. Mentre si è registrato un peggioramento dei dati della stazione del vicino Ospedale Malpighi, dovuta all’apertura del centro commerciale di via Larga: sembra chiaro allora che la collocazione di questo centro commerciale non è stata di fatto “ottimizzata” rispetto alle esigenze della città.
Che fare allora? Secondo alcune associazioni è ora di dire basta agli ipermercati e ripristinare il commercio di vicinato. Inutile vietare, si ribatte, perché non ci si può opporre localmente ad un fenomeno in espansione in tutta l’Europa: bisogna piuttosto combattere sul fronte dell’ubicazione, ponendo gli ipermercati lontano dalla città e vicino a snodi stradali.
Quindi si è affrontato il problema tangenziale, non più idonea alle necessità. Raddoppiarla, sopraelevarla, aggiungere una bretella più a nord oppure fare il sottopasso dalla parte della collina: quali possibili soluzioni? Se alcuni si sono opposti fermamente all’ipotesi di dilatare ulteriormente lo spazio dell’asfalto e dell’auto privata, considerando questa una scelta suicida, altri hanno fatto notare che alle patologie respiratorie andrebbero aggiunte le centinaia di morti ed invalidi prodotti dall’affollamento autostradale intorno a Bologna. Quanto al trasporto pubblico su rotaia, la discussione affonda tra dati e prospettive del tutto divergenti: per alcuni si tratta di un’alternativa possibile ed economica, per altri invece sarebbe un modo per soddisfare una parte minima delle esigenze di mobilità a costi molto più alti.
I problemi sono oggettivamente molto complessi, e le sole proposte utili sono quelle che riescono ad andare oltre la soluzione di uno specifico problema locale. Una politica di vera compatibilità richiede anche una revisione dell’atteggiamento un po’ schizofrenico di ciascuno di noi, che da una parte pretendiamo un eco-ambiente ottimale, mentre dall’altra viviamo di fatto come un “perfetto agente inquinante”.
La domanda che alla fine come cittadini ci poniamo è questa: poiché è chiaro che i problemi legati a “traffico e salute” non possono che essere analizzati nel contesto dell’Area Metropolitana, esiste la volontà politica di creare un organo tecnico-scientifico che vagli in termini complessivi la validità delle varie soluzioni, magari con l’ausilio di modelli di simulazione dei flussi del traffico (a livello provinciale, cittadino, di quartiere, etc)?
L’approccio scientifico e la capacità di fare scelte politiche, economiche e di vita chiare e coraggiose, ci sembra infatti l’unica strada perseguibile in questo settore. In campagna elettorale sono state fatte molte promesse: non mancheremo di verificarle.

Flavio Fusi Pecci

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8 giugno 2006

Lettera aperta al Movimento bolognese

Dibattito a sinistra. Spunti di riflessione per un confronto aperto tra le reti e soggettività che hanno partecipato alle dinamiche del conflitto sociale e politico in questa città

di Valerio Monteventi (consigliere comunale indipendente di Rifondazione Comunista, leader del movimento no-global a Bologna)

Questo mio contributo vuole essere una sollecitazione ad aprire una discussione (per troppo tempo rinviata o accantonata) tra le varie reti e le tante soggettività che in questi 5/6 anni hanno attraversato o sono state attive nelle dinamiche del movimento bolognese.

[ …….] [ …….]

Sta prendendo corpo un’idea di città stile “ipermercato” fatta di grandi centri commerciali, di multisale cinematografiche, di superstrade, mega-parcheggi, di case dormitorio in ripetizione seriale che ha come controcampo l’atomizzazione, l’emarginazione, la dissoluzione degli spazi pubblici, producendo evidenti effetti di disgregazione sociale.
A tutto questo noi dobbiamo riattivare una ricerca sul senso della città, innescando politiche e luoghi di relazione rivolti alla società locale e ai fermenti di comunità che crescono dal territorio. Dobbiamo far crescere esperienze di partecipazione che abbiano come tensione ideale la ricostruzione della comunità, dello spazio pubblico, dei diritti di cittadinanza, dello scambio solidale. Dobbiamo lavorare a ricostruire forme di identità collettiva, spazi e luoghi inclusivi dell’incontro fra differenze, relazioni fra individualità e gruppi. Va sviluppata una critica pratica alla società della merce attivando nel territorio reti di economia solidale e relazioni di mutuo soccorso.
Bisogna lottare per l’apertura di nuovi spazi e contribuire alla rivitalizzazione/rifondazione di quelli esistenti, in cui sperimentare una “socialità altra”, impiegando risorse che, nell’espressione del nostro antagonismo, non abbiano bisogno del confronto muscolare ma privilegino l’uso della parola, l’irriverenza all’autorità, l’allergia ai potenti e recuperino il gusto della narrazione. Dalle lotte e dai movimenti di questi anni bisogna costruire un programma che ne raccolga le istanze sociali e i contenuti, assumendo come punto di vista la critica al neoliberismo e alla guerra, alle culture privatistiche e di mercato.
A Bologna, così come da altre parti del territorio nazionale, si fanno vedere preoccupanti segnali di una voluta autosufficienza della sinistra moderata proprio sul terreno delle scelte di governo, la “corsa verso il centro” ha sconquassato gli equilibri delle coalizioni di centro-sinistra.
C’è una difficoltà di molti amministratori di “sinistra” a considerare la cessione di potere alla società come un effettivo aumento di sovranità sul territorio. Troppi sono abituati a considerare la delega con il voto il massimo di democrazia, dimenticandosi che i partiti non sono più gli “unici” collettori della domanda sociale e che la partecipazione (tanto evocata ma mai concretamente voluta) è “vera” se valorizza le progettualità espresse dai nuovi movimenti.
Il nostro, pertanto, dovrebbe essere un contributo al contenimento del moderatismo e delle invadenze dei poteri forti (finanziari, immobiliari, della comunicazione e non solo), dando priorità ai bisogni sociali, ponendosi dalla parte dei soggetti più deboli. C’è bisogno di un “insieme critico”, radicale nelle sue istanze, che rifugga la prospettiva del partito democratico, ma al tempo stesso faccia emergere la necessaria insofferenza alla frammentazione della sinistra e alle attuali forme della politica.
La composizione sociale odierna, la ricerca di forme inedite di relazione e di organizzazione non sono molto compatibili con le gerarchie delle strutture dei partiti o con le forme della rappresentanza tradizionale.
Noi dobbiamo parlare a tutte quelle figure escluse, schiacciate dall’economia capitalistica, ma senza una politica di massa, senza una forma di organizzazione della continuità del conflitto sociale, queste, da sole, non contano e non incidono, e rimangono prigioniere dalla precarietà flessibile. Tantissimi uomini e donne, in questi anni, hanno partecipato ai movimenti, sono stati attivi in associazioni e comitati, hanno organizzato campagne di boicottaggio. Hanno dimostrato che si può fare “politica diffusa” senza, obbligatoriamente, militare in un partito. Si è trattato di organizzazioni e persone che hanno cercato di dar vita a un modello di democrazia, viva, critica e autenticamente partecipativa, con l’intenzione di influenzare le scelte politiche generali, ottenere il rispetto e la promozione dei diritti fondamentali, battersi per la difesa del proprio territorio. Ce ne sono molte altre che avrebbero voluto farlo, ma spesso non sono riuscite a organizzarsi, non avendo gli strumenti appropriati per dare consistenza alle proprie volontà.
Con questa realtà molto vasta e articolata che ha fatto emergere contenuti forti, criticità, culture e anche un’aspirazione a costruire alternative possibili noi dobbiamo intraprendere un confronto su come dare vita a una nuova stagione di contrattazione sociale, coniugando lo sviluppo delle lotte per la realizzazione dei principi di uguaglianza e di giustizia sociale a un rinnovato garantismo che impedisca i processi di criminalizzazione in atto.

Fonte: Bologna Social Forum

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A Riccione la parrocchia critica i centri commerciali
Giugno 2006

Una forte critica al consumismo in generale e ai centri commerciali in particolare é contenuta in un documento redatto da una équipe pastorale delle parrocchie di Riccione.
In tale documento si legge che “i centri commerciali sostituiscono i centri storici e richiamano le persone a trascorrere sempre più tempo al loro interno. Assorbono la famiglia in tutte le sue necessità, dalla spesa al tempo libero. Si svuotano così vie e piazze delle città, sedi naturali delle relazioni sociali…” Peraltro ” i centri commerciali hanno contribuito a dilatare il tempo del lavoro per i dipendenti e questo, se a prima vista può apparire un vantaggio per i consumatori, pone seri problemi a lavoratori e famiglie.” Il documento si conclude con l’affermazione che “i giorni festivi, oltre al valore religioso, vanno salvaguardati per il valore umano, per recuperare le forze, restituire ritmi armonici alle persone e alle famiglie”.

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Confederazione Sindacale Sarda
SEGRETERIA GENERALE Via Roma, 72 – 09123 Cagliari
Tel. 070.650379 – Fax 070.651257
www.confederazionesindacalesarda.it css.sindacatosardo@tiscali.it

ECCELLENZA REVERENDISSIMA MONS. GIUSEPPE MANI ARCIVESCOVO DI CAGLIARI

E P.C. ECCELLENZA REVERENDISSIMA MONS .PIERGIULIANO TIDDIA PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE SARDA

ECCELLENZE REVERENDISSIME VESCOVI DELLA SARDEGNA

A TUTTI GLI ORGANI DI STAMPA E TELEVISIONI DELLA SARDEGNA

OGGETTO: Posizione della CSS sull’apertura del Policentro di Sestu/Città della Moda/Corte del Sole

Eccellenza Reverendissima,
Ci rivolgiamo alla sua cortese attenzione per rilevare che ci ha meravigliato la Sua presenza Giovedì 6 Aprile 2006 all’inaugurazione anticipata del Policentro di Sestu, nota come Corte del Sole/Città della Moda.
Certamente non ignoriamo la difficoltà di un invitato così illustre di declinare un invito tanto importante, sapendo che un si o un no avrebbe comunque comportato il rischio di commenti negativi.
L’apertura, infatti, del Policentro di Sestu era oggetto di analisi delle forze politiche e sociali sarde e la presa di posizione del Presidente della Regione Sarda on. Soru e della sua Giunta avrebbe forse suggerito un atteggiamento più prudente.
Sentendo e leggendo attentamente le posizioni, talvolta opposte, dei Sindaci dei Comuni del Territorio interessato, delle Organizzazioni sindacali e delle stesse Associazioni di Categoria dei Commercianti, come Confederazione Sindacale Sarda osserviamo:
1. Il Policentro di Sestu è di fatto una grande struttura commerciale e non un insieme di negozi, seppure di struttura complessa. Ciò determina un impatto ambientale rilevante sul territorio ed effetti negativi sul traffico dei veicoli non essendo state adeguate le strade di accesso; ricadute negative sugli altri Ipermercati e soprattutto sui piccoli operatori che rischiano di chiudere, per cui il saldo occupazione potrebbe alla fine non essere positivo, nonostante i numerosi nuovi posti di lavoro che la nuova struttura ha favorito.
2. E’ stato sicuramente un errore ritardare l’intervento della Giunta Regionale e del Presidente Soru, protraendolo e facendolo coincidere colla vigilia di apertura della Corte del Sole e mai e poi mai avremmo chiesto al Presidente di rivolgersi al magistrato per risolvere un problema di natura politica, risolvibile ad un tavolo di vera concertazione con tutti i soggetti interessati.
3. La filosofia che sottende il progetto delle Grandi Strutture Commerciali è quello della globalizzazione dei Mercati, progetto di un Centro polifunzionale che accentra su di sé tutte le iniziative presenti nel territorio, non solo di natura esclusivamente commerciale, ma di svago, di fruizione del tempo libero e perfino culturali. La conseguenza di detta impostazione è disastrosa dal punto di vista antropologico/culturale, anche se ciò non verrà percepito immediatamente dalle popolazioni dei Comuni vicini o più interessati al fenomeno. Ma, com’è già percepito chiaramente dai Sindaci di Quartucciu, Quartu , Monserrato ed Elmas, detta realtà non sfugge perchè il modello delle Città Mercato insistenti nei loro Territori ha finito per cancellare valori identitari come la piazza del paese, la passeggiata nelle strade del centro cittadino, le feste e le altre iniziative, lo stesso linguaggio, che, invece, progressivamente e inevitabilmente vengono fatte nei centri Commerciali, che sono diventati i luoghi fisici di incontro, di svago ed incontro dei più svariati interessi.
4. Vi è certamente il dato positivo e non trascurabile dei nuovi posti di lavoro che questo nuovo Centro Commerciale offre, entusiasmo subito fortemente smorzato dai dati negativi del tracollo dei piccoli esercizi commerciali, che, per la verità avevano già subito un forte ridimensionamento con le prime aperture degli Ipermercati e soprattutto delle prime Città Mercato.
La nostra osservazione critica non si ferma alle grandi strutture commerciali, ma punta il dito sulla lentezza di adeguamento e di modernizzazione dei piccoli esercizi che, davanti alla nuova sfida, avrebbero dovuto associarsi più celermente, differenziare l’offerta e rendere appetibile i propri oggetti sul mercato. Critica che si estende agli stessi Amministratori Locali e alla Regione per non aver fornito tutti gli strumenti necessari per affrontare i cambiamenti. Basta con le lamentazioni! Chi ha stoffa da tessere, tessa ed accetti la sfida! Ma le Istituzioni devono assicurare che il confronto sia ad armi pari, per questo servono leggi adeguate sul Commercio, accesso al credito agevolato e molta formazione.
ECCELLENZA REVERENDISSIMA, ABBIAMO LASCIATO PER ULTIMO UNA CONSIDERAZIONE CHE MOLTI DI NOI CATTOLICI HANNO VOLUTO FARE: NON ABBIAMO GRADITO CHE QUESTA NUOVASTRUTTURA COMMERCIALE RESTI APERTA PROPRIO NEL GIORNO DI PASQUA E NELGIORNO DEL LUNEDI’ DELL’ANGELO, GIORNI PER NOI SACRI, COME CI RICORDA COSTANTEMENTE IL MAGISTERO DELLA CHIESA CHE ANCHE RECENTEMENTE HA CELEBRATO IL CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE AD ANCONA, METTENDO AL CENTRO LA DOMENICA COME FESTA DEL SIGNORE ED A MAGGIOR RAGIONE LA PASQUA.
CI DISPIACE CHE LEI, ECCELLENZA, SI SIA DIMENTICATO DI FARLO NOTARE, MENTRE BENEDICEVA IL TEMPIO DEGLI AFFARI COMMERCIALI CHE RESTERA’ APERTO PROPRIO NEL GIORNO PIU’ SACRO PER I CATTOLICI E MAGARI, DOPO LA MESSA, SI POTRA’ ANDARE A PASSEGGIARE A SESTU NEL GRANDE CENTRO COMMERCIALE E RINUNCIARE ALLA GITA IN CAMPAGNA O FUORI PORTA COME DICONO ALTROVE PERCHE’ LA NUOVA MODA CI VUOLE TUTTI DIETRO IL CARRELLO A SPENDERE E SPENDERE ANCORA… . ANCHE IL GIORNO DI PASQUA , VERA DOMENICA, FESTA DEL SIGNORE.
E SI SMETTA UNA VOLTA PER TUTTE DI DIRE CHE SIAMO IN UNA SOCIETA’ MULTIETNICA E PLURALISTA, PERCHE’ QUESTO LO SANNO TUTTI, MA CIO’ CHE STA VENENDO MENO E’ IL RISPETTO RECIPROCO, ANCHE DELLA PROPRIA RELIGIONE ED ESPRESSIONE DI FEDE CHE E’ SEGNO DI CIVILTA’.
Recentemente sono stato a Praga e ricordo che, essendo di sabato, volevo visitare il monumentale cimitero degli ebrei di questa città. Educatamente e gentilmente mi è stato spiegato che l’accesso non era concesso in tale giorno perché era Sabato ed in quella giornata gli ebrei osservano il Riposo.
VORREI ALTRETTANTO FERMEZZA E RISPETTO PRIMA DI TUTTO DA CHI SI PROFESSA CATTOLICO E LO PROFESSA SENZA VERGOGNARSI E ANCHE DA CHI NON LO E’ E PERO’ SA RISPETTARE LA RELIGIOSITA’ DEGLI ALTRI, PER ESEMPIO DEI PROPRI DIPENDENTI CHE VORREBBERO FARE PASQUA IN FAMIGLIA E NON PIEGANDO TUTTI QUANTI I VALORI AL DIO DENARO E AI SOLI INTERESSI COMMERCIALI. CIO’ VALE ANCHE COME DIRITTO DI RECIPROCITA ’PER LE FESTE DI CHI PROFESSA ALTRE RELIGIONI .QUESTA E’ VERA CIVILTA’.

Grazie.

Distinti saluti

Cagliari, Martedì Santo 11/04/2006

Il Segretario Generale della CSS Dr Giacomo Meloni

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LE MONDE diplomatique – Ottobre 2001

Paradiso americano di periferia
La felicità è un centro commerciale

Arrivata dall’America, la moda dei centri commerciali giganteschi sembra invadere tutto il mondo. Tra poco il gruppo Time-Warner finirà di costruire a Madrid un colossale centro commerciale, dove sarà persino possibile sciare lontano dalle montagne e dalla neve naturale. In queste scenografie fittizie, dove i passanti sono ridotti al rango di semplici consumatori, si ricorre a tutte le astuzie del marketing per mettere in scena la commedia dell’esotismo e dell’autenticità. Ma dietro il cemento, il commercio e l’automobile negli Stati uniti comincia a intravedersi una certa stanchezza.

dal nostro inviato speciale Tom Frank*

All’inizio era il Country Club Plaza di Kansas City. Costruito negli anni ‘20, parte di un vasto insieme di quartieri residenziali, il Plaza fu il primo grande centro commerciale di periferia a essere interamente organizzato in funzione dell’automobile. Era anche il punto di incontro di un territorio fantasioso sul quale era cresciuto un habitat eterogeneo, che andava dallo stile provenzale francese al castello scozzese passando per una località balneare della Virginia, mentre il centro commerciale propriamente detto sembrava una replica di Siviglia.
A nessuno sembrava strano che questo quartiere residenziale non avesse marciapiedi. Ogni anno la gente celebrava l’inizio della stagione commerciale di Natale recandosi in massa al Plaza per assistere all’accensione della sua struttura luminosa, celebre in tutto il mondo. I negozi più ordinari (alimentari e bowling) erano stati tolti per migliorare l’immagine del quartiere.
Tutto ciò rappresentò uno dei primi tentativi di secessione dalla dura vita di Kansas City: finalmente buone scuole, piscine, polizia privata e una popolazione quasi esclusivamente bianca proveniente da classi superiori e i cui beni non si sarebbero più svalutati.
Il metodo Country club si rivelò talmente efficace che il Plaza divenne un richiamo turistico per tutto il Midwest.
A tal punto che il fenomeno si è diffuso a sud e a ovest, poche centinaia di strade più lontano, laddove la periferia di Kansas City prende il posto di quelli che un tempo erano terreni agricoli. Qui si trovano grandi zone commerciali, palazzi di uffici dalle facciate scintillanti, quartieri residenziali per «redditi alti» e tangenziali a sei corsie che cercano disperatamente di aggirare la città. I «McResidence» invadono le colline più lontane e incroci ancora sconosciuti solo un anno prima diventano agenzie immobiliari, ristoranti di moda e negozi alimentari di lusso. Con i suoi tredici ettari di negozi, Oak Park è il più grande complesso commerciale dell’agglomerato urbano di Kansas City. Chi si inoltra nell’atmosfera climatizzata dei grandi magazzini Nordstrom e dei suoi negozi eleganti incontra commessi cordiali che danno il benvenuto nella virile solidarietà di chi si profuma con l’acqua di colonia Polo e di chi porta costosissimi occhiali da sole di marca. Il tutto sugli accordi trascinanti di una ballata country-rock.
Via via che ci si avventura nel centro ci si rende conto che le grandi compagnie internazionali regnano incontrastate. Ecco un negozio con l’insegna della Warner Bros Studio, facciata commerciale di quel gigante della «cultura» che è Aol-Time Warner. Qui non si cerca di vendere dei prodotti ma di proporre ai clienti un numero infinito di interazioni con la marca e le varie filiali del gruppo. Al piano terra del centro, nel laboratorio «Build a Bear» (Costruisci un orso), un’hostess eccessivamente premurosa invita il cliente a esprimere la sua personalità fabbricando il proprio orso di peluche. Dopo aver scelto tra diversi modelli, imbottiture e musichette, si è invitati a inserire questa deliziosa espressione della propria creatività nel grande registro elettronico degli orsi di peluche. Insomma, la prova definitiva che anche la nostra personalità esce dalle catene di montaggio! Quello che esiste alla periferia di Kansas City non ha nulla di eccezionale o di particolare. Il centro commerciale coperto e chiuso fu inventato alla fine degli anni ‘50 da un imprenditore immobiliare di Minneapolis, allo scopo di massimizzare le vendite ma anche di migliorare il comfort durante i rigidi inverni del Nordamerica. Nel corso dei successivi quarant’anni questa idea si è rapidamente diffusa da New York a Los Angeles e poi al mondo intero, sempre con lo stesso schema di base: una gigantesca struttura dalla forma più o meno cubica con parcheggi abbastanza grandi da accogliere il maggior numero possibile di clienti; almeno due grandi marche (tra cui un grande magazzino di dimensioni nazionali) poste alle due estremità della struttura con uno spazio intermedio pieno di piccoli negozi; un’area di ristorazione che offre ai consumatori una larga scelta di fast food; un’assenza quasi totale di attenzione estetica per la struttura esterna, mentre tutto il design architettonico si concentra all’interno, negli spazi climatizzati.
Il Plaza era l’opera prometeica di un unico imprenditore. Il centro commerciale dell’epoca contemporanea è invece il paesaggio probabilmente più curato del mondo. Costruire e gestire centri commerciali è diventata un’industria gigantesca, un consumatore entusiasta è fondamentale per la prosperità americana quanto la benzina a buon mercato. Commercianti e pubblicitari fanno quindi appello ad antropologi per osservarci mentre acquistiamo (1). L’atmosfera musicale è scelta con cura per spingere al tempo stesso ad andare in giro e ad affrettarsi. L’allestimento delle vetrine e la decorazione interna dei negozi sono meticolosamente esaminati. Dall’illuminazione delle piante dei vasi alla distribuzione dei negozi, nulla è lasciato al caso. Nulla è lì solo per bellezza.
I centri commerciali e l’espansione dei loro dintorni rappresentano una delle espressioni fisiche del capitalismo moderno. Tuttavia la letteratura americana sulle periferie afferma che la formazione di queste periferie attorno ai centri commerciali è l’espressione diretta della volontà popolare. I megacentri commerciali con i loro giganteschi parcheggi e la crescita quasi infinita delle periferie che ne deriva corrisponderebbero a quello che vuole il popolo, quando gli si permette di viaggiare e di scegliere liberamente: «Il centro commerciale, sono io».
Autenticità calibrata, ribellione su misura Questo argomento rientra nel cosiddetto «populismo di mercato», per il quale il paesaggio costruito dal nuovo capitalismo sarebbe il riflesso dell’individuo medio e virtuoso. Al contrario, qualunque critica all’espansione delle periferie sarebbe caratterizzata da uno sprezzante spirito d’élite. Da un lato le persone di sinistra pretenziose ed egoiste, adoratrici della pianificazione e convinte di sapere tutto meglio degli altri. Dall’altro la gente autentica, che ovviamente vuole i centri commerciali. Questo modo di vedere è diventato così naturale che un controverso costruttore di centri commerciali non ha esitato a definirsi «l’architetto del popolo».
Ma la realtà è un po’ diversa. Quando si chiede alla gente, invece di presumere che la sua opinione sia la stessa degli imprenditori, cosa pensa veramente dell’espansione delle periferie, ci si rende conto rapidamente che detesta questo tipo di vita. Sono pochi coloro che credono ancora che la soluzione alle difficoltà urbane sia andare a vivere un po’ più lontano, dove si costruirà un nuovo centro commerciale, dove si edificherà un orribile agglomerato urbano, il tutto per passare la giornata nel proprio fuoristrada a spostarsi in un paesaggio pieno di macchine, decorato con alberi rinsecchiti. Ormai i giovani che ne hanno la possibilità ritornano in massa nelle città abbandonate dai loro genitori. Cercano casa nei cosiddetti quartieri «bohémiens» e fanno salire i prezzi degli immobili urbani. A sua volta chi rimane in periferia non vuole che queste continuino a crescere, aggravando ancora di più le condizioni del traffico nel proprio quartiere.

Questo nuovo spirito «anti-periferia», questo desiderio di allontanarsene lo si può osservare ovunque. Secondo la stampa professionale, i consumatori sono stanchi e perfettamente consapevoli del tipo di vita che si fa in periferia. Non vogliono più recarsi nell’ennesimo e anonimo centro commerciale. Chiedono esperienze vere e non i soliti negozi e ristoranti. Vogliono uscire da questi vicoli ciechi e dagli altri «luoghi di vita» prefabbricati.

Ci vuole circa un’ora e mezza per recarsi a sud di Chicago, nel centro commerciale di Woodfield, a Schaumburg (nell’Illinois). Costruito all’inizio degli anni ‘70, Woodfield, con le sue cinque grandi marche e i suoi venti ettari di negozi era fino a una decina di anni fa il più grande centro commerciale del mondo (oggi è il terzo). Negozio dopo negozio, ristorante dopo ristorante, quello che qui si vende è un’autenticità calibrata e una ribellione su misura contro la vita di periferia. Perché si può vivere in un quartiere con le abitazioni tutte perfettamente uguali, passare come tutti il proprio tempo in un cubo e, prodigiosamente, grazie ai numerosi negozi di questa area commerciale (o di una qualunque altra), immaginarsi nei panni di un iconoclasta distruttore delle regole, di un duro individualista, di un tipo raffinato, di un lupo solitario sperduto in mezzo a un gregge di creature belanti! Dall’esterno «Schaumburg» ha forse l’aspetto di un regno senza anima del conformismo e della merce a buon mercato.
Ma Schaumburg prospera propri commerciando antidoti culturali alla conformità, alla mancanza di vitalità e di autenticità.
A Woodfield si nota subito che ognuno interpreta un ruolo. Fred, il venditore di uno dei supermercati, ha la testa rasata e porta una piccola coda di cavallo. Nel suo negozio, un’esposizione di manichini aveva per tema il coraggioso slogan: «Sono quello che sono». Gli adolescenti che frequentano questi luoghi hanno tutti gli stessi tatuaggi, gli stessi piercing e le stesse basette. L’elegante Lord and Taylor propone cravatte decorate con simboli della «pace nel mondo». Anche da Lane Bryant, negozio dedicato alle donne di taglia forte, si annuncia la «Rivoluzione dei jeans». E le T-shirt portano un messaggio lapidario: «Ribelle».
Questo spirito di rivolta non avrebbe senso se non si tenesse sempre presente la cultura superata, sciocca e preistorica contro cui si rivolge. Probabilmente è per questo motivo che alcuni negozi di Woodfield offrono illustrazioni viventi della fatuità dei nostri antenati delle periferie. Così si ridicolizza il carattere goffo dell’arte pubblicitaria di moda negli anni ‘50. Il negozio Fossil (sic) – che vende dio sa cosa – presenta numerose parodie dei logo e dei manifesti dell’epoca: hostess dall’aria idiota fanno segni gioiosi verso uomini allegri, che portano cappelli flosci e sorridono a tutti.
Ah, ma certo, noi siamo alternativi, autentici, estremi! Da Vans, uno dei due negozi dedicati agli skate-board, alcuni ragazzi salgono e scendono in skate una rampa in compensato a forma di U. Solo qualche anno fa lo skate rappresentava la ricerca assoluta di avventura.
Oggi lo si trova nei centri commerciali. Insieme a tutto il resto. I ristoranti sono a tema e ogni tema rappresenta un audace allontanamento dalla strada della convenzione. Mentre gli altri abitanti della periferia mangiano un pane bianco e insipido, al «Bon pain» è possibile lasciarsi alle spalle questo mondo conformista e sognare di immergersi nel delizioso e croccante cibo europeo. Al «Rainforest Cafe» si pranza in un’Amazzonia incontaminata, mentre a poca distanza sono presenti ristoranti di cucina giapponese, cinese, italiana e californiana.
Ovunque, birre artigianali permettono di sfuggire all’insipida Budweiser – che del resto, stanca di essere considerata come una bevanda senza sapore di periferia, è passata al contrattacco con un nuovo slogan caratterizzato da un solo aggettivo: «Vera». Al ristorante «Vie de France» ognuno può provare il piacere e la felicità di sorseggiare a un tavolino, in un ambiente falsamente parigino, un acido merlot.
E di osservare adolescenti dalle acconciature accuratamente studiate aggirarsi nervosamente sotto neon cromati.
Ma altrove l’ultimo decennio ha significato per molti proprietari di centri commerciali depressione, declino, cessazione di attività.
Via via che la pressione del mondo imprenditoriale andava aumentando, gli americani hanno avuto sempre meno tempo per andare in giro lungo i viali climatizzati dei centri commerciali. Hanno dovuto comprare più in fretta e a prezzi più bassi. È per questo che sono «fioriti» un po’ ovunque nel paese giganteschi negozi-deposito. Il loro principio è semplice: ridurre al minimo le spese generali, eliminando tutti gli elementi superflui come decorazioni o vetrine artisticamente concepite. Qui i prodotti si vendono alla rinfusa su mensole metalliche e alla luce cruda dei neon. Sono privi di tutta la magia del marketing e sono raccolti in mucchi alti fino a dieci metri come oggetti qualunque.
Questi negozi-deposito si trovano per lo più nelle zone economiche della periferia urbana. Eppure il Costco di Kansas City è dentro la città, in un luogo dove prima c’erano abitazioni e discoteche.
Qui si trovava ad esempio il Milton’s, un bar leggendario, ultimo ritrovo della scena jazz degli anni ‘30 con i suoi Count Basie e Charlie Parker. Ma anche questo locale, rimasto a lungo fedele al suo angolo di strada e che ha rappresentato una sfida allo spirito moderato e rispettoso dell’epoca, ha dovuto fare spazio al progresso: al suo posto oggi c’è il parcheggio del Costco!

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SCONFINAMENTI – La fine del mondo

“La bellezza e il suo godimento richiedono curiosità, cultura, amore per la diversità. Questo mondo dell’occidente tutto è basato sulla moltiplicazione di standard, di format tv, di gipponi inquinanti, di catene commerciali, di monopolio totale. Ma la felicità è un’altra cosa“. Non perdetevi questo magnifico editoriale del 14/6 di Mariuccia Ciotta

da il manifesto del 14 giugno 2004

di MARIUCCIA CIOTTA

Dove ha sbagliato il cavaliere? È andato in guerra, ha dettato legge a sua favore, non ha tagliato le tasse, ha fallito, lui grande comunicatore, la campagna elettorale culminata con il boomerang mediatico degli sms, ha deluso gli italiani inebriati all’idea di un’Italia ricca e moderna… Sì, anche. Ma la sconfitta di Berlusconi sta nel disfacimento globale di un mondo che ha indicato come traguardo della felicità occidentale l’espansione di se stesso. L’accumulo di oggetti senza fascino, la produzione di un superfluo triste che non è ricchezza ma vuoto sguardo delle merci. Non c’è progresso né gioia nell’eliminazione di ogni espressione umana della fantasia e dell’ingegno, nell’azzeramento della funzione critica. Gli ipermercati come Wall Mart sono diventati prigioni del consumo, annullamento della varietà dell’offerta, autoritari luoghi della coazione a ripetere. A Los Angeles – capitale del lusso – si piange per la chiusura della libreria storica Midnight Special di Santa Monica non solo perché era tra le poche alternative ai grandi circuiti ma perché esprimeva una babele di impulsi, vetrina di parole e immagini, pluralismo e eccezione. Nessuno più vuole vedere i kolossal confezionati sull’omologazione al ribasso del gusto di Hollywood, le major pagano la loro politica di ottimizzazione del prodotto, e infatti a Cannes trionfa il documentario scintillante di Michael Moore dove la politica torna a essere un esercizio di mente e di cuore, di risate, indignazione e azione.
La bellezza e il suo godimento richiedono curiosità, cultura, amore per la diversità. Questo mondo di Bush e Berlusconi, dell’occidente tutto è basato sulla moltiplicazione di standard, di format televisivi, di gipponi inquinanti, di catene commerciali, di monopolio totale. È il consumatore, paradossalmente, ad aver bocciato la las vegas del primo mondo senza più il gusto del gioco. Lo spettacolo che ci hanno offerto è lugubre, ed è pagato dal prezzo della vita di migliaia di persone cadute nelle guerre fatte per garantire spazi di mercato e di risorse. Sono i loro corpi, pezzi di esseri umani sparsi nel nostro immaginario, collezioni di morte, a dominare ora i banchi di virtuali supermercati.
È inutile che lo sforzo dei paesi ricchi, del laburista Blair caduto in corsa (o di uno Schroeder tagliatore di welfare) insista sulla necessità della produzione di quella paccottiglia del benessere. I consumatori non la vogliono comprare più. Vogliono che l’agosto sia caldo ma che non faccia morire migliaia di nonni, vogliono che non ci siano day-after e che i «gas di Kyoto» non buchino la terra. Non vogliono avere come vicini di casa i bambini morti dell’Africa. E non ci sarà pubblicità che vinca il disgusto per la proliferazione di beni come mostruosi ornamenti del quotidiano.
Questa rivoluzione underground di massa, Berlusconi e i suoi alleati non l’hanno vista. Procedono ancora con la fiducia di una modernità dissolta nella scontentezza. L’audience è un concetto senza più forza propulsiva. Al suo posto ci sono individui che hanno scoperto una relazione di libertà e di rispetto reciproco.
Perdono i supporter del liberismo perché la loro scorta di promesse elettorali è marcita. Il venditore porta a porta si è visto sbattere in faccia il suo repertorio di merci. La felicità è un’altra cosa.

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DAL BLOG DI BEPPE GRILLO

Mediapolis o Magnapolis?

Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, mi ha fatto avere in copia una lettera inviata alla presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso. La lettera, di cui riporto alcune parti, riguarda la distruzione di uno dei pochi spazi incontaminati del Piemonte per costruire nuovi centri commerciali.

“Gentile Presidente come Lei sa, il FAI si oppone da anni ad un progetto di insediamento commerciale chiamato “Mediapolis”, destinato a distruggere un angolo fra i più belli e intatti del Canavese, e rappresentato dalla Conca fra Albiano di Ivrea e Caravino. Con altre Associazioni di tutela ambientale, il FAI ha anche presentato un ricorso al T.A.R. Piemonte, nel quale sono elencate diverse illegittimità delle procedure sin qui seguite.

Questo ricorso dovrebbe essere deciso dal T.A.R. dopo una udienza del prossimo Giugno. omissis.
Abbiamo sottolineato sin dall’inizio che l’iniziativa Mediapolis ha scelto di collocarsi nella bellissima conca collocata fra Albiano e Caravino, omissis ,molto semplicemente perché l’area non costava nulla. I sessanta ettari già di proprietà Olivetti non solo erano inedificabili anche per vincolo idrogeologico, ma sono stati acquisiti all’iniziativa (per quanto é noto) senza alcun corrispettivo in danaro. omissis.

Agli enti pubblici Piemontesi é stato detto che si sarebbe realizzato un “parco tematico”: vale a dire una iniziativa nel campo del tempo libero e della cultura. Nonostante questa copertura, sembrava chiaro trattarsi di una gigantesca operazione immobiliare, basata su destinazioni di mero interesse privato e non certo culturali. Era anche evidente che l’iniziativa avrebbe coinvolto prima o poi cospicue risorse degli enti pubblici maggiori, costretti ad intervenire per evitare agli enti locali (i primi araldi di Mediapolis)impegni troppo gravosi.

omissis.

i lavori di Mediapolis non sono stati ancora avviati, ma viene ormai detto apertamente che il vero centro nevralgico dell’operazione sarà costituito da un enorme centro commerciale (si parla di 50.000 mq.), con annessi servizi di carattere commerciale tra i quali la consueta multisala cinematografica “multiplex”.

Nessuno ha condotto studi approfonditi sulla ricaduta di questa iniziativa sulla occupazione locale. E’ certo che il centro commerciale, i ristoranti, la multisala produrranno una domanda di posti di lavoro; ma contemporaneamente i nuovi posti saranno compensati dalle perdite occupazionali dovute alla crisi inevitabile che la nuova iniziativa provocherà al tessuto tradizionale del commercio e dei servizi.

omissis

Si aggiunge che le istituzioni pubbliche del Piemonte (prima ancora che i promotori investissero alcunché, al di fuori delle spese promozionali) sono state chiamate a sottoscrivere un protocollo d‘intesa con il quale si fanno carico di tutte le opere viabilistiche all’intorno, ivi compreso (forse) l’adeguamento del nodo autostradale, nonché di tutte le opere idrauliche per rendere il terreno concretamente utilizzabile (come é noto, i 60 ettari dove verrà collocata Mediapolis sono soggetti a periodiche inondazioni e per questo motivo sono indicati dai piani regionali come utilizzabili solo per salvaguardia idrogeologica).

omissis

Ci chiediamo se sia legittimo che un grande centro commerciale privato debba essere autorizzato disattendendo piani e prassi amministrative, ed essere aiutato con vaste risorse finanziarie da tutti gli enti pubblici del Piemonte anche se ubicato nel posto sbagliato, ed anche se richiede la distruzione dei caratteri storici, naturali e geologici di un luogo così bello e caro alla identità del Canavese. omissis”

Giulia Maria Mozzoni Crespi.

Chi sta dietro a questa ennesima operazione di distruzione?
I centri commerciali non producono ricchezza, sono figli di una cultura consumistica e globalistica che distrugge realtà locali, come gli artigiani, insieme al territorio.
Io ho sei figli, di questo passo cosa rimarrà a loro dell’Italia: multisale cinematografiche con due spettatori e supermercati pieni di roba con la gente che guarda la merce da fuori? Le pentole argentine si avvicinano sempre di più.

Beppe Grillo Fonte: www.beppegrillo.it

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DA www.notav.org

Dopo il TAV, un’altra FOLLIA all’orizzonte: MEDIAPOLIS

alekos ha inviato il seguente testo ”

E’ già stata avviata una raccolta firme dal FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) per bloccare il progetto. Invito tutte le realtà interessate a munirsi del modulo per la raccolta firme: questo scempio non deve passare

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non si farà by notav Thursday, Dec. 22, 2005 at 7:48 PM
non si farà bisogna fermarlo con tutte le nostre forze.
in questi casi la violenza è più che legittima. perchè quello che vogliono fare non è un atto di violenza verso la natura?
nessun rispetto verso chi distrugge i boschi per fare dei cazzo di parchi giochi per dementi. opposizione concreta al progetto di MEDIAPOLIS.
e se lo costruiranno glielo tireremo giù a sassate.

pienamente d’accordo
by io Thursday, Dec. 22, 2005 at 11:44 PM mail:

e oltre a tutto questo tirare giù qualche cosa che devasta così la natura non è violenza perchè non fai male a nessuno (anzi) non solo a sassate…

ma… by vg Friday, Dec. 30, 2005 at 1:42 PM mail:

ma ci saranno videogiochi di ultima generazione gratis? fighissimo!!!!!!!!!!!!

ahahahah by !!!! Friday, Dec. 30, 2005 at 1:45 PM mail:

prima di distruggere tutto… è meglio se non si fanno iniziare i lavori direttamente. come col tav.

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